martedì 28 novembre 2017

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 51 : NEIL YOUNG & CRAZY HORSE (Re-Ac-Tor)

NEIL YOUNG & CRAZY HORSE   Re-Ac-Tor (1981)




 L’aver trovato questo vinile giù, nello scaffale più basso, nascosto tra le offerte a due euro di un negozio di dischi, in mezzo a tante meteore canterine degli anni ottanta, e dopo aver sacrificato ginocchia e schiena per scovarlo, la dice tutta sulla dura vita a cui RE-AC-TOR è andato incontro dal 1981, anno d’uscita, fino a oggi. Una metafora calzante. Purtroppo vera, anche se per molti non lo sarà. Un disco spesso dimenticato, anche dal suo autore, che quando uscì lasciò l’amaro in bocca ai fan della prima ora, ancora ignari dell’imminente e bizzarro futuro, anche ben peggiore di questo, che li stava aspettando. RE-AC-TOR fu solo il primo dei tanti indecifrabili passi in avanti (o indietro?) di Neil Young nel nuovo decennio. Un decennio aperto con HAWKS AND DOVES in verità, dove però recuperava vecchie canzoni scritte anni prima, rimanendo sui binari già frequentati. Qui, tutto è nuovo, registrato in pochissime sedute insieme ai Crazy Horse, ritagliando spazi di vita dall’impegnativo ruolo di genitore che stava prendendo tutto il tempo a disposizione, giustamente: Neil Young e la moglie Pegi sono impegnati con il piccolo figlio Ben, nato con seri problemi cerebrali. Il suo programma di riabilitazione è duro e richiede una presenza fissa e costante. Bravo Neil!
Nasce così RE-AC-TOR, un disco diretto, sbrigativo e quasi raffazzonato, imbottito di sovraincisioni bizzarre aggiunte da Young ma che furono poi mal digerite dai restanti Crazy Horse a lavoro finito, ma da quel taglio hard rock e cazzuto in grado di dare una direzione ben precisa a tutto il lavoro. La sua salvezza. Un muro di chitarre dall’inizio alla fine. Minimale nei testi e nella musica. Testi criptici e slogan, apparentemente senza senso, ripetutti all’infinito quasi come dei mantra: ormai da antologia quel “Got Mashed Potatoes, Ain’t Got No T-Bone” uniche parole presenti nei nove minuti di ‘T-Bone’. "La notte che l’abbiamo registrata non è successo nient’altro. Avevo appena scritto il testo della canzone e abbiamo registrato il tutto quella notte. Una cosa da buona alla prima. Sembra che il testo fosse nella mia mente. È molto ripetitivo, ma io non sono un tipo così inventivo. Pensavo che quelle due linee fossero buone...." Neil Young.
Pure nel retro copertina campeggia una scritta in latino (La preghiera della serenità) che solo in retrospettiva diventerà più nitida e chiara. RE-AC-TOR suona come RUST NEVER SLEEPS senza il lato acustico e con meno ispirazione nei testi, anche se almeno il lato B presenta qualche canzone da ricordare (nel lato A ‘Surfer Joe And Moe The Sleaze’ è la migliore): il galoppante treno in corsa di ‘Southern Pacific’ ("L'ho composta con la chitarra dobro. Avevo in mente il rumore di un treno"), ripresa recentemente dai Del Lords nel loro ritorno discografico, il country rock tutto macchine e motori di ‘Motor City’, il blues di ‘Rapid Transit’, sebbene abbia un testo abbastanza insulso e Neil Young lo canti strascicando le parole, e la finale ‘Shots’, che sembra riacquistare l’antica epicità di vecchie canzoni, piena di feedback, salvo poi perderla in pesanti sovraincisioni, dove compare per la prima volta il Synclaver che diverrà protagonista dal successivo TRANS. La Reprise non gradirà e da qui inizierà un nuovo cammino discografico fatto di dischi uno diverso dall’altro. Intanto, oggi, RE-AC-TOR rimane uno dei migliori testimoni del connubio Young-Crazy Horse. Un disco spesso sottovalutato e nascosto appunto. Ecco le mie ginocchia! Quando Neil Young entrò sì in studio, ma la sua testa era da altre parti. Parti che influenzeranno pesantemente il risultato finale. A fine disco si percepisce, ma questo diverrà il valore aggiunto. Anche di tutta la carriera. La spontaneità a Neil Young non è mai mancata: nel bene, nel male e nelle vie di mezzo come questo disco. Amo i dischi di serie B. Ma poi, è di serie B veramente?



