mercoledì 16 dicembre 2020

RECENSIONE: PAUL McCARTNEY (III)

PAUL McCARTNEY    III (Capitol Records, 2020)


chi fa da solo... 

Qualche anno fa quando la mia musica viaggiava ancora tra  chilometri di nastri in cassette e le immagini delle copertine erano quelle che ammiravi nei cataloghi di dischi, qualcuno, non so più chi, mi disse: "guarda che in quella cassetta dei Beatles che stai ascoltando non c'è il vero Paul McCartney ma un suo sosia". Stupore e incredulità. E mi raccontò tutta la simpatica storiella, leggenda o verità, chissà, dietro alla copertina di Abbey Road. Era ed è sempre qualcosa di affascinante da raccontare, ci hanno costruito libri e trasmissioni televisive. Quando la mia musica ha iniziato a viaggiare su supporti diversi da quelle cassette registrate sempre con tanta fatica, mi sono fatto la discografia di quel sosia. Bravo per essere un imitatore mi sono sempre detto, anche se a volte rincorreva l'originale senza arrivarci. E chi poteva dirlo che nell'anno 2020, così fortemente segnato da una pandemia che verrà ricordata nei libri di storia, quell'imitatore chiuso nella sua  casa di campagna nel Sussex insieme alla sua famiglia allargata, all'età di 78 anni, quella vera di Paul McCartney (chissà qual'è quella del sosia?) riuscisse a tirare fuori un disco suonato completamente da solo che in qualche modo completa la trilogia iniziata dallo scarno debutto acustico del 1970 e proseguita con II, con le sue stranezze elettroniche uscito dieci anni dopo nel 1980. Due dischi massacrati dalla critica all'uscita e rivalutati dal tempo. E allora scopri che qui dentro ci sono almeno altri cinque o sei Paul McMartney: quello che suona il basso, quello alla batteria, quello al piano, quello alla chitarra elettrica, quello al contrabbasso…proprio come in quei vecchi album. Manca solo Linda. 

Bello constatare come a differenza di tanti di noi, il sosia si sia divertito così tanto durante il lockdown, che il periodo è stato marchiato con un "made in rockdown". L'apertura è cosa assai straniante: uno strumentale a tutto fingerpicking con un riff blues ripetuto in loop che sa un po' di prog, di oriente e un po' troppo di prolisso ('Long Tayled Little Bird') ma che prepara la strada a ciò che arriverà. 

"Vivevo in isolamento nella mia fattoria con la mia famiglia e andavo ogni giorno nel mio studio. Dovevo fare un po’ di lavoro su un po’ di musica da film e questo si è trasformato nel brano d’apertura e poi, quando è stato fatto, ho pensato: cosa farò dopo?"

Ecco, dopo arrivano tante cose, a volte piacevoli, in alcuni momenti però sembra ci sia confusione come nel polpettone di otto minuti 'Deep Deep Feeling', farcito a dismisura fino a risultare indigesto tra falsetto, innesti black e aperture progressive. Troppo e niente allo stesso tempo. Le cose migliori sembrano arrivare quando gioca con la semplicità. 

Sì prende tutta la libertà, è pur sempre (il sosia di) Paul McCartney, di spaziare  tra il pop (questo sì che gli riesce bene) di 'Find My Way' dove gioca con il falsetto e  il folk romantico di 'The Kiss Of Venus', lasciandosi andare a qualche confessione privata ('Seize The Day'), per arrivare al rock della corale 'Slidin' e dell'incalzante  'Lavatory Lil' che sembra fare  addirittura il verso ai Queens Of The Stone Age di 'No One Knows' fino a raccontarci dei suoi passatempi in campagna e in giardino tra prati e alberi  nel delicato folk di ' When Winter Comes' recuperata da vecchie cose scritte per Flaming Pie, album del 97 con George Martin in produzione.

Certo, quando si  siede al pianoforte e tira fuori 'Woman And Wives' anche la voce segnata inevitabilmente dal tempo (pare Johnny Cash nelle American Recording) diventa un punto di forza. 

È allora mi ripeto, come allora: non male per un vecchio sosia che cerca di mantenere ancora in vita uno dei più grandi compositori pop a cavallo di due secoli. Poi giri la copertina e c'è una sua foto: non è mica Paul McCartney quello!





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