Che fosse uno degli eventi più attesi di questo inizio estate, lo si era già capito dalle prevendite, già sold-out da parecchie settimane e dai numeri che parlavano di 40.000 biglietti staccati. Biglietti cari e salati per la filosofia di un gruppo come i System of a Down(queste le critiche espresse), ma che comunque a fine evento si riveleranno adeguati, vista la proporzione che ha assunto il concerto, divenuto un vero e proprio mini festival.
Il posto. La Fiera di Milano, ubicata a Rho, quest'anno è la grande protagonista dei maggiori eventi musicali che si svolgeranno a Milano. I prossimi appuntamenti saranno Il Rock in Idrho(Foo Fighters, Iggy Pop and the Stooges, Social Distorsion e Flogging Molly e altri) e l'atteso arrivo in Italia dei Big4 del Thrash metal americano(Metallica, Slayer, Megadeth e Anthrax).
Purtroppo, come sempre più spesso avviene in Italia, risulterà inadeguata per ospitare festival musicali dalla durata giornaliera. Se all'estero il verde ed il fresco regnano sovrani, qui da noi continua la politica del cemento e se oggi il tempo metereologico è stato d'aiuto e ha dato una mano ai 40.000 presenti, conducendoli a fine concerto in condizioni umane, non oso immaginare se dalle nuvole, che oggi hanno dominato, fosse spuntato il sole. Se da un lato bisogna segnalare la discreta funzionalità degli stand gastronomici, non si può dire altrettanto per i i prezzi di bevande e cibo( e qui parlo anche della birra) e delle t-shirt ufficiali dei gruppi vendute tutte a 30 Euro. Senza dimenticare i 15 euro per i parcheggi. A conti fatti si può leggere cosa ruota intorno a eventi di questo genere e riflettere su quanto, a volte, si sfrutti la passione e la voglia di musica delle persone per arricchirsi, con poco rispetto verso il portafoglio dei fans, giocando sulla psicologia del "tanto son disposti a tutto per...".
L'arena è capiente, il palco imponente, ma sviluppandosi in lunghezza, penalizza la buona visione per chi ha deciso di rimanere nelle retrovie e dubito che i due megaschermi abbiano aiutato la visione.
Il pubblico. Comunque la si guardi, il concerto è stato un evento. Radunare 40.000 persone in Italia per un concerto di questo genere è di per sè una buona notizia per lo stato di salute della "buona "musica lontana dalle luci dei mass media. Tanti giovanissimi accorsi a vedere i propri idoli, assenti dal mondo discografico da sei anni ma che con questa reunion hanno certamente raccolto i frutti del buon lavoro che hanno fatto nei loro soli 7 anni di attività.
Un seguito che stupisce, calcolando anche la fama di non essere mai stata una band da concerti memorabili, facendosi sempre più apprezzare su disco che dal vivo.
La giovane età del pubblico e l'unidirezionalità della loro preferenza musicale non hanno impedito alle bands di supporto di ricevere le loro meritate e giuste acclamazioni, a parte lo spiacevole episodio che ha toccato Glenn Danzig.
Le Band.Sempre difficile aprire concerti, quando la stragrande maggioranza del pubblico, se non tutta, è lì ad aspettare gli headliner. Gli Anti-Flag ci provano e ci riescono catturando l'attenzione con espedienti da navigati performers.
Attivi ormai da più di vent'anni, la band punk della Pennsylvania cerca di coinvolgere il pubblico da subito, invitandolo a circle pit e coinvolgendolo nei cori delle loro canzoni altamente anti-americane. Tra uno sfottò a Berlusconi e la eccessiva mossa finale del batterista che si cala tra il pubblico e suona quel che è riuscito a portarsi dietro della sua batteria, gli Anti-Flag conquistano tutti giocando facile, con la cover di Should i stay o should i go dei padri Clash. voto 6,5
Volbeat. Io aspettavo loro e a fine serata, devo dire che ne sono usciti vincitori tra i gruppi di apertura.
