giovedì 14 giugno 2012

RECENSIONE: CORY BRANAN ( Mutt )

CORY BRANAN  Mutt (Bloodshot Records, 2012)

Cory Branan è quasi coetano di Ryan Adams (uno classe 1975, l'altro 1974), tutti e due uscirono allo scoperto da solisti all'inizio del nuovo millennio, promettendo una ventata di aria fresca nel mondo cantautorale americano. Il suo debutto The Hell You Say uscì nel 2002 e sorprese non poco la critica, facendo incetta di riconoscimenti. A differenza di Adams però, la sua carriera si allarga ad un solo altro disco: 12 Songs  del 2006. Mentre Adams in questi anni ha continuato a far uscire dischi in modo compulsivo, con bassi e stupendi alti-tra cui l'ultimo Ashes & Fire-, Cory nativo della terra del Misssissippi, figlio di un batterista, inizio carriera in una metal band e folgorazione cantautorale ascoltando John Prine, fa il suo ritorno a ben sei anni dal precedente lavoro. In questo lasso di tempo si è fatto crescere barba e capelli ("I was fucked up as my haircut" canta in Freefall), si è trasferito da Memphis a Nashville, ma ha mantenuto inalterato il carattere della sua scrittura: disincantata e cinica lettura della vita con in primo piano i sentimenti compresi cuori spezzati, malesseri e storie intriganti, tanto che i Lucero lo citarono in una loro vecchia canzone Tears don't Matter much contenuta in That Much Further West(2003). Cory, oggi, di rimando per non essere da meno, cita-anche musicalmente- Mellencamp in Yesterday(circa Summer 80 Somethin).
In Mutt sono raccolte tutte le sue innumerevoli influenze che convergono comunque in uno stile personale che sa guardare in tutte le direzioni del rock americano. Dall'iniziale folk esistenziale di Corner (bissata da Lily) in solitudine con la sola chitarra acustica e la voce doppiata, alle tirate Survivor Blues ( che ricompare in versione acustica nel finale del disco) e Bad Man, rock songs che incrociano i Replacments e lo Springsteen tagliente, spigoloso e diretto di Darkness, con una band (Dave Douglas-batteria, James Finch Jr.-basso, Russell James Miller-chitarre,tastiere) che recita la parte della E Street Band. Le accecanti liriche dentro alla buia e notturna Darknen My Door sulla strada di Ryan Adams; le country Freefall e Karen's Song con la slide ospite di Luther Dickinson; le lievi e romantiche orchestrazioni della notturna There There Little Heartbreaker condotta da crooner navigato; la sbilenca e ubriaca andatura di un clarinetto e le parole di una vendetta amorosa di Snowman che portano dritto e consapevolmente a Tom Waits, tanto che nella canzone compare anche Ralph Carney, collaboratore storico di Waits.
La bizzarra deviazione dello scatenato rock'n'roll di Jericho con il suo finale pieno di cori e fiati.
Un percorso avventuroso quello di Branan, con pochi o tanti punti di riferimento reali a seconda dei casi. Un cantautore randagio, cinico (uomo cattivo come canta in Bad Man) che riesce a piazzare la zampata vincente e riconoscibile giocando con la musica. Un disco che avanza in modo imperfetto, in bilico tra i chiaro-scuri, così come la sua voce rotta, profonda e camaleontica nel cavalcare gli umori delle canzoni. Ma è quella imperfezione che fa la differenza. Candidato alla mia top ten di fine anno.  




Nessun commento:

Posta un commento