PUNTATE PRECEDENTI
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #18: BOB DYLAN-Street Legal (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #19- CRAZY HORSE-Crazy Horse (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #20-TOM PETTY-Wildflowes/Echo (1994/1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #21-NICOLETTE LARSON-Nicolette (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #22-AMERICA-Silent Letter (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #23-ERIC ANDERSEN-Blue River (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #24-BADLANDS-Voodo Highway (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #25-GEORGE HARRISON-Living In The Material World (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA#26: DAVID CROSBY GRAHAM NASH-Wind On The Water (1975)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #27: DICKEY BETTS & GREAT SOUTHERN (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #28: JUNKYARD-Junkyard (1989)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #29: STEPHEN STILLS (1970)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #30: RITMO TRIBALE-Bahamas (1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #31: SUZI QUATRO-Suzi Quatro (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #32: BADFINGER (1970)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #33:RONNIE LANE'S SLIM CHANCE    One For The Road (1976)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #34: EDOARDO BENNATO- Edo Rinnegato (1990)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #35: GENE CLARK-White Light (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #36: JOHNNY WINTER-Second Winter (1969)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #37: CAPTAIN BEYOND-Captain Beyond (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #38: ROD STEWART-Every Picture Tells a Story (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #39: GEORGE THOROGOOD & DESTROYERS-Bad To The Bone (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #40: THE ROLLING STONES-Their Satanic Majesties Request (1967)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #41: ALBERTO FORTIS (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #42: NOMADI-Gente Come Noi (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #43: CROSBY, STILLS & NASH-Daylight Again (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #44: TERRY REID (River)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #45: JACKSON BROWNE-Running On Empty (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #46: THE ROLLING STONES-Emotional Rescue (1980)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #47:TOM PETTY-Highway Companion (2006)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #48:STEVE FORBERT-Alive On Arrival (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #49:CRY OF LOVE -Brother (1993)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #50:THE BLACK CROWES-By Your Side (1999 )

 

venerdì 24 novembre 2017

RECENSIONE: AMERICA (Heritage: Home Recordings/Demos 1970-1973)

AMERICA  Heritage: Home Recordings/Demos 1970-1973   (Omnivore, 2017)




Mi sciolgo con poco. Prendete gli AMERICA, una delle prime band ascoltate e amate tra i miei sei e dieci anni, raccogliete sedici tracce (occhio alla traccia nascosta: una versione a cappella del loro maggior successo ‘Horse With No Name’) recuperate tra demo, inediti e provini risalenti al primissimo periodo della band e farete di me un uomo contento come pochi.
HERITAGE: HOME RECORDINGS/DEMOS 1970-1973 esce per l’ etichetta Omnivore e grazie alla collaborazione dei due membri Gerry Beckley e Dowey Bunnell (sue le parole di presentazione nello scarno booklet interno)-purtroppo il terzo componente Dan Peek, uscito dal gruppo nel 1977, ci ha lasciato nel 2011- recupera preziose testimonianze risalenti al periodo immediatamente precedente la realizzazione del primo album uscito nel 1971, del secondo HOMECOMING (tra cui spicca una bella versione di ‘Ventura Highway’) e del terzo HAT TRICK, più 'Monster', canzone poi inclusa su HARBOR del 1977. "Avevamo 17, 18 e 19 anni quando incominciammo seriamente a scrivere queste canzoni nel 1970." Racconta Bunnell.
Alcune sono versioni embrionali di canzoni che finiranno sul debutto (‘Riverside’, Rainy Day’ ‘Satan (Donkey Jaw)’, altre inediti come ‘James Holladay’ e ‘Sea Of Destiny’ registrate a Londra al Chalk Farm Studio quando erano solamente tre giovani ragazzi dal futuro ignoto, figli di tre militari statunitensi in servizio nel TRegno Unito che scelsero di chiamarsi America dopo aver visto un jukebox "Americana" in una caffetteria, e la bella ‘Mitchum Junction’ registrata ai Buzz Studios di Los Angeles nel 1972.

Ci sono idee abbozzate ( la breve ‘When I Was Five’), canzoni fatte e finite, molte verranno arricchite nei passaggi successivi in studio. Tutto molto grezzo e spartano (alcune canzoni sono monche, spesso si sentono rumori e le voci in studio) ma abbastanza per mettere in fila le loro principali influenze (Crosby, Stills & Nash, Neil Young, i Beatles), il loro folk rock dalle impeccabili melodie pop e a ruota il mio cuore affamato di musica, tenuto presto a battesimo dai loro dischi.



