venerdì 29 luglio 2011

RECENSIONE: JOHN HIATT ( Dirty Jeans and Mudslide Hymns)

JOHN HIATT Dirty Jeans and Mudslide Hymns (NEW WEST Records, 2011)


Il buon Hiatt sembra averci preso gusto e anche quest'anno ci delizia l'estate con una nuova uscita a breve distanza dai suoi due, ottimi ultimi dischi: Same Old Man(2008) e The Open Road(2010), confermando tuttavia una prolificità da primato in questo nuovo millenio.
Registrato a Nashville, il suo ventesimo disco in carriera si può senza dubbio considerare il fratello del precedente, anche se alcune sostanziali differenze ne danno una lettura diversa. A partire dalla produzione affidata, questa volta ad un esterno, Kevin Shirley, produttore sudafricano noto soprattutto per i suoi lavori con gruppi di area heavy/hard rock.
Piace la tesa apertura affidata al primo singolo Damn this Town, una rock/ballad irrequieta e chitarristica, oscura ed affilata dove la sua band The Combo (Kenneth Blevins-batteria, Doug Lancio-chitarre, Patrick O'Hearn-basso) si mette in mostra accompagnando un testo che fa affiorare storie di vita in tempi duri da vivere per tutti.
Apertura di disco fuorviante, comunque, perchè il resto delle canzoni si adagia in tutta rilassatezza su un suono americana e roots che tocca l'elettrico ma poche volte si lascia andare al rock mantenendo comunque un suo carattere fortemente malinconico ed oscuro.
Un disco sempre in bilico tra la vita e l'amore, anche quando quest'ultimo sentimento è rivolto ad una macchina. E' il caso di Detroit Made dove Hiatt proclama tutto il suo amore per la Buick Electra 225, classico macchinone "vintage" americano soprannominato "Deuce and a quarter", con un divertente rock'n'roll "on the road". Ancora viaggi, questa volta cambiando mezzo di trasporto, in Train to Birmingham, un country/folk da viaggio tutto americano (...I been ridin' on this train, Drinkin' whiskey for the pain, just another good ol' boy goin home).
Le canzoni del cantautore dell'Indiana continuano la riscoperta della tradizione avvenuta ormai da alcuni dischi a questa parte, senza perdere di vista la varietà musicale che lo porta ad eseguire canzoni che toccano il rock come nell'opener, il blues, così come il country/folk, esempio ne sono le pedal steel che disegnano spazi dilatati nella celebrazione dell'amore in 'Til get my lovin'back.

Down Around My place è una delle due gemme del disco secondo il mio punto di vista, poetica e malinconica ballad che si apre in acustico fino a quando la chitarra elettrica di Doug Lancio irrompe per poi spegnersi così come era iniziata, l'altra è Hold on for your love, una dark ballad che nasconde un'anima soul con la voce di Hiatt e gli assoli di chitarra dilatati che fanno il resto. Bellissima.
La splendida e nera voce di Hiatt risalta anche nel blues di All the way Under.

Sprazzi di malinconici raggi di un tramonto west coast illuminano Adios to California, un'altra ballad fortemente evocativa (...Living in the canyon then Hangdown Hanna and Whiskey Jim, Dirty jeans and mudslide hymns, That all began with soon...) mentre un'orchestra fa capolino in Don't wanna leave you now , Hiatt canta la paura della perdita che accompagna un quasi sessantenne.
I love that Girl è divertita e leggera tanto quanto When New York had her heart broke è una lenta, triste e commossa dedica a chi esattamente l'11 Settembre di dieci anni fa piangeva i suoi cari nel cuore di New York.

Prendendo come metro di paragone gli ultimi dischi di Hiatt, quindi lasciando fuori i suoi capolavori Bring the family(1987) e Slow turning(1988), questo è quello che a pochi giorni dall'ascolto mi ha colpito di più, grazie ad un carattere uniforme e quasi darkeggiante negli umori, un disco sentito che conferma lo splendido stato di grazia del suo autore che continua un periodo di alta prolificità senza perderne in qualità. Buona e rara dote.

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