venerdì 31 dicembre 2010
PLAYLIST:top 20 DISCHI CLASSIC ROCK 2010
Canzoni quasi intime, che richiamano il folk ed il blues e dove la presenza dei suoi concittadini texani Okkervil River si limita ad accompagnare il maestro, lasciando poca traccia di sè, se non in alcuni episodi, perchè, dopo tanti tributi da parte del più disparato mondo musicale, Roky Erickson è tornato per restare, perchè la musica ha ancora bisogno di "pazzi" come lui. Recensione
http://enzocurelli.blogspot.com/2010/06/roky-ericksoninferno-e-ritorno.html
2 NEIL YOUNG Le Noise
Il connubio Young-Lanois ha funzionato e il canadese ne esce, finalmente, con un disco degno del suo nome. Chitarre e voce, nulla più. Recensione
http://enzocurelli.blogspot.com/2010/09/neil-young-recensione-le-noise.html
3 KULA SHAKER Pilgrims Progress
Ora e solo ora, i Kula Shaker fanno uscire il lavoro che li consegna alla maturità. Non cercate facili melodie pop o hit da classifica. Crispian Mills e soci consegnano ai loro fans un disco intriso di folk a quattro anni dal loro ultimo disco. Recensione http://www.impattosonoro.it/2010/09/10/recensioni/kula-shaker-pilgrim-progress/
4 EELS Tomorrow morning
Con Tomorrow Morning, Mister E conclude la trilogia partita con il garage-rock-blues di Hombre Lobo e continuata con l' ancora fresco e acustico End Times..conclude questo prolifico periodo di ispirazione, dettato dalle sue sventure di vita, dando alle stampe un disco che finalmente sembra dare un pò di luce positiva alle sue composizioni.
5 JOHN MELLENCAMP No better than this
Mellencamp con questo disco riesce , forse, a spiegare e dare al viaggio il suo giusto significato, quello di vivere i luoghi che si visitano non da semplici turisti, a volte insospettiti da usi e costumi diversi dai propri, ma di vivere i luoghi, entrandoci dentro, confondendosi, mettendosi alla prova con quegli usi e costumi. Recensione http://enzocurelli.blogspot.com/2010/08/john-mellencamp-un-vecchio-microfono.html
6 GRACE POTTER & THE NOCTURNALS
Bella e brava. Il nuovo talento femminile del rock americano...Un disco piacevole, per gite on the road, verso mete californiane preferibilmente e la reggaeggiante Goodbye Kiss ti fa sognare di avere la bionda Grace al tuo fianco... Recensione http://enzocurelli.blogspot.com/2010/07/grace-potter-nocturnalsoltre-le-gambe.html
7 JOHNNY CASH American VI:ain't no grave
A sette anni di distanza dalla sua morte, esce il secondo disco postumo di Johhny Cash. Quando muore un’artista, ancor di più se una leggenda come Cash, c’è sempre il rischio di grattare il fondo del barile nel far uscire a tutti i costi una raccolta di canzoni rimaste inedite.Con Cash, fortunatamente, questo pericolo sembra scongiurato. Recensione http://www.impattosonoro.it/2010/04/01/recensioni/johnny-cash-american-vi-aint-no-grave/
8 TOM JONES Praise & blame
Chi l'avrebbe mai detto che un disco di Tom Jones potesse essere una rivelazione. Le prime indiscrezioni su questo disco erano le colorite frasi dei dirigenti della Island records, etichetta di Jones, che pensarono subito ad uno scherzo dopo che il gallese dalla voce d'oro presentò loro le nuove canzoni. Recensione http://enzocurelli.blogspot.com/2010/09/tom-jones-recensione-praise-blamequello.html
9 ROBERT PLANT Band of joy
Un disco di covers che certamente non porterà nulla di nuovo nella carriera di chi la storia della musica l'ha già ampiamente scritta ma che cementa ancor di più il futuro musicale di un artista che tutto sommato non si è mai svenduto...Recensione http://enzocurelli.blogspot.com/2010/10/robert-plant-recensione-band-of-joy.html
10 XAVIER RUDD & IZINTABA Koonyum sun
Uno dei più sinceri cantori di world music di questi anni. Soul, funk, reggae, blues e ritmi afro che mettono a nudo la sincerità musicale ed intellettuale di Rudd. Musicista australiano a tutto tondo.
11 GIANT SAND Blurry blue mountain
http://enzocurelli.blogspot.com/2010/12/dischi-in-ascolto-recensioni-di-volbeat.html
12 PAUL WELLER Wake up the nation
13 TOM PETTY Mojo
http://www.debaser.it/recensionidb/ID_31676/Tom_Petty__The_Heartbreakers_Mojo.htm
14 ISOBEL CAMPBELL & MARK LANEGAN Hawk
15 ELTON JOHN/LEON RUSSELL The union
http://enzocurelli.blogspot.com/2010/11/dischi-in-ascolto-recensioni-di-elton.html
16 VICTOR DEME Delì
http://enzocurelli.blogspot.com/2010/06/victor-deme-se-questa-deve-essere.html
17 WILLIE NILE The innocent ones
http://enzocurelli.blogspot.com/2010/10/recensione-willie-nile-innocent-ones.html
18 JOHNNY FLYNN Been listening
19 ALEJANDRO ESCOVEDO Street songs of love
20 RONNIE WOOD I feel like playing
http://enzocurelli.blogspot.com/2010/10/dischi-in-ascoltorecensioniin-rigoroso.html
martedì 28 dicembre 2010
RECENSIONE: ELLIOTT MURPHY- Elliott Murphy
ELLIOTT MURPHY- Elliott Murphy (Blue Rose Records, 2010)
Elliott Murphy è un onesto cantastorie del rock che alla pari di altri grandi songwriters americani, mi vengono in mente personaggi come Willie Nile e Alejandro Escovedo, per fare solo due nomi, ha sempre lavorato dalla parte opposta del successo, vuoi per sfortuna o per precisa scelta personale e artistica, non venendo mai a mancare, però, per caratteristiche di qualità.
Presentato e sbandierato, negli anni settanta, come il nuovo Dylan (ma chi non lo era in quegli anni, quando il menestrello di Duluth sembrava vivere in netto calo di ispirazione), da parecchi anni ha lasciato New York che ne segnò i primi anni in bilico tra il decadente glam e la nascente scena punk, per trasferirsi in Europa, nell'amata Parigi.