AMERICA: Back Pages (2011)
AMERICA: Silent Letter (1979)
AMERICA: Homecoming (1972)
GERRY BECKLEY-Carousel (2016)



lunedì 20 novembre 2017

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 50: THE BLACK CROWES (By Your Side)

THE BLACK CROWES   By Your Side (1999)






Sabato 10 Luglio 1999: una bufera di pioggia si scatena sul Monza Rock Festival. Alcuni gruppi in scaletta saltano ma vengono spostati al giorno successivo. Un po’ esulto, che diamine non può andare sempre di sfiga. Io avevo scelto quel giorno successivo! I principali sono Aerosmith e Litfiba (con l’ultimo concerto di Piero Pelù in formazione). Lo vengo a sapere il giorno dopo, appunto: io ero lì principalmente per i Black Crowes e il loro set sarà incastonato in mezzo tra la band di Boston e quella di Firenze. Posizione strategica. Gli Aerosmith fanno un gran concerto pescando bene nel passato, quello dei Litfiba è abbastanza penoso, mettendo in risalto una band ai ferri corti che giunge al termine dei propri impegni per contratto. E i Black Crowes? I Black Crowes si presentano sul palco esattamente come si vedono nella copertina del nuovo disco che stanno per presentare live. Un disco che già adoravo. Il pubblico sembra distratto. Gli Aerosmith hanno appagato i rocker, i fan dei Litfiba sono in spasmodica trepidazione. I Black Crowes fanno un gran concerto, certo penalizzato dai tempi ristretti, ma per quel che ricordo, alla fine, conquistano sia i rocker appagati quanto il pubblico distratto di Pelù. Per gli amanti delle statistiche ho recuperato la scaletta: ‘No Speak No Slave’, ‘Go Faster’, ‘Stare it Cold’, ‘Go tell the Congregations’, ‘Sting Me’,‘Heavy’, ‘Hard to Handle’, ‘Kicking my Heart Around’, ‘Virtue and Vice’, ‘Jealous Again’, ‘Remedy’. BY YOUR SIDE uscì dopo un periodo poco felice: THREE SNAKES AND ONE CHARM non esaltò troppo, arrivando dopo un disco monstre come AMORICA, Marc Ford e Johnny Colt escono dal gruppo, c’è pure il cambio di etichetta discografica con il passaggio alla Sony.
Tanti voltano le spalle. Eppure BY YOUR SIDE, ben prodotto da Kevin Shirley, spesso dimenticato ma presentato da una copertina mai così glam e glitterata, è un disco scalpitante, certamente il più accessibile in discografia, che si impossessa maggiormente della parte più british della loro musica: quella legata al rock blues dei Led Zeppelin , degli Stones, di Rod Stewart e i suoi Faces e la mischia con il suono nero americano. ‘Go Faster’ e ‘Kickin’ My Heart Around’ fanno muovere il culo e battere i piedi fin da subito: rock’n’roll senza freni e sezione ritmica a palla (Steve Gorma e Sven Pipen i protagonisti). ‘By Your Side’ è la canzone che Jagger e soci non fanno da trent’anni. ‘HorseHead’ ha i riff di Keith Richards benedetti sotto l’acqua santa dei cori gospel. ‘Only A Fool’ è una ballata soul condotta dai tasti del povero Eddie Harsch e dai fiati. ‘Heavy’ mischia le due anime del disco: da una parte il rock, dall’altra il R&B. ‘Welcome To The Goodtimes’ è tra gli episodi più inusuali ma riusciti del disco: Rod Stewart meets New Orleans e la voce di Chris Robinson ne esce vincitrice. Un piacere incontrarvi. Il fratello Rich Robinson rimane solo al comando delle chitarre e in ‘Then She Said My Name’ va giù duro prima di arrivare al bel finale di ‘ Virtue And Vice’ con ancora Harsch protagonista. “Gotcha Moving, Gotcha Moving…Keep You Rolling” ancora da capo.


PUNTATE PRECEDENTI
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #18: BOB DYLAN-Street Legal (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #19- CRAZY HORSE-Crazy Horse (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #20-TOM PETTY-Wildflowes/Echo (1994/1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #21-NICOLETTE LARSON-Nicolette (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #22-AMERICA-Silent Letter (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #23-ERIC ANDERSEN-Blue River (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #24-BADLANDS-Voodo Highway (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #25-GEORGE HARRISON-Living In The Material World (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA#26: DAVID CROSBY GRAHAM NASH-Wind On The Water (1975)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #27: DICKEY BETTS & GREAT SOUTHERN (1977)
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DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #29: STEPHEN STILLS (1970)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #30: RITMO TRIBALE-Bahamas (1999)
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DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #32: BADFINGER (1970)
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DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #34: EDOARDO BENNATO- Edo Rinnegato (1990)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #35: GENE CLARK-White Light (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #36: JOHNNY WINTER-Second Winter (1969)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #37: CAPTAIN BEYOND-Captain Beyond (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #38: ROD STEWART-Every Picture Tells a Story (1972)
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DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #42: NOMADI-Gente Come Noi (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #43: CROSBY, STILLS & NASH-Daylight Again (1982)
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DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #47:TOM PETTY-Highway Companion (2006)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #48:STEVE FORBERT-Alive On Arrival (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #49:CRY OF LOVE -Brother (1993)