Per la prima volta in Italia, come sottolineato dal cantante e chitarrista Michael Poulsen, i danesi si stanno imponendo con la loro originale mistura di Thrash metal/punk e country. Pochi fronzoli e tanta musica sparata in faccia , poche concessioni a parole e spazio alla musica. Guitar gangsters and Cadillac blood, The mirror and the ripper, Only want to be with you(di Dusty Springfield) e Sad man tongue(dedicata a Johnny Cash) per finire sulle note di Raining blood degli Slayer. Ovazione e completa soddisfazione dei Volbeat. Ora che hanno conquistato anche l'Italia hanno l'obbligo di ripassare da Headliner con il prossimo loro tour. Voto 8,5
Il posto. La Fiera di Milano, ubicata a Rho, quest'anno è la grande protagonista dei maggiori eventi musicali che si svolgeranno a Milano. I prossimi appuntamenti saranno Il Rock in Idrho(Foo Fighters, Iggy Pop and the Stooges, Social Distorsion e Flogging Molly e altri) e l'atteso arrivo in Italia dei Big4 del Thrash metal americano(Metallica, Slayer, Megadeth e Anthrax).
Purtroppo, come sempre più spesso avviene in Italia, risulterà inadeguata per ospitare festival musicali dalla durata giornaliera. Se all'estero il verde ed il fresco regnano sovrani, qui da noi continua la politica del cemento e se oggi il tempo metereologico è stato d'aiuto e ha dato una mano ai 40.000 presenti, conducendoli a fine concerto in condizioni umane, non oso immaginare se dalle nuvole, che oggi hanno dominato, fosse spuntato il sole. Se da un lato bisogna segnalare la discreta funzionalità degli stand gastronomici, non si può dire altrettanto per i i prezzi di bevande e cibo( e qui parlo anche della birra) e delle t-shirt ufficiali dei gruppi vendute tutte a 30 Euro. Senza dimenticare i 15 euro per i parcheggi. A conti fatti si può leggere cosa ruota intorno a eventi di questo genere e riflettere su quanto, a volte, si sfrutti la passione e la voglia di musica delle persone per arricchirsi, con poco rispetto verso il portafoglio dei fans, giocando sulla psicologia del "tanto son disposti a tutto per...".
L'arena è capiente, il palco imponente, ma sviluppandosi in lunghezza, penalizza la buona visione per chi ha deciso di rimanere nelle retrovie e dubito che i due megaschermi abbiano aiutato la visione.
Il pubblico. Comunque la si guardi, il concerto è stato un evento. Radunare 40.000 persone in Italia per un concerto di questo genere è di per sè una buona notizia per lo stato di salute della "buona "musica lontana dalle luci dei mass media. Tanti giovanissimi accorsi a vedere i propri idoli, assenti dal mondo discografico da sei anni ma che con questa reunion hanno certamente raccolto i frutti del buon lavoro che hanno fatto nei loro soli 7 anni di attività.
Un seguito che stupisce, calcolando anche la fama di non essere mai stata una band da concerti memorabili, facendosi sempre più apprezzare su disco che dal vivo.
La giovane età del pubblico e l'unidirezionalità della loro preferenza musicale non hanno impedito alle bands di supporto di ricevere le loro meritate e giuste acclamazioni, a parte lo spiacevole episodio che ha toccato Glenn Danzig.
Le Band.Sempre difficile aprire concerti, quando la stragrande maggioranza del pubblico, se non tutta, è lì ad aspettare gli headliner. Gli Anti-Flag ci provano e ci riescono catturando l'attenzione con espedienti da navigati performers.
Attivi ormai da più di vent'anni, la band punk della Pennsylvania cerca di coinvolgere il pubblico da subito, invitandolo a circle pit e coinvolgendolo nei cori delle loro canzoni altamente anti-americane. Tra uno sfottò a Berlusconi e la eccessiva mossa finale del batterista che si cala tra il pubblico e suona quel che è riuscito a portarsi dietro della sua batteria, gli Anti-Flag conquistano tutti giocando facile, con la cover di Should i stay o should i go dei padri Clash. voto 6,5
Volbeat. Io aspettavo loro e a fine serata, devo dire che ne sono usciti vincitori tra i gruppi di apertura.