Arrivato a sessan'tanni e con una trentina di dischi incisi (Elliott è uno che non si risparmia nè in studio , nè live), questa nuova ed omonima uscita sembra avere tutte le carte in regola per raggiungere l'intensità e la profondità dei suoi vecchi dischi e, perchè no, far ripartire la carriera. Registrato tra New York e la Francia, vede la produzione affidata al giovanissimo figlio appena ventenne Gaspard Murphy, un attestato di fiducia di tutto rispetto fatto da papà Elliott.
L'iniziale Poise'n Grace strizza subito l'occhio a Bob Dylan nel cantato ed omaggia l'amico Springsteen nella strofa finale della canzone: "I've been listening to Nebraska, Johnny 99 hits 100 as the new Jersey sky turns dark". Bruce Springsteen, sempre pronto ad invitare Murphy sul palco durante le sue calate europee.
Le canzoni scritte quasi interamente da Murphy, eccetto alcune in compagnia dell'ottimo chitarrista Olivier Durand, sono ballate dall'antico sapore, come Counterclockwise che non avrebbe sfigurato su "Oh Mercy" di Dylan, per il suo carattere oscuro e dark, la supplica di Take the devil out of me, la più jazzata You don't need to be more then yourself, piccolo saggio di filosofia di vita o With the ring, ariosa ed orchestrale negli arrangiamenti fatti dal figlio.
Più sostenute e sentiti omaggi al rock'n'roll sono la divertita e dal titolo rivelatore Rock'n roll'n rock'n roll e la quasi hillbilly Rain, rain, rain, dove a mettersi in mostra è la sua buona band di accompagnamento, The Normandy All Stars.
A chiudere, gettando un ponte verso la terra che gli ha dato i natali , la lunga ed evocativa epopea dalle atmosfere quasi western Train kept a rolling.
Murphy, rimane ancora un cantautore d'altri tempi, un dandy del rock che fa ancora della poesia in musica un vanto ed una ragione di vita, lontano dai grandi circuiti che contano ma sempre più vicino ai cuori e all'anima. Una carriera senza hit epocali ma piena di coerenza e dedizione al rock.
vedi anche RECENSIONE: ELLIOTT MURPHY-It Takes A Worried
Man (2013)
martedì 21 dicembre 2010
Recensione: MOTORHEAD-The World is yours
MOTORHEAD The World is yours (UDR, 2010)
"...voglio dire, voi insegnate alla gente che il Messia era il frutto dell'unione tra la moglie di un vagabondo(fra l'altro vergine)e di uno spirito? E questo sarebbe il fondamento di una religione diffusa a livello mondiale? Non mi convince. Immagino che se Giuseppe si è bevuto questa, si meritasse di dormire in una stalla!..."da "La sottile linea bianca- autobiografia"-Lemmy
Ecco, l'anno si conclude con una certezza in campo rock. Lemmy festeggerà il suo sessantacinquesimo Natale il 24 Dicembre e noi sotto l'albero avremo il ventesimo album della sua band. Tanto per mantenere le tradizioni.
I Motorhead o si amano o si odiano. Chi li tagga di immobilismo cronico, chi ne elogia la coerenza. Non si può obiettare sulla dedizione totalitaria al rock di un personaggio, culto rock'n'roll vivente e recentemente, pure oggetto di studi medici improntati sulla sua straordinaria longevità tentata ed ostacolata da tutti i possibili vizi. Lemmy con il suo basso e i Motorhead passano il loro tempo a registrare dischi e fare tour, cosa si vuole di più da una band che suona rock? I maligni invocheranno una maggior cura nelle uscite discografiche, ormai a scadenza biennale ma i Motorhead continuano ad impartire lezioni e questo "The World is yours" è un pachiderma in grado di schiacciare l'aspirazione di qualunque giovane band che si affaccia nel mondo della musica.
Nessuna pausa durante le dieci canzoni e i quaranta minuti di questo disco. Nessun rallentamento o concessione a ballads, che in fondo non erano poi così male interpretate dal vocione cavernoso di Lemmy. Se negli ultimi lavori erano comparsi alcuni omaggi al blues, questa volta ad uscire dalle casse è l'amore di Lemmy e soci per il rock'n'roll primigenio, con il quale sono cresciuti. Rock'n'roll music, strizza l'occhio al boogie rock dei migliori Ac/Dc ,era Scott e la scollacciata e finale Bye bye bitch bye bye tradisce l'amore incondizionato per Chuck Berry, naturalmente rivisto a volumi alzati.
Quando poi si ascolta la più moderna, pesante ed oscura Brotherhood of man, con un Lemmy più ringhioso del solito, si capisce che ai Motorhead piace anche cambiare le carte in tavola e spiazzare. Con testi diretti ed esplicti come la titletrack che esorta tutti a riprendersi il mondo finito in mano a pochi potenti o la pesante critica sulla religione che compare in Get back in line finendo con l'unica certezza, vera religione e salvezza: il rock'n'roll( Rock'n'roll music).
Le restanti sono, più o meno, mid-tempo convenzionali e con il marchio Motorhead ben impresso a fuoco con tanto di autoriferimenti, come il primo singolo Get back in line, Outlaw o l'apertura affidata a Born to lose, mentre più spedita viaggia I know what you need. Comunque da sottolineare la sempre pregevole prova di Philip Campbell alla chitarra e negli assoli sparsi in tutti i brani, un chitarrista sempre troppo sottovalutato e l'incessante potenza della batteria di Mikkey Dee, compagni perfetti di padron Kilmister da molti anni a questa parte e formazione più stabile della storia del gruppo.
In periodi come questi è sempre bene e consigliabile andare sul sicuro, anche nella musica. I Motorhead non hanno mai tradito. Buon Natale e buon compleanno Lemmy!