 

martedì 14 novembre 2017

RECENSIONE: BILLY BRAGG (Bridges Not Walls)

BILLY BRAGG-Bridges Not Walls (Cooking Vinyl, 2017)







BILLY BRAGG sorseggia il suo amato the caldo e non le manda a dire. Non lo ha mai fatto. Con i grandi del rock che sembrano sempre meno interessati a quello che capita intorno a loro nel mondo (non tutti fortunatamente), Bragg rimane coerente con il percorso di tutta la sua carriera e butta fuori un istant Ep di sei canzoni (22 minuti) dal titolo significativo BRIDGES NOT WALLS, raccolta di sei singoli fatti uscire quest’anno, uno al mese, che raccontano di muri, Trump, brexit, ambiente e razzismo, tra cui spiccano l’iniziale elettrica ‘The Sleep Of Reason‘ (titolo preso in prestito da un’opera di Goya) la splendida cover di ‘Why We Build The Wall’, solo voce e chitarra elettrica, della cantautrice folk americana Anais Mitchell e ‘Saffiyah Smiles’ ispirata dalla foto diventata virale che ritrae una ragazza che usa l’arma del solo sorriso davanti ad un esponente di estrema destra durante la manifestazione anti immigrati svoltasi a Birmingham questo Aprile . Dopo aver girato l’America di stazione in stazione in compagnia di Joe Henry è arrivato il momento di abbattere i muri con l’urgenza comunicativa del folk (e del punk perché no?) e costruire i ponti con il linguaggio musicale più sofisticato (solo pianoforte e voce in ‘Full Exist Brexit’), frutto delle esperienze raccolte in una carriera ormai ultratrentennale che partì proprio con un Ep LIFE’S A RIOT WHIT SPY VS SPY nel lontano 1983 in piena era Thatcher. Poco sembra essere cambiato. “È la tragedia dell’essere un cantautore politico, le tue canzoni tendono a ritornare…” raccontò in una intervista a Rumore questa primavera. Unico e combattivo come sempre.


RECENSIONE: MAGPIE SALUTE-Magpie Salute (2017)
RECENSIONE: ELLIOTT MURPHIE-Prodigal Son (2017)
RECENSIONE: GARLAND JEFFREYS-14 STeps To Harlem (2017)
RECENSIONE: JOHN MELLENCAMP- Sad Clowns & Hillbillies (2017)
RECENSIONE: TAJ MAHAL & KEB' MO'-TajMo (2017)
RECENSIONE: CHRIS STAPLETON: From A Room, Volume I (2017)
RECENSIONE: WILLIE NELSON-God's Problem Child  (2017)
RECENSIONE: DAN AUERBACH-Waiting On A Song (2017)
RECENSIONE: STEVE EARLE & The DUKES-So You Wannabe An Outlaw (2017)

RECENSIONE: BLACKFOOT GYPSIES-To The Top (2017)
RECENSIONE: LEE BAINS III + THE GLORY FIRES-Youth detention (2017)
RECENSIONE: GEORGE THOROGOOD-Party Of One (2017)
RECENSIONE: NEIL YOUNG-Hitchhiker  (2017)
RECENSIONE: JAKE BUGG- Hearts That strain (2017)

lunedì 13 novembre 2017

L.A. GUNS live@Circolo Colony, Brescia, 11 Novembre 2017

L.A.GUNS live @Circolo Colony, Brescia, 11 Novemvbre 2017

Se togliessimo i cellulari in sala, l’impressione è quella d’ essere tornati nel 1988, anno d’uscita del loro primo e inarrivabile disco, o almeno nel 2000 anno in cui il cantante Phil Lewis e il chitarrista Tracii Guns collaborarono per l’ultima volta. Una reunion che ha finalmente messo un po’ d’ordine, e di pace, nella incasinata carriera dei L.A.Guns e un disco fresco di stampa THE MISSING PEACE appunto, onesto e per nulla nostalgico che ha consolidato il tutto. Già dalla intro scelta dalla band, l’epica ‘Diary Of A Madman’ di Ozzy Osbourne, si capisce che sarà una serata come ai vecchi tempi ma tutt'altro che nostalgica: la partenza con l’ultima ‘Devil Made Me Do It’ lo ribadisce. Volumi alti, altissimi davanti in transenna (ci si sposterà dietro per godersi meglio il tutto), e tanto rock’n’roll. Tutti in grande forma: Phil Lewis ha sessant’anni ma si mangia fisicamente l’odierno Axl Rose (cinque anni più giovane) in un solo boccone, Tracii Guns dispensa sorrisi e assoli in contemporanea e sembra ben ripreso dal non specificato malore che ha fatto cancellare la data romana di pochi giorni fa, il secondo chitarrista Michael Grant è la vera grande sorpresa della serata e lo spazio centrale del concerto è tutto suo con una interpretazione di ‘Purple Rain’ di Prince che rasenta la perfezione per pathos ed esecuzione, ottimo veramente, il bassista Johnny Martin, gambe eternamente divaricate sembra uno dei fratelli Ramone rimaterializzatosi improvvisamente sul palco, il batterista Shane Fitzgibbon picchia duro dall’inizio alla fine. E via di ‘Bitch Is Back’, ‘Reap And Tear’, ‘Malaria’, ‘No Mercy’, ‘Ballad Of Jayne’, ‘Over The Edge’…E un raggio di sole torna a splendere dopo le focose e viziose nottate sul Sunset Strip. Le insegne si spengono e si fa giorno. Ma poi, visto che siamo nel 2017 e ci sono i cellulari: tutti con le mani alzate che la band ci vuole fotografare dal palco. Serata hot.