Per la prima volta in Italia, come sottolineato dal cantante e chitarrista Michael Poulsen, i danesi si stanno imponendo con la loro originale mistura di Thrash metal/punk e country. Pochi fronzoli e tanta musica sparata in faccia , poche concessioni a parole e spazio alla musica. Guitar gangsters and Cadillac blood, The mirror and the ripper, Only want to be with you(di Dusty Springfield) e Sad man tongue(dedicata a Johnny Cash) per finire sulle note di Raining blood degli Slayer. Ovazione e completa soddisfazione dei Volbeat. Ora che hanno conquistato anche l'Italia hanno l'obbligo di ripassare da Headliner con il prossimo loro tour. Voto 8,5
Sick of it all.I più estremi del lotto. Il loro New York hardcore "old School", come ribadito a più riprese dal cantante Lou Keller è certamente una novità per la maggior parte dei giovani presenti, nonostante la quasi trentennale presenza nel panorama musicale e il nome iscritto tra le leggende del punk/hardcore mondiale.
Il loro show è a carburazione lenta ma alla fine riescono a smuovere il pubblico grazie ai loro inni da pogo sfrenato. Lou Keller non ha perso una virgola della sua voce urlata e la sua continua chiamata alle armi avrà effetto con molto fatica in Scratch the Surface. Voto 7
Danzig.Glenn Danzig, nella giornata di oggi è purtroppo un pesce fuor d'acqua, nonostante alcuni primati che si porta a casa. Il primo è certamente quello dell'età e dell'esperienza. Dai Misfits ai Danzig, la sua carriera non ha bisogno di spiegazioni, anche se molti giovanissimi, al calar del tiepido sole, si siano chiesti chi era quel "brutto e vecchio" signore di nero vestito.
Il secondo è certamente quello di avere dalla sua parte la miglior formazione della giornata con calibri da novanta come Tommy Victor(Prong) alla chitarra e Johnny Kelly(Type O Negative) alla batteria. Il suo oscuro Metal/blues fatica a conquistare la giovane audience e qualche lancio di bottiglia di troppo(ormai in Italia è cattiva abitudine, difficile da estinguersi) non aiutano un navigato rocker come Danzig, di suo già incazzato per il pessimo audio(in verità presente durante tutti i concerti) e qualche problema tecnico. Passano così inosservate canzoni come How the Gods kill, Hammer of the gods, Thirteen(dedicata anch'essa a Johnny Cash che la coverizzò su uno dei suoi "American recordings") e la finale Mother, facendo scappare Danzig anche prima del dovuto. Voto 6,5
System of a Down. Un trionfo che è andato al di là dei meriti e demeriti della band. Nei primi venti minuti di concerto sembrava di assistere ad un karaoke totale, con la band sul palco a mimare di suonare e i presenti a cantare, con gli strumenti e la voce persi chissà dove. Poi , fortunatamente tutto si mette a posto ma il volume rimarrà comunque basso e a volte ovattato. I System of a Down si presentano con un NON look assoluto, Serj Tankian in camicia bianca e jeans da impiegato in libera uscita durante una pausa d'agosto, Daron Malakian , presenta un look alla Jack White, giacca viola, cappello, baffi e barba inclusi, il bassista Shavo Odadjian, visibilmente appesantito da come lo ricordavo, in bermuda mimetiche e calzettoni da basket anni '70 che fanno molto Mike Muir(Suicidal Tendencies) e il batterista John Dolmayan non pervenuto.
Il loro è stato un greatest hits di quasi trenta esecuzioni concentrato in un 'ora e mezza di concerto dove le canzoni sono le vere protagoniste, più delle effettive capacità dei singoli. Il loro repertorio è un sapiente miscuglio di inni cantabili che fanno passare molto spesso in secondo piano le loro pecche. Prison song, Chop Suey!, Toxicity, Suite-pee, Lost in Hollywood, Cigaro, Psycho,Aerials e Sugar non hanno bisogno di troppi contorni. A parte l'istrionico Malakian, il resto della band svolge il proprio compito in modo compunto e sono sempre dell'idea che Tankian, sia sempre un pò troppo rigido e a volte dovrebbe lasciarsi andare e trasportare un pò di più. Da qualunque parti la si guardi i System of A down ,un pezzettino di storia della musica sono riusciti a scriverla quando nel 1998 uscirono con un album originale e sotto molti punti di vista spiazzante.