lunedì 20 dicembre 2010
PLAYLIST:top 20 DISCHI,ALT-HARD-HEAVY 2010
Un ritorno prepotente e rabbioso. Tra perdite umane importanti e la loro visione senpre più apocalittica che con gli anni diventa sempre meno utopistica. Coleman riunisce i componenti dell'esordio e traccia un bilancio di carriera sonoro. Recensione http://enzocurelli.blogspot.com/2010/10/dischi-in-ascoltorecensioniin-rigoroso.html
2 BLACK MOUNTAIN Wilderness Heart
La loro scrittura ancorata agli anni '70 si è fatta più semplice e diretta. Le canzoni sono ben bilanciate tra bordate hard e rilassatezza folk rinunciando alla psichedelia dei passati dischi. Un altro grande passo in avanti verso i settanta. Recensione
http://www.impattosonoro.it/2010/10/17/recensioni/black-mountain-wilderness-heart/
3 BLACK LABEL SOCIETY Order of the black
Zakk Wylde abbandona definitivamente zio Ozzy e dopo alcuni dischi poco esaltanti si rituffa nella melma metal/southern degli esordi. Graniticità e alcuni lenti di grande spessore. Recensione http://enzocurelli.blogspot.com/2010/10/black-label-society-recensione-order-of.html
4 THE SWORD Warp Riders
Il terzo disco è quello della maturità per la band americana. Allo stoner/doom si aggiunge una componente blues e melodica ed un concept fantascientifico. Recensione
http://enzocurelli.blogspot.com/2010/10/recensione-swordwarp-riders.html
5 DANKO JONES Below the belt
Il rocker canadese continua la sua marcia, rock’n'roll, blues, hard e metal vengono frullati sottoforma canzone con ritornelli che ti si stampano in testa al primo ascolto e musica che ti fa sobbalzare dalla sedia. Recensione http://www.impattosonoro.it/2010/06/22/recensioni/danko-jones-below-the-belt/
6 DANZIG DethRed Sabaoth
Ormai lo si era dato per perso e bollito, ma lui ritorna con quello che sa fare meglio, riguardando al passato. Così ci piace. Recensione http://enzocurelli.blogspot.com/2010/07/danzigun-passo-avanti-verso-il-passato.html
7 HEATHEN The Evolution of Chaos
Il mio disco thrash metal dell'anno. Furono autori di due soli dischi che bastarono per farli entrare nella leggenda ( Breaking the silence(1987) soprattutto). Il loro ritorno non tradisce.
8 SOULFLY Omen
Mentre gli ex compagni Sepultura sono in agonia da molti anni, Max Cavalera trova il tempo di far pace con il fratello( Cavalera Conspiracy) e sfornare, con i Soulfly, un disco di thrash/core metal vecchia maniera abbandonando momentaneamente le influenze tribali.
9 THE BLACK ANGELS Phosphene dream
"Dopo averti inizialmente stordito la percezione visiva con la copertina, ti conducono con la musica verso i posti immaginifici della perdizione sensoriale in compagnia dei fantasmi più allucinati della musica anni sessanta." Recensione http://enzocurelli.blogspot.com/2010/10/recensione-black-angels-phosphene-dream.html
10 PRO -PAIN Absolute power
La band di New York capitanata da Gary Meskill è ormai una garanzia in fatto di coerenza e fedeltà al thrash/hardcore. Vent'anni di carriera senza sbavature.
11 OVERKILL Ironbound
12 THE BLACK KEYS Brothers
Recensione
http://www.impattosonoro.it/2010/07/08/recensioni/the-black-keys-brothers/
13 YEAR LONG DISASTER Black magic;all mysteries revealed
14 GOGOL BORDELLO Trans-continental hustle
15 HOGJAW Ironwood
16 ARMORED SAINT La Raza
Recensione
http://www.debaser.it/recensionidb/ID_31416/Armored_Saint_La_Raza.htm
17 BLACK COUNTRY COMMUNION
18 VOLBEAT Beyond Hell/Above Heaven
Recensione
http://enzocurelli.blogspot.com/2010/12/dischi-in-ascolto-recensioni-di-volbeat.html
19 SLASH
20 IRON MAIDEN The final frontier
mercoledì 15 dicembre 2010
PLAYLIST:top 20 DISCHI ITALIANI 2010
Esordio per la super band formata dagli ex Ritmo Tribale e Xabier Iriondo(ex Afterhours)un mix perfetto tra l'alt rock italiano dei '90 e richiami alla no wave 70/80. Recensione http://enzocurelli.blogspot.com/2010/09/no-guru-recensione-milano-original.html
Intervista http://www.impattosonoro.it/2010/10/04/interviste/intervista-ai-no-guru/
2 SAMUEL KATARRO The Halfduck Mystery
Dopo l'esordio votato al blues "solitario", Alberto Mariotti(il suo vero nome) ritorna con un disco che strizza l'occhio alla psichedelia dei '60. Non fosse italiano sarebbe già da prima pagina!
Recensione http://enzocurelli.blogspot.com/2010/06/samuel-katarroda-robert-johnson-alla.html
3 MASSIMO VOLUME Cattive Abitudini
Clementi e soci si riformano e si ripresentano con un disco "pensante". Come se non se ne fossero mai andati. Fausto e Litio due tra le migliori canzoni italiane dell'anno!!
4 IL PAN DEL DIAVOLO Sono all'osso
E' stato uno dei primi dischi usciti in questo 2010, ma già si candidava tra le migliori uscite dell'anno. Il duo acustico siciliano è travolgente nella sua estrema semplicità. Tra Rock'n'roll e cantautorato folk. Recensione http://www.impattosonoro.it/2010/02/03/recensioni/pan-del-diavolo-sono-allosso
5 STRANA OFFICINA Rising to the call
Nei primi anni ottanta sono stati i portabandiera del metal italiano e solo il triste incidente che ha portato via i fratelli Cappanera ne ha interrotto la marcia. Risentire la band toscana a questi livelli è un gran piacere. Tra passato e moderno presente.
6 ARDECORE San Cadoco
Dopo gli stornelli romani in chiave rock e un premio Tenco, vincono ancora la sfida con un progetto ambizioso ma perfettamente riuscito. Due dischi, il bianco e il nero, l'uomo e la donna, l'amore e l'odio. Recensione http://www.impattosonoro.it/2010/12/17/recensioni/ardecore-san-cadoco/
7 WIND Walkin' on a new direction
In Italia abbiamo uno dei migliori gruppi di Hard-blues europei. Da Udine all'America il passo sembra essere davvero breve.
8 AFRICA UNITE Rootz
Da trent'anni sono il gruppo "reggae italiano". Questo loro ritorno alle radici rappresenta anche uno dei loro migliori e più completi dischi di sempre. Recensione http://www.impattosonoro.it/2010/04/22/recensioni/africa-unite-rootz/
9 CALIBRO 35 Ritornano quelli di...
Ritornano quelli di...un side-project che è diventato un vero e proprio gruppo e sta facendo pure scuola con i suoi suoni presi dai film polizieschi degli anni settanta.