SETLIST
The Devil Made Me Do It
Electric Gypsy
Over the Edge
Bitch Is Back
Sex Action
The Flood’s the Fault of the Rain
Speed
One More Reason
Kiss My Love Goodbye
Purple Rain
Malaria
Guitar Solo
Never Enough
Jelly Jam
The Ballad of Jayne
No Mercy
Rip and Tear


 

lunedì 6 novembre 2017

NICK CAVE and The BAD SEEDS live@Kioene Arena, Padova, 4 Novembre 2017



appunti
NICK CAVE si confonde tra il suo pubblico, si fa quasi inghiottire: questo il finale del concerto. La sublimazione di una serata condotta come una cerimonia: la camminata messianica nel parterre di pochi attimi prima era solo il preludio, anche se sul momento sembrava l’atto finale e poteva esserlo alla grande. Una scelta avventata, per certi versi pacchiana (forse la presenza in video del soprano in ‘Distant Sky’ lo era di più) che ha spezzato nettamente l’atmosfera del concerto, costruita con meticolosità fino a quel momento: suoni pazzeschi, Bad Seeds perfetti, e il bilanciamento chirurgico tra il rapimento delle ballate, comunque in maggioranza, da velluto rosso pop (‘Into My Arms’) e gli scatti feroci dei pezzi più tirati con un Warren Ellis scalciante e posseduto (‘The Mercy Seat') . Un finale che, bisogna dirlo francamente, poteva essere migliore. Un venite a me, che il giorno dopo però, assume il suo vero significato. Cave aveva due modi per sopravvivere: chiudersi mantenendo le distanze, come suggerito da SKELETON TREES o darsi totalmente più di quanto fatto fino a quel momento, sacrificando pure le due canzoni di congedo ('Stagger Lee, 'Push The Sky Away'), perse completamente in mezzo al caos della bolgia. Farci sentire il suo cuore che fa “boom boom boom” non gli bastava più. Dovevamo mangiarlo. Quel “mi sono letteralmente sentito salvato dal pubblico” ha trovato compimento fisico in quel finale totalizzante, caotico anche se surreale. Ma salvifico.

momenti da ricordare
Il trittico 'From Here To Eternity', 'Tupelo', 'Jubilee Street' rimane il momento più intenso da impacchettare e portarsi a casa come ricordo duraturo.
punto a favore
Nick Cave crede fortemente nei suoi ultimi lavori, soprattutto all'ultimo cupo SKELETON TREE, nato dopo la morte del figlio Arthur, su cui ruota l'intero concerto. Per un artista che potrebbe campare benissimo sul passato è certamente segno di grande vitalità.
momenti da dimenticare
Quella vitalità artistica che sembra avere un calo spaventoso nel finale, quando Cave diventa più cerimoniere per se stesso che cantante e tutto ciò che fino a pochi attimi prima era intenso e ipnotico, diventa caotico e irrazionale. La band scompare letteralmente dietro ai fan chiamati sul palco, la concentrazione svanisce e quelli che dovevano essere i brani finali, l'apoteosi, diventano un indistinguibile marasma. Forse l'esagerazione che ci pone un amletico interrogativo: si apre un nuovo capitolo per Nick Cave?







