lunedì 2 marzo 2020

RECENSIONE: HUMULUS (The Deep)

 HUMULUS   The Deep (Kozmik Artifact, 2020)




nuovi orizzonti in profondità
Mettersi in mano ai tedeschi. Detta così sembra quasi una minaccia, ma a volte può essere salvifico e in questo caso diventare pure appagante e stimolante per il futuro. Il gruppo bergamasco/bresciano ha fiutato bene il territorio europeo più adatto alla propria proposta musicale e la decisione sembra dare buoni risultati già da qualche tempo. Gli affollati festival europei già affrontati dalla band sono lì a dimostrarlo.
THE DEEP esce per l'etichetta tedesca Kozmik Artifact mentre le date live saranno in mano all'agenzia berlinese Magnificent Booking. Ben fatto.
Benedetti da fiumi di birra che nell'etichetta porta il loro nome, prodotta dal birrificio Elav (questo sì 100% italiano come loro) e rappresentati questa volta da un polpo in copertina (in passato c'erano trichechi e elefanti) con THE DEEP il gruppo di Andrea Van Cleef (chitarra e voce), Giorgio Bona (basso) e Massimiliano Boventi (batteria) arriva al traguardo dei dieci anni di carriera con un album in grado di giocarsi le migliori carte sopra ai più importanti palchi europei di musica pesante grazie ad una proposta mai stagna ma in continuo movimento, sinonimo di grande libertà artistica, da leggere anche come maturità.
Le due canzoni che sfiorano i quindici minuti 'Into The Heart Of The Volcano Sun' e 'Sanctuary III-The Deep' sembrano già racchiudere gran parte della loro bibbia musicale fatta di luci, chiaro scuri e buia profondità spalmate su lunghe divagazioni psichedeliche dal forte richiamo progressive e pesanti ripartenze stoner doom con il particolare timbro vocale di Andrea Van Cleef a toccare le corde più basse soprattutto nei tre minuti di quiete dell'acustica 'Lunar Queen', la cosa più vicina ai suoi lavori solisti.
Ma se la cavalcata stoner 'Gone Again' (accompagnata dal video) e la sabbathiana 'Devil' s Peak' mostrano il lato più heavy e intransigente, sono le lente e magnetiche sfumature etniche e tribali di 'Hajra' interrotte da violente esplosioni elettriche cariche di fuzz a regalare all'intero disco otto sorprendenti minuti che mettono in luce la perfetta coesione raggiunta della band.
Un viaggio lungo cinquanta minuti tra infinito deserto, alte stelle, profondi fondali e sogni onirici. Musica che scuote forte la pancia e galleggia quieta nel cervello.







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