10 EDDA In Orbita
L'anno scorso, lo spettacolare ed inatteso ritorno con Semper biot, quest'anno c'è stata la riconferma suonando in giro per l'Italia e con un ep live creato come omaggio all'autore. Splendida la cover di Suprema di Moltheni. Recensione http://www.impattosonoro.it/2010/09/23/recensioni/edda-in-orbita/
11 BACHI DA PIETRA Quarzo
Recensione http://www.impattosonoro.it/2010/11/01/recensioni/bachi-da-pietra-quarzo/
12 THUNDERSTORM Nero Enigma
13 BARNETTI BROS BAND Chupadero!
14 I LUF Flel
15 MARLENE KUNTZ Ricoveri virtuali e sexy solitudini
16 PAOLO CONTE Nelson
Recensione http://enzocurelli.blogspot.com/2010/11/dischi-in-ascolto-recensioni-di-elton.h
17NINA ZILLI Sempre lontano
18 MASSIMO PRIVIERO Rolling Live
19 IO? DRAMA Da consumarsi entro la fine
20 EVASIO MURARO O tutto o l'amore
21 MINISTRI Fuori
lunedì 6 dicembre 2010
BRUCE SPRINGSTEEN:recensione THE PROMISE, The Darkness on the edge of town STORY
Ci sono ricordi indelebili legati alla musica che ci si porta dietro per tutta la vita, ricordi che ciclicamente ritornano quando una canzone viene ascoltata, una copertina viene riguardata, analizzata per la millesima volta. Una vecchia cassetta a nastro raffigurante un giovane Springsteen, con i capelli arruffati, che posa davanti a delle persiane, una foto quasi rubata di prima mattina appena dopo il risveglio, un'istantanea che sembrava emanare odor di caffè e urgenza di riniziare una giornata dopo aver speso la nottata in studio di registrazione.
Viaggi in autastrada con quella cassettina protagonista, quando l'inglese era ancora una lingua marziana, ma le canzoni dicevano già tutto senza troppe analisi testuali. Quando la A4 diventava la mia Route 66 e i genitori fedeli compagni di viaggio, con le soste per il rifocillamento che diventavano l'anticamera di un nuovo ed ennesimo ascolto di quella musica. Forse, inconsciamente, si sognava già e quella raccolta di canzoni iniziava a prendere possesso di un posto importante che ancora occupa.
Per chi ha sempre considerato Darkness on the edge of town il picco lirico -musicale di Springsteen e la sua E-street band, questo cofanetto è pura manna dal cielo e godimento assoluto. Il disco uscito nel 1978 è stato il più sofferto e lavorato ed il poter avere in un solo colpo una visione totalitaria su tutto ciò che successe in quegli anni che vanno dal successo immediatamente dopo l’uscita di Born to run, comprese le due famose copertine contemporanee, datate 27 Ottobre 1975, sui due più grandi giornali statunitensi , Time e NewsWeek, fino al tour liberatorio e storico che lo traghettò verso gli anni ottanta e il doppio The River. Cinque anni pieni di fama, illusioni, cadute, battaglie, testardaggine e rivincite.
Il “futuro del rock’n’roll” di inizio anni settanta sembrava, in pochi attimi, azzerato e destinato a finire prestissimo con il rischio di diventare meteora, per colpa dell’assurda legge di mercato che si materializza nella persona che principalmente era un amico, il suo produttore e manager Mike Appel. La causa legale che lo tenne lontano da studio di registrazione e palchi, fu lo scatto di carriera che portò Springsteen ad essere quello che ancora è oggi.
Dal punto di vista musicale, molto è contenuto in questo box che raccoglie l’originale The Darkness On The Edge of Town ,rimasterizzato, più due cd raccolti sotto il titolo The Promise, che includono ventun canzoni delle circa settanta che Springsteen scrisse per questo album, mettendo a nudo una prolificità di scrittura impressionante. Darkness è un disco crudo, freddo e notturno, dove l’amore è marginale e per la prima volta compaiono personaggi che saranno i protagonisti delle canzoni di Springsteen da quel momento in avanti. Personaggi che sembrano arrivati al bivio della loro vita, persi dentro alla loro routine da working class hero e qui compare, per la prima volta, la figura paterna: nell’autobiografica Factory, dove la figura dell’operaio che varca il cancello dell’azienda di prima mattina sotto la pioggia ed espone il suo fisico a rischio, tutti i giorni, uno uguale all’altro, giorni di vita e lavoro, non è altro che suo padre, operaio come tanti. O come nella dura e cruda, sia musicalmente che testualmente, Adam raised a cain.
La speranza nascosta dentro a canzoni come Badlands. L’impressione di perdere grande parte della propria vita ad aspettare, un tempo sprecato che necessita di una speranza che un giorno possa elevare e portarti lontano dai bassifondi in cui si vive il presente.
THE PROMISE (2 CD)
The Promise, nelle sue ventuno canzoni (ventidue se si considera la ghost track The Way) non è altro che una piccola parte degli innumerevoli brani scartati dalla scaletta ufficiale di Darkness. Durante le session vennero registrate qualcosa come settanta canzoni, solo dieci vennero incluse nel disco, le altre vennero messe da parte. Alcune vennero riprese per i successivi dischi, altre videro la luce per la prima volta nel monumentale Tracks.
Bruce mise da parte canzoni che secondo la sua coscienza non rispecchiavano il “tema” lirico e musicale che Darkness aveva assunto. Canzoni troppo pop per farne parte. Molte, d’amore, stridevano se confrontate alla durezza e cinicità delle dieci prescelte, altre come la stupenda The Promise, vennero considerate dei doppioni. Insomma, alcune perle, inspiegabilmente, non trovarono mai la loro collocazione su disco, pur venendo rappresentate e suonate durante i live, venendo, nel tempo, oggetti ricercattissimi dai fan.
In modo inspiegabile, anche da chi era molto vicino a Bruce, The Promise (la canzone), inizialmente considerata scomoda per via di alcuni riferimenti alla vicenda Appel, il rock’n’roll di Fire che sembrò scritta per re Elvis, Because the night, incisa e completata da Patti Smith, Candy’s boy, Save my love, Talk to me, Spanish eyes vengono allo scoperto solo oggi ma lasciano intendere che gli archivi di quel periodo hanno ancora moltissimo materiale da offrire. Alcune non sono altro che alternate- track di canzoni che finirono tra le dieci elette: Racing in the Street ('78), Come on (Let's go tonight) svelando il lavoro impressionante e la cura di Springsteen verso ogni canzone. Arrivaò anche a scrivere cinquanta versioni diverse per ogni brano.
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The Promise, the making of Darkness on the erge of town
Questo film-documentario, presentato anche al festival romano questo autunno e che ha visto la presenza di Springsteen in passerella e durante la proiezione della prima, sostanzialmente si basa sulle riprese amatoriali ed in bianco e nero fatte in studio da Barry Rebo. Il compito di assemblare il tutto e tirarne fuori un film con interviste ai protagonisti di allora è affidato al regista Thom Zimmy.