SETLIST
Anthrocene
Jesus Alone
Magneto
Higgs Boson Blues
From Her to Eternity
Tupelo
Jubilee Street
The Ship Song
Into My Arms
Girl in Amber
I Need You
Red Right Hand
The Mercy Seat
Distant Sky
Skeleton Tree
The Weeping Song
Stagger Lee
Push the Sky Away


martedì 31 ottobre 2017

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 49: CRY OF LOVE (Brother)

CRY OF LOVE  Brother (Columbia, 1993)







Se nei primi anni novanta l’alto piedistallo creato per le band di Seattle costrinse alle ginocchia molte realtà musicali legate al rock più duro (chiedere a glamster e thrasher, o all’heavy metal più classico), non si può dire la stessa cosa per il southern rock americano che proprio in quegli anni sembrò avere un piccolo ma importante sussulto di buona salute dopo le malate ombre grige degli anni ottanta, proprio perché, come il grunge, assorbiva linfa vitale e si abbeverava dall’acque più torbide dell’hard blues dei 70. Black Crowes, Mother Station, Brother Cane, Widespread Panic, Badlands, Pride And Glory, Raging Slab, Junkyard, Gov’t Mule, The Four Horsemen,The Screamin’ Cheetah Wheels e appunto i CRY OF LOVE. Pur inserito nel calderone del rock sudista (da cui rubava gli umori), il gruppo nato a Raleigh in North Carolina volgeva il proprio sguardo aldilà dell’Atlantico fino ad arrivare all’hard blues britannico, con in testa i Free di Paul Rodgers e Paul Kossoff, a seguire Cream e Rory Gallagher. L’ascolto di ‘Hand Me Down’ e ‘Peace Pipe’ (che ebbe anche un gran successo nelle charts all’epoca) può fugare ogni dubbio sulle loro principali influenze. Se il cantante KELLY HOLLAND, che dopo questo primo disco lasciò la band per una progressiva discesa negli inferi dell’alcolismo e dell’anonimato che lo condussero verso la strada senza uscita della morte, avvenuta a soli 52 anni nel 2014, si può considerare tra i maggiori emuli di Paul Rodgers, il chitarrista AUDLEY FREED, che ritroveremo nei BLACK CROWES a cavallo tra il 1997 e il 2002 (periodo LIONS e LIVE AT THE GREEK), impersonava benissimo i panni di Paul Kossoff. A completare la formazione: il batterista JASON PETTERSON e il bassista ROBERT KEARNS (ora con SHERYL CROW, in precedenza con BOTTLE ROCKETS e LYNYRD SKYNYRD). Il disco registrato in presa diretta, senza overdubs, è la testimonianza più reale del grande e focoso talento che circondava questi ragazzi che nel 1997, dopo l’uscita di Holland, cercarono di replicare con l’altrettanto buono DIAMONDS AND DEBRIS e un nuovo cantante: Robert Mason. Ma il destino era già segnato e per loro aveva scelto un roseo futuro da cult band. Dieci canzoni che a distanza di 24 anni suonano ancora dirette, fresche e avvincenti come quelle dei migliori e storici dischi degli anni settanta. Da segnalare il pianoforte del produttore John Custer e la chitarra ospite di Pepper Keenan dei Corrosion Of Conformity nella traccia ‘Bad Thing’. Tra i grandi dischi rock degli anni 90 c’è un posto anche per i Cry Of Love.




PUNTATE PRECEDENTI
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #18: BOB DYLAN-Street Legal (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #19- CRAZY HORSE-Crazy Horse (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #20-TOM PETTY-Wildflowes/Echo (1994/1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #21-NICOLETTE LARSON-Nicolette (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #22-AMERICA-Silent Letter (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #23-ERIC ANDERSEN-Blue River (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #24-BADLANDS-Voodo Highway (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #25-GEORGE HARRISON-Living In The Material World (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA#26: DAVID CROSBY GRAHAM NASH-Wind On The Water (1975)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #27: DICKEY BETTS & GREAT SOUTHERN (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #28: JUNKYARD-Junkyard (1989)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #29: STEPHEN STILLS (1970)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #30: RITMO TRIBALE-Bahamas (1999)
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DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #32: BADFINGER (1970)
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DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #34: EDOARDO BENNATO- Edo Rinnegato (1990)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #35: GENE CLARK-White Light (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #36: JOHNNY WINTER-Second Winter (1969)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #37: CAPTAIN BEYOND-Captain Beyond (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #38: ROD STEWART-Every Picture Tells a Story (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #39: GEORGE THOROGOOD & DESTROYERS-Bad To The Bone (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #40: THE ROLLING STONES-Their Satanic Majesties Request (1967)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #41: ALBERTO FORTIS (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #42: NOMADI-Gente Come Noi (1991)
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DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #47:TOM PETTY-Highway Companion (2006)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #48:STEVE FORBERT-Alive On Arrival (1978)

lunedì 23 ottobre 2017

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 48: STEVE FORBERT (Alive On Arrival)

STEVE FORBERT  Alive On Arrival (1978)
 
 
 
 
 