Unici e poco imitabili, in soli sette anni hanno scritto la loro carriera, divenendo già un gruppo di culto. La massiccia affluenza di questa serata lo dimostra, come dimostra anche, purtroppo, che i System of Down si siano giocati le loro carte troppo in fretta e per un gruppo relativamente giovane come loro, mi ha ricordato la "reunion" di un gruppo in scena da quarant'anni. Voto 8 alla carriera.
Il loro show è a carburazione lenta ma alla fine riescono a smuovere il pubblico grazie ai loro inni da pogo sfrenato. Lou Keller non ha perso una virgola della sua voce urlata e la sua continua chiamata alle armi avrà effetto con molto fatica in Scratch the Surface. Voto 7
Danzig.Glenn Danzig, nella giornata di oggi è purtroppo un pesce fuor d'acqua, nonostante alcuni primati che si porta a casa. Il primo è certamente quello dell'età e dell'esperienza. Dai Misfits ai Danzig, la sua carriera non ha bisogno di spiegazioni, anche se molti giovanissimi, al calar del tiepido sole, si siano chiesti chi era quel "brutto e vecchio" signore di nero vestito.
Il secondo è certamente quello di avere dalla sua parte la miglior formazione della giornata con calibri da novanta come Tommy Victor(Prong) alla chitarra e Johnny Kelly(Type O Negative) alla batteria. Il suo oscuro Metal/blues fatica a conquistare la giovane audience e qualche lancio di bottiglia di troppo(ormai in Italia è cattiva abitudine, difficile da estinguersi) non aiutano un navigato rocker come Danzig, di suo già incazzato per il pessimo audio(in verità presente durante tutti i concerti) e qualche problema tecnico. Passano così inosservate canzoni come How the Gods kill, Hammer of the gods, Thirteen(dedicata anch'essa a Johnny Cash che la coverizzò su uno dei suoi "American recordings") e la finale Mother, facendo scappare Danzig anche prima del dovuto. Voto 6,5
System of a Down. Un trionfo che è andato al di là dei meriti e demeriti della band. Nei primi venti minuti di concerto sembrava di assistere ad un karaoke totale, con la band sul palco a mimare di suonare e i presenti a cantare, con gli strumenti e la voce persi chissà dove. Poi , fortunatamente tutto si mette a posto ma il volume rimarrà comunque basso e a volte ovattato. I System of a Down si presentano con un NON look assoluto, Serj Tankian in camicia bianca e jeans da impiegato in libera uscita durante una pausa d'agosto, Daron Malakian , presenta un look alla Jack White, giacca viola, cappello, baffi e barba inclusi, il bassista Shavo Odadjian, visibilmente appesantito da come lo ricordavo, in bermuda mimetiche e calzettoni da basket anni '70 che fanno molto Mike Muir(Suicidal Tendencies) e il batterista John Dolmayan non pervenuto.
Il loro è stato un greatest hits di quasi trenta esecuzioni concentrato in un 'ora e mezza di concerto dove le canzoni sono le vere protagoniste, più delle effettive capacità dei singoli. Il loro repertorio è un sapiente miscuglio di inni cantabili che fanno passare molto spesso in secondo piano le loro pecche. Prison song, Chop Suey!, Toxicity, Suite-pee, Lost in Hollywood, Cigaro, Psycho,Aerials e Sugar non hanno bisogno di troppi contorni. A parte l'istrionico Malakian, il resto della band svolge il proprio compito in modo compunto e sono sempre dell'idea che Tankian, sia sempre un pò troppo rigido e a volte dovrebbe lasciarsi andare e trasportare un pò di più. Da qualunque parti la si guardi i System of A down ,un pezzettino di storia della musica sono riusciti a scriverla quando nel 1998 uscirono con un album originale e sotto molti punti di vista spiazzante.
Unici e poco imitabili, in soli sette anni hanno scritto la loro carriera, divenendo già un gruppo di culto. La massiccia affluenza di questa serata lo dimostra, come dimostra anche, purtroppo, che i System of Down si siano giocati le loro carte troppo in fretta e per un gruppo relativamente giovane come loro, mi ha ricordato la "reunion" di un gruppo in scena da quarant'anni. Voto 8 alla carriera.