La storia dell’album viene documentata e narrata in modo scorrevolissimo ed alcune scene rendono l’idea delle difficoltà che portarono alla realizzazione di Darkness. Il rapporto con Appel, l’affidamento del lavoro al nuovo produttore John Landau (che definisce il suono del disco "nero come il caffè") con la supervisione di Van Zandt(spassosissime alcune scene che lo ritraggono insieme al "boss" ad accennare per la prima volta quelle che in seguito diverranno le canzoni del disco) , la tenacia e il perfezionismo quasi maniacale di Springsteen in studio, le difficoltà incontrate dalla band nella ricerca del suono giusto ( le particolari ossessioni di Springsteen sul suono della batteria, "stick...stick...stick", amava ripetere fino alla nausea). Il problema di una nuova collocazione per il sax di Clemons, un pò sacrificato in questo disco, l'amore/odio dei compagni di band verso il quaderno di appunti di Bruce(fedelmente riprodotto e scrigno dell'intera opera), la storia della stesura di Because the night e l'intervento provvidenziale di Patti Smith.
Il nascente punk e l'incontro con il country di Hank Williams, cruciali per la direzione stilistica delle canzoni, le sessions fotografiche per la scelta della copertina e poi, i pareri di tutti i protagonisti che hanno lavorato all'album, musicisti e tecnici. Un quadro totalitario per capire la genesi dell'opera.
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Live Paramount Theatre, Asbury Park 2009.
Springsteen e la E-Street Band risuonano fedelmente l'intera scaletta di "Darkness on the edge of town". Una dimostrazione che, dopo trent'anni, la potenza e la precisione della band sono rimaste intatte ed immutate e che gli acciacchi del tempo non hanno scalfito la passione.
Thrill Hill vault 1976-1978
Raccolta di vecchi filmati, a volte sgranati e in bianco e nero, in studio e live, testimoni di quegli anni.
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Thrill Hill vault Houston '78 bootleg:house cut
176 minuti di concerto, una maratona che testimonia chi era Springsteen dal vivo in quegli anni. Un intero concerto a rappresentare il miglior tour di sempre. La popolarità di Springsteen iniziava ad essere troppo stretta se confinata ai piccoli teatri. Si spalancano, per la prima volta, le grandi arene che diverranno gli stadi e le folle degli anni ottanta. Iniziano a circolare le voci sulle grandi e famigerate maratone rock di Bruce e la sua band, capaci di suonare concerti titanici dalla durata di quattro ore. Una setlist strepitosa, che include anche canzoni che faranno parte del successivo lavoro "The River" e suonate in anteprima (Independence day, The ties that bind, Point blank), la stupenda versione live di Because the night che annienta l'originale di P.Smith, le divertite covers del Detroit medley, Quarter to three e lo spiritoso siparietto natalizio di Santa Claus is comin' to town.
giovedì 2 dicembre 2010
DISCHI IN ASCOLTO: recensioni di VOLBEAT(Beyond Hell, Above Heaven) GIANT SAND(Blurry blue mountain)
I danesi Volbeat sono il classico gruppo in grado di mettere d'accordo tutti i fruitori di musica rock. Dall'ascoltatore di mainstrean rock, passando dal metallaro più intransigente fino ai fan del punk. La loro formula è quanto di più semplice ci possa essere, partendo da un punk rock debitore dei migliori Misfits anni ottanta, soprattutto nella voce del cantante Michael Schon Poulsen, un esplosivo mix tra Danzig e James Hetfield(periodo Load), il suono tocca il country americano dell'idolo Cash, fino a sfociare nei riff thrash metal in canzoni dall'alto potenziale rock'n'roll vicine alle polveri delle strade americane raccontate dai Social Distorsion.
Il quarto capitolo non si sposta da quanto già proposto in precedenza, viaggiando dritto come un fulmine con la sua musica divertente e con un piede nellla mitologia del rock'n'roll anni '50.
Dalla pesantezza di pezzi come Who they are, 7 Shots, che inganna con la sua intro western per trasformarsi in una metal song quasi maideniana con Mille Petrozza dei Kreator come guest vocalist e Evelyn, Thrash tout-court con le vocals growl di Barney dei Napalm Death. Passando per veloci punk quali A better believer e canzoni vicine al rockabilly come 16 Dollars e Being 1 o al blues come in Heaven nor Hell, con tanto di armonica.
C'è posto perfino per A warrior's call un pesante inno scritto per il pugile danese Mikkel Kessler, probabilmente idolo in patria.
Disco, forse, un gradino inferiore ai precedenti, che ha l'unica colpa di non sorprendere più come le prime uscite ma che comunque centra l'obiettivo di svago che si è prefissato.
GIANT SAND Blurry blue mountain(Fire records, 2010)
Ascoltare i Giant sand , durante le prime giornate di neve invernale può essere un bellisimo surrogato al camino di casa. La band di Howe Gelb , unico superstite dell’originale formazione che negli anni ottanta diede l‘imput alll‘alt-country statunitense, tocca il ragguardevole traguardo dei 25 anni di carriera con un disco bello e rassicurante sullo stato di salute artistica, sicuramente lontano dai capolavori passati, ma in grado di toccare vette compositive di tutto rispetto.
La voce di Gelb, profonda ed intimistica e le atmosfere rarefatte dipingono paesaggi non poco lontani dall’immagine di copertina. Un’America spoglia e desertica, fatta di lunghe distese di praterie, dove la calma viene di volta in volta spezzata da raffiche di vento che alzano polvere e terra. Così come nel disco la lentezza di ballate folk sono squarciate da lampi e riverberi di chitarre.
Canzoni autobiografiche come l’iniziale Fields of green, la vita che scorre in tutte le sue fasi e i suoi spazi e proprio il tempo che scorre e la capacità di coglierne gli attimi sembrano ripetersi spesso(The fast one) durante il disco. L’aver sempre vissuto a Tucson in Arizona è sicuramente fonte di ispirazione per la musica di Gelb supportato dai suoi nuovi musicisti europei.
I sette minuti di Monk’s mountain sono sicuramente uno dei perni del disco, con il suo affresco di natura incontaminata , parte intima e soffusa per chiudersi con una chitarra elettrica vicina ai territori di Neil Young. Ride the rail si regge sull’epicità perduta del vecchio west, una canzone che Johnny Cash avrebbe fatto volentieri sua. Tra ballate pianistiche ed intime come Love a loser, Chunk of coal e Time Flies, spiccano le elettriche Thin line man e Brand new soap thing, che come il vento si abbattono su uno dei migliori dischi di fine anno.
giovedì 25 novembre 2010
DISCHI IN ASCOLTO, Recensioni di: ELTON JOHN/LEON RUSSELL, RAY DAVIES, PAOLO CONTE
Le note di copertina di questo disco, scritte da Elton John, parlano chiaro. Questa collaborazione con Leon Russell è il coronamento di un sogno inseguito per 40 anni, da quando lui novello musicista si affacciava nel grande star system musicale e vedeva in Russell un idolo da seguire ed imitare. Gli anni sono passati , Elton è diventato una stella pop miliardaria mentre Russell è rimasto una icona "cult".