Era un ragazzo volenteroso il giovane Steve Forbert: seppe raggiungere la meta agognata con determinazione e quel pizzico di spavalderia che non guasta mai, nonostante quel faccino da bravo ragazzo che si ritrovava. Si lasciò dietro presto il natio Mississippi e si mise in viaggio con la sola compagnia di chitarra e armonica, coperto da un leggero e sdrucito giubbotto di jeans, per raggiungere una New York musicale completamente immersa nei fumi del punk. Ma non cercò il punk in una lametta, ma il folk per le strade, forse in ritardo di qualche anno. Senza paura e con la faccia tosta del ragazzo esploratore che arriva dalla campagna entrò in contatto con la scena al CBGB, si fece conoscere tra i locali del Greenwich Village ed esplorò curioso la gente tra le fermate della metropolitana. Tutte esperienze che coinfluiranno nel debutto ALIVE ON ARRIVAL (1978) insieme a sogni e qualche accenno di malinconia. Un disco folk che lascerà il segno tanto da spingere la critica a ritirare fuori dalla naftalina quell'adesivo "nuovo Dylan" un po' in disuso, con la colla ormai secca e consumata dal tempo ma che nei primi anni settanta andava tanto di moda e si appiccicava bene un po' su tutti. Già Dylan: in quegli anni era tutto e il contrario di tutto fuorché un folk singer. Legittimo ritirare fuori gli sticker dal cassetto. Se ne accorse immediatamente la Nemperor Records (sotto etichetta della Epic) che lo mise sotto contratto anche se i paletti li piantò il determinato Forbert: "nel disco suono la mia musica" e così fu. Dall'apertura 'Goin' Down To Laurel' incipit di spavalda determinazione alla nostalgia di casa nella notturna e bellissima 'Tonight I Feel So Far Away From Home' passando per il rockabilly ironico di 'What Kinda Guy?', gli umori di 'Thinkin', le dolci incertezze di 'It Isn't Gonna Be That Way', l'esperienza da busker raccontata in 'Grand Central Station, March 18, 1977', e il talking dylaniano di 'Steve Forbert's Midsummer Night's Toast' fino al rutilante blues in chiusura 'You Cannot Win If You Do Not Play'. Dentro a questo debutto c'era il limpido futuro di un ragazzo che seppe ripetere la formula per un altro disco JACKRABBIT SLIM (1979), cambiando anche le carte in tavola e trainato dal successo di 'Romeo's Tune', ma non per l'intera carriera, buona, onesta ma mai più sotto i riflettori accecanti della popolarità. Uno dei migliori dischi di cantautorato americano (di debutto) degli anni settanta. Da ascoltare e riascoltare.

PUNTATE PRECEDENTI
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #18: BOB DYLAN-Street Legal (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #19- CRAZY HORSE-Crazy Horse (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #20-TOM PETTY-Wildflowes/Echo (1994/1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #21-NICOLETTE LARSON-Nicolette (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #22-AMERICA-Silent Letter (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #23-ERIC ANDERSEN-Blue River (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #24-BADLANDS-Voodo Highway (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #25-GEORGE HARRISON-Living In The Material World (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA#26: DAVID CROSBY GRAHAM NASH-Wind On The Water (1975)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #27: DICKEY BETTS & GREAT SOUTHERN (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #28: JUNKYARD-Junkyard (1989)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #29: STEPHEN STILLS (1970)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #30: RITMO TRIBALE-Bahamas (1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #31: SUZI QUATRO-Suzi Quatro (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #32: BADFINGER (1970)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #33:RONNIE LANE'S SLIM CHANCE    One For The Road (1976)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #34: EDOARDO BENNATO- Edo Rinnegato (1990)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #35: GENE CLARK-White Light (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #36: JOHNNY WINTER-Second Winter (1969)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #37: CAPTAIN BEYOND-Captain Beyond (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #38: ROD STEWART-Every Picture Tells a Story (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #39: GEORGE THOROGOOD & DESTROYERS-Bad To The Bone (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #40: THE ROLLING STONES-Their Satanic Majesties Request (1967)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #41: ALBERTO FORTIS (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #42: NOMADI-Gente Come Noi (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #43: CROSBY, STILLS & NASH-Daylight Again (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #44: TERRY REID (River)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #45: JACKSON BROWNE-Running On Empty (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #46: THE ROLLING STONES-Emotional Rescue (1980)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #47:TOM PETTY-Highway Companion (2006)

 

giovedì 19 ottobre 2017

RECENSIONE: THE WHITE BUFFALO (Darkest Darks, Lightest Lights)

THE WHITE BUFFALO Darkest Darks, Lightest Lights (Earache Records, 2017)




