mercoledì 24 ottobre 2012

RECENSIONE: JEFF LYNNE ( Long Wave )

JEFF LYNNE   Long Wave  (Frontiers Records, 2012)


Totalmente incurante della stasi del mercato discografico, Jeff Lynne fa uscire in contemporanea due nuovi lavori che di nuovo non hanno pressoché nulla, se non la data 2012 stampata sul retro copertina. Uno, di pochissima utilità, è la fittizia raccolta degli ELO, Mr.Blue Sky, in verità trattasi di un greatest hits che racchiude le canzoni più gettonate del suo vecchio gruppo risuonate totalmente da se stesso, giustificando il tutto con un semplice ed eloquente "mi piace suonare". L'altro è questo Long Wave.
Strano destino quello di Jeff Lyne. Nei primi anni settanta ereditò e si mise sulle spalle il successo degli Electric Light Orchestra (ELO), dopo la dipartita di Roy Wood. Un successo commerciale costruito assumendosi tutte le responsabilità di un suono pomposo,altisonante ed orchestrale con manie di grandezza che elevavano la tradizione del rock'n'roll, e soprattutto l'amore per i Beatles, ad un suono che spesso travalicava il consentito pur di accontentare il suo smisurato ego produttivo, con buona pace dei puristi del rock. Eppure il successo gli arrise per buona parte degli anni settanta, sfruttando e tappando i buchi lasciati dai quattro baronetti, mentre la sua ossessione, anche maniacale, per la perfezione dei suoni lo portò a divenire uno dei produttori più richiesti degli anni ottanta e novanta. Dagli ex Beatles, George Harrison, Ringo Starr e Paul McCartney che cercavano il loro passato ed in lui rivedevano il nuovo George Martin (lo stesso Lynne, in un momento di alta autostima, si autoproclamò suo erede), da Dylan, a Tom Petty fino a Roy Orbison, finendo per diventare parte integrante, e anello debole per caratura artistica, del supergruppo Travelling Wilburys ( in bella compagnia di Bob Dylan, Roy Orbison, Tom Petty e George Harrison) che finì anche per produrre, naturalmente a suo modo (il primo Volume). Sono sempre stato convinto che da questi artisti ci si poteva aspettare veramente di più, anche se le registrazioni nacquero con il carattere "divertito" e di svago. 
Non sorprende che il suo ritorno solista (un solo altro album a suo nome, ma di canzoni originali, Armchair Theatre del 1990) avvenga con un album di cover raccolte nella profondità della sua memoria di adolescente quando negli anni cinquanta davanti al solo canale radio della BBC ascoltava questi brani, un po' come è avvenuto con gli ultimi lavori di  Paul McCartney e Phil Collins. Quasi a voler confermare questa sua incapacità dallo staccarsi da certi stilemi musicali, che da ispirazione iniziale, si sono trasformati in ossessione, vivendo un po' la sindrome del secondo arrivato. Cosa darebbe per trasformarsi nel "quinto beatle" o prendere il posto di Paul McCartney lungo le striscie pedonali di Abbey Road
11 canzoni per la risicata durata di 28 minuti, che escono per la partenopea Frontiers Records. Canzoni che lo stesso Lynne si suona completamente da solo, senza nessun aiuto esterno se non per gli arrangiamenti orchestrali ad opera di Marc Mann e l'aiuto di Steve Jay; a tal proposito, eloquente il divertente e ironico video registrato per Mercy,Mercy, che lo ritrae clonato più volte a formare una fittizia band che di finto, a questo punto, ha ben poco. Un altro modo per affermare la sua megalomania.
Ascoltando She di Charles Aznavour, If I Loved You canzone del 1945 del musical Carousel, Smile di Chaplin, So Sad degli Everly Brothers datata 1960, At Last portata al successo da Etta James, la curiosità si trasforma presto in sbadiglio, constatando quanto la maggior parte delle canzoni siano state trasferite verso la sua cifra stilistica che continua a rimanere quella legata ai Beatles più melodici e orchestrali, meno sperimentali, finendo presto per stancare ed uniformare la quasi totalità del disco verso le fin troppe rassicuranti, avolgenti e calde atmosfere melodiche dei sixties.    
Un disco che passerebbe via in un batter d'occhio (complice anche la risicata durata, e possiamo aggiungerci anche l'aggettivo "benedetta"), anche in modo piacevole e divertente se i punti più movimenti come il soul di Mercy, Mercy, o il rock di Let It Rock di Chuck Berry non fossero rimasti in netta minoranza.
Rimane da chiedersi quanto un prodotto di questo genere possa interessare ad un pubblico che non ascolta nulla di originale da Lynne da circa vent'anni, se non constatare quanto sia solamente un mero sfizio e capriccio che Lynne si toglie aspettando che una ventata di originale ispirazione passi vicino alla sua zazzera di capelli. Per chi ha ancora voglia di aspettarlo. 

1 commento:

  1. Non c'e' nulla di meno veridico di questa inutile, noiosa, ripetitiva, poco scorrevole e saccente recensione.

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