Ora che Sir Elton John sembra aver riacquistato la voglia di comporre musica come una volta, i tempi sono maturi per chiamare il suo vecchio idolo e chiedergli una collaborazione e così è stato , via telefono, una serie di coincidenze ha permesso che il sogno si sia tramutato in realtà. Aiutati da T Bone Burnett alla produzione e assodato il gospel come punto di unione tra i due, quello che ne è uscito è uno straordinario disco, registrato in pochissimo tempo ed ispiratissimo. Gospel, blues e country uniti in un'ora di canzoni dove il pianoforte domina sovrano e le voci dei due artisti si confondono e confrontano. Musicisti di prim'ordine ad accompagnarli, da Marc Ribot a Don Was e Jim Keltner. Con alcuni picchi come in Gone to Shiloh dove si unisce a loro Neil Young alla voce. Passando da honk tonk boogie movimentati come Monkey Suit e A dream come true a canzoni dall'umore soul e nero come l'iniziale If it wasn't for bad o Hearts have turned to stone. Un disco fortissimamente voluto e pensato alla vecchia maniera e finalmente qualcosa che può essere equiparato ai grandi dischi degli anni settanta senza sfigurare.
RAY DAVIES See my friends (Universal, 2010)
Mai come in questi ultimi anni, la produzione artistica di un gruppo come i Kinks è stata rivalutata e ridata in pasto al grande pubblico, quasi a dimostrare quanto la band, negli anni sessanta, non avesse nulla da invidiare a Rolling Stones e Beatles. Un grande contributo a tutto ciò è arrivato dallo stesso autore Ray Davies che nel volgere di due anni, fa uscire due compilation delle canzoni del suo vecchio gruppo, riadattate in modo originale. La prima uscita, l'anno scorso, con la rilettura affidata ad un coro da chiesa e questa, grazie all'ausilio di duetti , alcuni riusciti altri un pò meno, con artisti anche agli antipodi tra di loro.
Ascoltiamo così You really got me in compagnia dei Metallica, appensatita ancor più di quanto fecero i Van Halen nel loro primo disco e una Dead end street addolcita dalla nuova star del folk-pop Amy Macdonald. Bisogna riconoscere a quasi tutti gli ospiti di averci messo qualcosa di loro nel riproporre dei classici senza tempo come Bruce Springsteen che fa sua una canzone minore come Better things o come le nuove promesse del folk britannico Mumford & sons in Days/This time tomorrow, a Jackson Browne che dona un tocco di west coast a Waterloo sunset o a un Billy Corgan in forma nella rilettura di All day and all of the night/Destroyer.
Sono della partita tra gli altri anche Mando Diao, Black Francis, Lucinda Williams, John BonJovi e altri tutti da scoprire.
PAOLO CONTE Nelson (Platinum, 2010)
Il ritorno di Conte dopo il poco ispirato Psiche, riappacifica il cantautore con i fans e con il suo vecchio repertorio. Ancora una volta si respirano quelle atmosfere rarefatte di velato jazz e swing care al piemontese, anche se in alcune sporadiche canzoni compaiono alcuni suoni elettronici riconducibili al precedente lavoro.
Conte è esplicito nel dedicare il disco al suo amato cane scomparso, Nelson, appunto e al suo storico produttore Renzo Fantini.
C'è divertimento nel comporre e giocare con le lingue, come mai prima, tanto da scrivere due intere canzoni in inglese come Sarah e Bodyguard for myself, un invito a esplorare meglio in se stessi ed amarsi di più. Enfant prodige e C'est beau sono invece in francese e la seconda è cantata in coppia con Laura Conti .
Atmosfere caraibiche con Los amantes del mambo in spagnolo, mentre in Suonno è tutt'o' suonno si avventura con il dialetto napoletano. Bello il singolo L'orchestrina che evoca antiche immagini e ti si stampa in testa al primo ascolto, così come Clown è amara e cinica nei suoi pochi versi. Un disco che accompagna in punta di piedi con la sua leggiadrezza e in un periodo socio-culturale dove il chiasso e la prevaricazione sono all'ordine del giorno è pura gioia per le orecchie. Direi adatto per iniziare e finire le giornate.
martedì 16 novembre 2010
DISCHI IN ASCOLTO , brevi recensioni di: Ryan Bingham, Bryan Ferry, Skunk Anansie, Kings of Leon, Bob Dylan
Passato recentemente in Italia, Bingham arriva al suo terzo importante disco con il pesante peso di un oscar vinto, per la miglior colonna sonora, dalla sua canzone The Weary Kind contenuta nel film Crazy Heart, dove il nostro ha avuto anche una piccola parte come attore. Proprio da questa canzone sembra partire il nuovo lavoro prodotto da T Bone Burnett. Le canzoni sembrano preferire l'intimità, l'introspezione e il lato acustico, lasciando da parte per un attimo l'anima più elettrica, rock e blues dei precedenti lavori. Ballate che strizzano l'occhio al country, alla polvere del deserto texano e ai grandi sentimenti. Un disco che fa della semplicità la sua forza e che vede Bingham, accompagnato dalla sua fedelissima band, The Dead Horses, ritagliarsi un importante fetta di futuro tra i grandi cantautori americani.
BRYAN FERRY Olympia (Virgin records, 2010)
Dopo l'album di cover dedicato a Dylan, uscito quattro anni fa, ritorna con otto canzoni scritte di proprio pugno e due cover, il dandy del glam rock anni settanta. Presentato in copertina dal volto di Kate Moss, Olympia è un disco di gran mestiere pop che si avvale di numerosissimi ospiti tra cui il bassista Flea presente nel primo singolo You can dance , a David Gilmour, i vecchi compagni Roxy Music al completo nel rifacimento di Tim Buckley , Song to the siren , ai giovani Groove Armada nella danzereccia ed elettronica Shameless. Un disco che conferma l'eleganza musicale di Ferry, senza grandi colpi di scena, tra vecchio glam rock e pop, un piacevolissimo ascolto.
