giovedì 25 novembre 2010

DISCHI IN ASCOLTO, Recensioni di: ELTON JOHN/LEON RUSSELL, RAY DAVIES, PAOLO CONTE

ELTON JOHN/LEON RUSSELL The Union (Mercury Records, 2010)

Le note di copertina di questo disco, scritte da Elton John, parlano chiaro. Questa collaborazione con Leon Russell è il coronamento di un sogno inseguito per 40 anni, da quando lui novello musicista si affacciava nel grande star system musicale e vedeva in Russell un idolo da seguire ed imitare. Gli anni sono passati , Elton è diventato una stella pop miliardaria mentre Russell è rimasto una icona "cult".
Ora che Sir Elton John sembra aver riacquistato la voglia di comporre musica come una volta, i tempi sono maturi per chiamare il suo vecchio idolo e chiedergli una collaborazione e così è stato , via telefono, una serie di coincidenze ha permesso che il sogno si sia tramutato in realtà. Aiutati da T Bone Burnett alla produzione e assodato il gospel come punto di unione tra i due, quello che ne è uscito è uno straordinario disco, registrato in pochissimo tempo ed ispiratissimo. Gospel, blues e country uniti in un'ora di canzoni dove il pianoforte domina sovrano e le voci dei due artisti si confondono e confrontano. Musicisti di prim'ordine ad accompagnarli, da Marc Ribot a Don Was e Jim Keltner. Con alcuni picchi come in Gone to Shiloh dove si unisce a loro Neil Young alla voce. Passando da honk tonk boogie movimentati come Monkey Suit e A dream come true a canzoni dall'umore soul e nero come l'iniziale If it wasn't for bad o Hearts have turned to stone. Un disco fortissimamente voluto e pensato alla vecchia maniera e finalmente qualcosa che può essere equiparato ai grandi dischi degli anni settanta senza sfigurare.




RAY DAVIES See my friends (Universal, 2010)

Mai come in questi ultimi anni, la produzione artistica di un gruppo come i Kinks è stata rivalutata e ridata in pasto al grande pubblico, quasi a dimostrare quanto la band, negli anni sessanta, non avesse nulla da invidiare a Rolling Stones e Beatles. Un grande contributo a tutto ciò è arrivato dallo stesso autore Ray Davies che nel volgere di due anni, fa uscire due compilation delle canzoni del suo vecchio gruppo, riadattate in modo originale. La prima uscita, l'anno scorso, con la rilettura affidata ad un coro da chiesa e questa, grazie all'ausilio di duetti , alcuni riusciti altri un pò meno, con artisti anche agli antipodi tra di loro.

Ascoltiamo così You really got me in compagnia dei Metallica, appensatita ancor più di quanto fecero i Van Halen nel loro primo disco e una Dead end street addolcita dalla nuova star del folk-pop Amy Macdonald. Bisogna riconoscere a quasi tutti gli ospiti di averci messo qualcosa di loro nel riproporre dei classici senza tempo come Bruce Springsteen che fa sua una canzone minore come Better things o come le nuove promesse del folk britannico Mumford & sons in Days/This time tomorrow, a Jackson Browne che dona un tocco di west coast a Waterloo sunset o a un Billy Corgan in forma nella rilettura di All day and all of the night/Destroyer.
Sono della partita tra gli altri anche Mando Diao, Black Francis, Lucinda Williams, John BonJovi e altri tutti da scoprire.







PAOLO CONTE Nelson (Platinum, 2010)

Il ritorno di Conte dopo il poco ispirato Psiche, riappacifica il cantautore con i fans e con il suo vecchio repertorio. Ancora una volta si respirano quelle atmosfere rarefatte di velato jazz e swing care al piemontese, anche se in alcune sporadiche canzoni compaiono alcuni suoni elettronici riconducibili al precedente lavoro.
Conte è esplicito nel dedicare il disco al suo amato cane scomparso, Nelson, appunto e al suo storico produttore Renzo Fantini.
C'è divertimento nel comporre e giocare con le lingue, come mai prima, tanto da scrivere due intere canzoni in inglese come Sarah e Bodyguard for myself, un invito a esplorare meglio in se stessi ed amarsi di più. Enfant prodige e C'est beau sono invece in francese e la seconda è cantata in coppia con Laura Conti .
Atmosfere caraibiche con Los amantes del mambo in spagnolo, mentre in Suonno è tutt'o' suonno si avventura con il dialetto napoletano. Bello il singolo L'orchestrina che evoca antiche immagini e ti si stampa in testa al primo ascolto, così come Clown è amara e cinica nei suoi pochi versi. Un disco che accompagna in punta di piedi con la sua leggiadrezza e in un periodo socio-culturale dove il chiasso e la prevaricazione sono all'ordine del giorno è pura gioia per le orecchie. Direi adatto per iniziare e finire le giornate.

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