sabato 9 luglio 2022

RECENSIONE: NEIL YOUNG with CRAZY HORSE (Toast)

NEIL YOUNG with CRAZY HORSE   Toast (Reprise, 2001/2022)


facciamo colazione (anche) con un toast del resto

Quando Toast venne registrato, l'undici Settembre sembrava ancora la fantasiosa bozza per la sceneggiatura di un film di fantascienza. Eppure mancavano veramente pochi mesi all'avvenimento che ancora oggi  considero l'inizio di tutto quello che stiamo vivendo in questi ultimi anni. Un avvertimento. L'inizio di qualcosa che andrà sempre più peggiorando. Ma in quelle ultime settimane del 2000 e prime del 2001 quando Neil Young chiama a sé i fidati Crazy Horse (Billy Talbot, Poncho Sampedro e Ralph Molina) nessuno poteva immaginare il futuro. Si chiudono nei Toast Studios di San Francisco ("un vecchio studio a SoMa, un bel quartiere di artisti che stava per essere sopraffatto dai loft e dai nuovi palazzi generati dal boom del puntocom, la bolla dell'era digitale" racconterà su Special Deluxe) e registrano una manciata di canzoni che dovranno confluire in un album chiamato appunto Toast che lo stesso Young anticipò pure alla stampa. Ma come spesso accade Neil Young è vittima di mille ripensamenti, dubbi, incertezze. Le versioni grezze, rockeggianti ma anche l'atmosfera "umorale e jazzata" che animano le canzoni sembrano non andare bene con l'idea che ha in testa. A detta del canadese suonavano "troppo deprimenti" e si respirava un senso di "precarietà" che coinvolgeva "persino i Crazy Horse". "In studio non andava bene, nonostante i momenti grandiosi e intensi la musica non era felice e neanche ben definita" racconterà sempre su Special Deluxe. Neil Young e i Crazy Horse decidono di fermare le registrazioni e partire per un tour in Sud America.

Al ritorno, continuano le registrazioni ma alla fine si arrendono :" era un album desolato, molto triste, senza risposte. Penso abbiate capito che non ho voglia di parlarne". 

Decide di riregistrare alcune canzoni già provate con i Crazy Horse insieme a Booker T.&The Mg's dando loro un'impronta più r&b e soul, perdendo in immediatezza e profondità.

 Intanto il tempo passa, l'undici Settembre arriva lasciando il suo segno e Are You Passionate? esce nei negozi come tutti lo conosciamo. E Toast che fine ha fatto? La lunga, epica cavalcata elettrica 'Goin Home' è l'unica suonata con i Crazy Horse a ricordare quelle prime session di registrazioni. La canzone si stacca notevolmente dal mood dell'intero disco e si sente chiaramente. Da quelle session a San Francisco vengono riprese anche  'Quit', 'How Ya Doin' (che diventerà 'Mr.Disappointment') e 'Boom Boom Boom' (ribattezzata 'She's A Healer') che però subiranno il trattamento di Booker T.


Ora che abbiamo in mano l'intero progetto Toast, possiamo affermare che le sette canzoni avevano un'anima, che lo stesso Young ha spiegato così: "la musica di Toast riguarda le relazioni. C’ è un momento in molte relazioni in cui le cose vanno male, molto prima della rottura vera e propria, quando diventa chiaro per uno dei due, o forse entrambi, che è finita. Questo era quel momento". C'è un velo di solitudine e tristezza che riposa sopra le canzoni, certamente un lascito di una crisi amorosa con la moglie Pegy (tra l'altro presente insieme a Istrid Young in alcuni cori) con la quale si era trasferito a San Francisco, in un appartamento a Green Street.

La tambureggiante 'Goin Home' dentro a Toast non è più una mosca bianca sola come lo era su Are You Passionate? ma è circondata dall'assalto hard garage di 'Standing In The Light Of Love' con l'Old Black che tiene testa ai "cavalli", dai dieci minuti di 'Gateway Of Love', dai tredici di 'Boom Boom Boom', esercizio jammato e jazzato, che ci regala dei Crazy Horse profondi, accompagnati da percussioni, cori femminili, pianoforte e tromba e da una bella, confidenziale e malinconica versione di 'How Ya Doin'.

In conclusione  tra pezzi ripescati su Are You Passionate?, e pezzi già presentati in versione live, l'unico veramente inedito rimane 'Timberline', un rock sferragliante e divertente, dal coro ripetuto infinite volte, un organo a canna sullo sfondo e la storia di "un tizio religioso che ha perso il lavoro. Così si vota a Gesù. Non può più tagliare alberi. È un taglialegna".

Alla fine la migliore definizione dell'album la da Neil Young tra le pagine di Special Deluxe, dedicando a quel periodo un buon pezzo di capitolo:"il titolo dell'album avrebbe dovuto essere Toast e quello sembrava: un Toast con dentro tanta sostanza. Suonai la chitarra come un vecchio ottone, con un suono enorme, slabbrato, triste. Ralphie, Billy e Poncho gli avevano dato il classico passo funky e potrebbe anche essere un gioiellino. I fantasmi di Coltrane e dei suoi musicisti erano dappertutto in quello studio. Fu un'esperienza spirituale, depressa, quasi fuori".

Un disco certamente per fan accaniti, un po' come tutti gli archivi ma anche un chiaro manifesto della straripante vena artistica di Neil Young, che si perde in vasi sanguigni sempre "troppo" carichi di passione, esuberanza, dubbi, ripensamenti. Vita.





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