SKUNK ANANSIE Wonderlustre (Carosello records, 2010)
La voglia di reunion voluta fortissimamente dai fans, ha prodotto un lavoro diverso dai precedenti ma che sarà usato come un buon trampolino di lancio per i tour che seguiranno, perchè in fondo è il palco il vero habitat naturale di una leonessa come Skin.
Certamente è l'album meno arrabbiato della band inglese, il rock degli anni novanta, sporadicamente presente come in It's doesn't matter, è sostituito da canzoni più meditate e dilatate, fluidamente pop e mature come il ruffiano singolo di lancio My Ugly Boy. La vena più ribelle sembra essersi persa con l'età ed alcuni dubbi sulla natura della reunion non possono che affiorare.
KINGS OF LEON Come Around Sundown (RCA records, 2010)
Il loro nome campeggia tra i grandi del rock del nuovo millennio, ma questa volta, la band dei fratelli Followill, mi sembra si sia adagiata un pò troppo sul successo del precedente Only By the Night, sfornando un disco senza guizzi, piatto e monocorde come delle ipotetiche giornate trascorse sulla spiaggia ritratta in copertina. Se nel precedente album vi erano delle hit come Sex on fire, su questo vi è calma piatta e nemmeno la pur bella voce di Caleb Followill fa il miracolo. Purtroppo una brutta copia del precedente lavoro che ha i suoi unici punti di interesse quando si spostano sul sound anni '50 di Mary o nel country di Back Down South . Spero di ricredermi con gli ascolti.
BOB DYLAN The Witmark demos:1962-1964-THE BOOTLEGS SERIES vol. 9 (Sony music, 2010)
Gli archivi di Dylan non hanno quasi più segreti dopo l'uscita di questa nona opera. Questa volta si è andati a pescare indietro nel tempo, immediatamente dopo la prima uscita discografica di Dylan(1962). Bob Dylan fu chiamato dalla Witmark, importante casa di edizioni musicali, ad eseguire in modo molto informale,con sola chitarra ed armonica, le proprie canzoni in repertorio in modo da poterle registrare e farle ascoltare ad eventuali altri artisti che le potessero poi incidere in via ufficiale. Dylan ha poco più di vent'anni , ma un bagaglio di canzoni incredibile. Queste canzoni sono state recuperate e date in pasto così come furono registrate, tra colpi di tosse, improvvise interruzioni e rumori di sottofondo. Tra esse almeno 15 vedono per la prima volta la luce, le altre sono comunque le prime bozze di canzoni che entreranno nella storia come Masters of war, Girl from the north country, The time's they are a-changin' e Mr. Tambourine man. Doppio cd con 47 canzoni accompagnate da un prezioso volumetto di 60 pagine contenente la storia di queste registrazioni.
lunedì 8 novembre 2010
FAUST'O : recensione SUICIDIO (1978)
La copertina lascia poco spazio all'immaginazione, il plagio, la citazione, la reverenza verso Heroes di Bowie è palese e poco nascosta.
Il biennio 1977/78 fu di radicale cambiamento per la musica. Non solo di punk si tratta ma una nuova concezione musicale che andrà a pescare le sue influenze nei più svariati mezzi di comunicazione e di costume della società, tutto quello che ne conseguirà diede nuovi sbocchi alla musica, contaminazioni che germoglieranno negli anni a venire.
Anche l'Italia ha i suoi "eroi" del periodo, personaggi che lavoreranno nel sottosuolo cercando di portare nel belpaese quello che in Inghilterra e negli States erano all'ordine del giorno. Echi del duca bianco immerso nel periodo berlinese, di Lou Reed e la scena newyorchese, della nascente scena New Wave e post-punk, in particolar modo degli amati Ultravox!, l'elettronica e della scena glam-rock britannica più decadente come Roxy Music e i suoi leaders maximi Eno e Ferry, sono evidenti ma, con particolare bravura, rivisitati e riveduti in modo del tutto personale,uscendone fuori come incarnazione di una nuova figura da poeta maledetto. Suicidio di Faust'O è forse uno dei migliori esempi e ritratti dell'epoca, i fine anni settanta, anni che riportavano i "fumati" sogni di qualche anno prima con i piedi in terra, dove il no future sbandierato dal punk sembrava profetizzarsi anche troppo presto.
Quello di Faust'O è un ritratto del mondo, amaro e dissacrante, che si prende beffa di tutto e tutti, senza giri di parole e falsi moralismi. Anche se in più occasioni l'autore si dissociò molto da questo suo debutto, arrivando anche a rinnegarlo in alcuni passaggi e metodi di realizzazione, non si può dire che il messaggio di rottura non arrivò forte e chiaro, spontaneo o no che fosse.
Certamente in Italia non si era ancora preparati a sentire certe parole, certi concetti e certe critiche che affondavano il coltello nella ferità in modo così dissacratorio. Forse un album come questo ancora oggi farebbe fatica ad essere accettato e digerito. Il triste destino che se ne parli solo e solamente come un reperto "cult" ne è la testimonianza chiara, mentre dovrebbe, a tutti gli effetti, essere considerato tra i migliori lavori musicali (ancor più, essendo un debutto) usciti in Italia.
Nulla viene risparmiato, le catasfrofi naturali, il sesso, la religione, il mal di vivere, i vizi, le virtù, la ricchezza, la corruzione. Se da una parte dell'Italia c'era un Rino Gaetano che usava ritornelli e ottimi brani di facile presa per far arrivare messaggi "forti" dall'altra c'era Faust'O con le sue liriche concettuali e graffianti e le musiche così spoglie, nervose e nude, quasi fredde e distaccate ma comunque sempre d'impronta pop e a volte quasi teatrali.
Fausto Rossi è friulano di nascita e la citazione del terremoto che colpì il Friuli Venezia Giulia nel 1976 in Suicidio non è casuale .(Sento tutto quello che mi gira intorno è noia, noia, noia. Anche il terremoto adesso mi da solo noia, noia, noia). Faust'O analizza un gesto estremo e finale collegandolo al mal di vivere e al pieno nulla della società circostante tanto da far passare in secondo piano un avvenimento che lo ha coinvolto da vicino.
Faust'O si avvale dell'aiuto in studio di registrazione di Alberto Radius, famoso per il suo ruolo nella band Formula 3, ma soprattutto grande chitarrista e compositore, anche lui mai troppo lodato a dovere e con la produzione di Oscar Avogadro.
I toni teatrali di Godi sono uno sputo in faccia al dilagante perbenismo della società cattolica ed ad un'Italia schiava e repressa dallo Stato Vaticano.
Godi, però di nascosto, nel cesso, nel bosco.
nell'ultimo posto in cui Dio ti vedrà!
