JOHN DOE Fables In A Foreign Land (Fat Possum Records, 2022)
il fattore X
John Doe difficilmente ha sbagliato un disco negli ultimi tempi, sia quando ha dettato le cordinate degli X, sia quando ha vestito i panni del cantastorie in versione solista. E non c'è bisogno di andare troppo indietro nel tempo, il ritorno della band nel 2020 con Alphabetland era un buon disco, cosa non scontata per dei ritorni, l'ultimo solista The Westerner uscito sei anni fa fu una delle migliori uscite cantautorali del 2016 . E pure Fables In A Foreign Land si gioca le sue degne carte: nell'idea di fondo nei testi delle canzoni, ambientati tutti negli anni novanta del 1800 creando un parallelismo di perdite e desolazione con i due recenti anni di lockdown, "c'è molto da dormire per terra, molta fame, molto isolamento. Tutto ciò si inserisce nel tipo di isolamento e mancanza di stimoli moderni che le persone penso abbiano iniziato a riscoprire durante il blocco della pandemia" racconta Doe, nei suoni minimali su cui l'album si tiene benissimo in piedi, la sua forza, grazie all'aiuto del bassista Kevin Smith e del batterista Conrad Choucroun, sulle canzoni oggettivamente tutte belle. Difficile trovare pecche in questi tredici brani d'impalcatura folk (l'iniziale 'Never Coming Back'), dove il violino seduce in 'Down South', che scivolano nel tex mex (la fisarmonica in 'Guilty Bystander'), che cavalcano l'epopea Western ('The Cowboy And The Hot Air Balloon'), in fondo il protagonista principale di tutto l'album è un cowboy errante, o a sostenuto ritmo Hillbilly ('Travellin So Hard). Collaborano Terry Allen, Louie Perez (Los Lobos), la compagna di mille battaglie Exene Cervenka e Shirley Manson (Garbage).
Parlando ancora del periodo pre industriale nel quale sono ambientate le canzoni, John Doe dice: "dovevi lottare per sbarcare il lunario, tenere un tetto sopra la testa e tenere il cibo in tavola". Apro il giornale, lo sfoglio e quello che che ci trovo sono queste cose.
Un disco dai messaggi attuali con vecchi suoni folk intorno.
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