lunedì 6 marzo 2017

RECENSIONE: DANKO JONES (Wild Cat)

DANKO JONES   Wild Cat  (AFM, 2017)




Se fossi donna potrei dire che Danko Jones non mi fa più bagnare come ai tempi di BORN A LION (2002). Quel garage blues vizioso e scollacciato-che faceva già pensare ad un nuovo John Spencer Blues Explosion- è stato via via coperto, disco dopo disco, da un hard'n'heavy rock molto più potente ma anche più prevedibile e scontato, portato avanti con quel pilota automatico di nome mestiere. Eppure il canadese (con John “JC” Calabrese e Rich Knox in formazione e Eric Ratz alla produzione) continua a rimanere quell'irriverente figlio di buona donna con la giusta attitudine, l’urgenza e la sfrontatezza di chi suona vero rock’n’roll senza inutili orpelli, con basso, batteria e chitarra come se non ci fossero altri giorni dopo questo. In studio come nei live. Gli stereotipi del rock’n’roll che piacciono tanto sono tutti presenti (è la sua forza), nei titoli, nei testi, nei chorus, nella forma, ma dopo vent’anni e otto dischi, Danko Jones rimane uno dei venditori più credibili in materia, sia quando ritorna al blues abrasivo (‘Revolution’), strizza l’occhio al punk più melodico (‘Diamond Lady’), si veste da quindo Kiss (‘My Little RnR’) o riga dritto per le strade aperte dall’amico Lemmy (‘Let’s Start dancing’). Il tutto con il chiodo fisso del sesso sempre ben piantato in testa. Poi ti piazza una canzone come ‘You Are My Woman’, un dichiarato omaggio ai Thin Lizzy di Phil Lynott, e allora, sotto sotto, proprio lì, vorresti essere veramente donna. C'è ancora la vecchia formula: Watt, sudore e "gnocca" (a volte con eccesso maniacale di machismo, ma con tutto il rispetto possibile) sono ancora ingredienti basilari per divertirsi senza dare o chiedere troppo in più. Basta saperlo. Divertimento comunque, e sempre, assicurato in un disco che fila liscio dall'inizio alla fine senza rallentamenti.





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