No, non farti problemi, nascondi le mani
nel mondo dei nani sei grande anche tu!
E vergognati alla sera mentre dici una preghiera
della voglia di bestialità! (da "Godi")
Vi è poi un attacco esplicito e diretto ai poteri forti, alla ricchezza e alla corruzione derivante e dilagante. I testi di Bastardi e della conclusiva Benvenuti tra i rifiuti, non hanno bisogno di ulteriore spiegazione. Le liriche sono quanto di più crudo ed esplicito si possa chiedere da canzoni di denuncia, il tutto su un tappeto di suoni che cita tanto il post/punk quanto il glam rock inglese.
Quando cade la notte
e i vostri sogni si fanno pesanti
ricchi, poveri politicanti
siete figli della merda
noi scaviamo dentro il buio
vomitiamo sangue sulle vostre verità!
Benvenuti tra i rifiuti
non vi cacceremo via! (da "Benvenuti tra i rifiuti")
Parole scomode che forse mai nessuno osò pronunciare prima in maniera così diretta all'interno di una canzone.
Vi è poi il tentativo di toccare temi tabù e comunque delicati, cercando di portare a galla problemi legati all'infanzia e ai sopprusi morbosi da parte del mondo adulto verso i bambini . Segni da portare dietro come enormi sassi per tutta la vita.
C'è un posto caldo e Piccolo Lord sono due stupende mini operette-pop/rock. Mentre la prima parla di sopprusi e devianze sessuali, la seconda racconta della triste vita di un bimbo prodigio costretto ad allietare le giornate delle amiche di una mamma bene in vista. Ma l'idea di ribellione, nascosta e repressa, scatterà in lui e gli farà compagnia per tutta la vita non senza rimpianti.
Harry!!
suona il piano un po' per noi
su da bravo.
solo un pezzo solo dai!
Harry!!
suona un po' Chopin per noi
guarda com'è bravo
vuole ancora un po' di tè!? (da "Piccolo Lord")
Il mio sesso è un'altra esplicita canzone sul rapporto assai conflittuale tra un uomo e il suo apparato genitale, spesso vera e propria guida spirituale nel bene e nel male dell'essere umano di sesso maschile. A volte prigionieri e vittime di un qualcosa che nemmeno il cervello riesce a controllare e domare. Insomma l'uomo che ragiona con il c***o.
Il mio sesso è spesso solo
mi chiede un po' di aiuto
ma io mi sento solo quanto lui
E' fragile e pauroso
triste e silenzioso
vorrebbe che lo amassi un po' di più.
Spesso ne ho bisogno, mi sfogo su di lui
ho paura che sia il contrario
che sia lui ad usare me (da "Il mio sesso")
Faust'O tiene a battezzo( forse anticipato dal solo Tenco, ma erano altri tempi) ed incarna una nuova generazione di cantautore italiano, decadente e maledetto, poco disposto ed incline a piegarsi alla nascente società consumistica che gli anni ottanta produrranno. La sua visione del mondo è pessimistica e poco disposta a lasciare filtrare raggi di luce positiva. Mette alla berlina incubi e visioni dell'uomo moderno, senza cadere nella banalità ma usando un linguaggio tagliente tra slogan dal forte sapore punk e colpi da teatro burleasque e arraggiamenti fuori dai classici schemi. Un germe del male che si insinua nell'uomo già in giovane età, seminato da un mondo adulto che si rispecchia compiaciuto nell'apparenza e nella finzione e dove il sesso Freudiano fa da spalla ideale. Il bello è che Faust'O continuerà a produrre grande musica già dal successivo passo discografico(Poco Zucchero, 1979) una anno dopo...
martedì 2 novembre 2010
MT. DESOLATION recensione
MT.DESOLATION Mt. Desolation (2010)
Eccovi servito il disco d'autunno, quello ideale per accompagnare serate davanti al calore domestico di un camino o se siete più mondani, davanti ad una o più pinte di birra all'interno del vostro british pub preferito.
Proprio in quest'ultimo ambiente sembra essere nata l'idea di questo supergruppo. Si sa, quando l'alcol entra in circolo , le inibizioni cadono e alcune cose sparate al momento per puro caso possono nascondere verità e certezze assolute. E' successo che i due componenti principali dei Keane, Tim Rice Oxley e Jesse Quin, gruppo derivativo e non certo imprescindibile del brit-pop inglese, quello senza chitarre, per intenderci, buttarono giù l'idea di confrontarsi con un genere come il country-folk. L'idea ha coinvolto amici come Country Winston dei Mumford e sons al banjo, Ronnie Vannucci dei Killers e Tom Hobden dei Noah and the whale, mentre le canzoni sembravano uscire in modo spontaneo, tanto da essere poste al giudizio preventivo del popolo di internet che in poco tempo ne ha decretato il successo. A questo punto il passo dall'idea abbozzata al disco è stato breve, confermando come, spesso, la spontaneità paga più del lavoro studiato a tavolino.
L'atmosfera che si respira in quasi tutto il disco a parte poche eccezioni, è di una musica melanconica e riflessiva, un folk-country alternativo che sembra strizzare più l'occhio al british folk che all'America. Insomma un disco da sbronza triste.
L'apertura potrebbe trarre in inganno con Departure una canzone saltellante e divertita dal forte ritornello pop con la seconda voce di Jessica Staveley Taylor al controcanto che diventa invece protagonista in Another night on my side mentre duetta con Jesse Quin. Echi quasi springsteeniani affiorano da Annie Ford mentre in State of our affairs si viene catapultati lungo le brughiere britanniche evocando onde alte e fredde che si infrangono lungo alte coste scogliere. The "Midnight ghost" è un pigro viaggio nell'America ispirato da i "Vagabondi del Dharma" di Jack Kerouac, romanzo che riprendeva il viaggio di "Sulla strada", ambientandolo però nella natura delle montagne e dei boschi.
Platform 7 è forse la canzone più "americana", un honk-tonk country spedito e svagato che lascia lo spazio ad una My my my, che con la sua armonica cerca di aprire su orizzonti desertici ma che alla fine rimane con il piede ben piantato in terra d'albione e forse questo è la caratteristica che pervade tutto l'album. Non necessariamente negativa ma che anzi rende l'album degno di ascolto e nel suo piccolo originale.
Dello sbandierato country americano in verità vi è molto poco ma quello che ne è uscito è un fresco disco dalle atmosfere rarefatte, intriso di melanconia pop/folk sicuramente in grado di avvolgere l'ascoltatore dentro ad un abbraccio rassicurante da parte di giovani artisti in vacanza (autunnale) dai loro gruppi base.