“Non ero più un ragazzo: avevo 20, 22 anni. Io e un mio amico eravamo seduti a bere delle birre, quando suo padre iniziò a suonare canzoni di John Prine e Bob Dylan. Un giorno gli chiesi di mostrarmi alcuni accordi appena avessi avuto una chitarra tra le mani. E lui rispose: sicuramente. Così appena uscito di casa, sono corso al banco dei pegni ad acquistarne una da pochi soldi, da lì ho iniziato a scrivere canzoni”. Così Jake Smith, l’omone grande e grosso che fisicamente pare un incrocio tra Warren Haynes e il grande Lebowski, racconta i suoi tardivi approcci con la musica. Ora di anni ne ha qualcuno in più, la chitarra la suona bene ed è arrivato al quinto disco in carriera. Dopo l’esordio del 2007, il grande pubblico si accorse di lui grazie alla serie tv Sons Of Anarchy (i brani di Smith sono stati ospitati più volte nella serie. e a lui è toccato l'onore di chiudere in maniera struggente l'ultima puntata della saga dei criminali motociclisti, con la lunga 'Come Join The Murder) e a quel ONCE UPON THE TIME IN THE WEST (2011) che sembrava costruire il ponte ideale tra la vecchia America cantata dagli outlaw country men degli anni settanta e l'America della generazione grunge di metà anni ’90, che celebrò il funerale di tutte le vecchie speranze. “Beh, io sono una persona abbastanza gioviale ma so che il lato più oscuro della vita può essere più interessante. Sono un uomo di famiglia, ma ogni tanto possono esserci ancora problemi. Alcune cose di cui scrivo sono d'attualità, ma cerco sempre di lasciarle vaghe, per fare in modo che ognuno possa interpretarle a modo suo”. Dopo l’ambizioso concept SHADOWS, GREYS & EVIL WAYS (2013) che intrecciava amore e guerra, nel quarto album LOVE AND THE DEATH OF DAMNATION le canzoni, pur vivendo di vita propria, sembrano ancora una volta seguire un percorso narrativo ben preciso dove i protagonisti lottano contro la diabolica oscurità che gravita intorno alle loro strade.
Qualcuno troverà la luce, altri no. Buio mimetizzato negli accadimenti di tutti i giorni (‘Dark Days’, ‘Modern Times’), nelle disperata ricerca di fede e redenzione, nei complicati meccanismi delle relazioni umane: nei rapporti d’amore, tra genitori e figli, tra uomini in perenne conflitto. "Musicalmente e liricamente, questo è l'album più diversificato che abbia mai fatto. Amore, morte, luce e oscurità. Vi farà ridere e vi farà piangere. Un concentrato di emozioni." Approdato per la prima volta in Italia nel 2016 per tre date (Ravenna, Trieste, Brescia) in cui pestò giù duro senza troppi complimenti con una formazione a tre che viaggiava liscia e diritta come un treno senza fermate, in questo 2017 ecco il nuovo album DARKEST DARKS,  LIGHTEST LIGHTS che conferma fin dal titolo l’importanza delle luci e delle ombre nella sua musica. Se da una parte, canzoni d’amore e intimiste come le ballate ‘The Observatory’, ‘If I Lost My Eyes’ e la finale ‘I Am The Moon’ ci mostrano l’aspetto più sognante delle sue liriche, a lasciare il segno sono i testi di canzoni dalla costruzione epica e cinematografica come ‘Robbery’, jazzata e condotta con fare esperto alla Tom Waits, il blues con armonica di ‘Nightstalker Blues’ che narra le vicende datate 1985 del serial killer Richard Ramirez, le storie di droga e mafia messicana nella trascinante e diretta  ‘Border Town/Bury Me in Baja’, le atmosfere western con il crescendo di 'Madam's Soft, Madam's Sweet' o il rock battente di ‘Avalon’ che si riallaccia alla migliore tradizione americana delle road song, condotte come sempre dalla sua voce profonda. Un disco che si schiera nuovamente dalla parte degli emarginati e dei cuori solitari e disperati, nato e cresciuto in studio di registrazione come lo stesso Jack Smith ha dichiarato in una intervista “Ho scritto la maggioranza delle canzoni durante il processo di registrazione. Scrivevo al mattino e registravamo di sera”. Diretto al punto quando serve (l'honky tonk d'apertura 'Hide And Seek','The Heart And Soul Of The Night' sembra uscita dalla penna di Phil Lynott e i Thin Lizzy ) e riflessivo quanto basta, Darkest Darks, Lightest Lights, conferma The White Buffalo come uno dei più eclettici esponenti dell'american music dei nostri giorni.


RECENSIONE: MAGPIE SALUTE-Magpie Salute (2017)
RECENSIONE: ELLIOTT MURPHIE-Prodigal Son (2017)
RECENSIONE: GARLAND JEFFREYS-14 STeps To Harlem (2017)
RECENSIONE: JOHN MELLENCAMP- Sad Clowns & Hillbillies (2017)
RECENSIONE: TAJ MAHAL & KEB' MO'-TajMo (2017)
RECENSIONE: CHRIS STAPLETON: From A Room, Volume I (2017)
RECENSIONE: WILLIE NELSON-God's Problem Child  (2017)
RECENSIONE: DAN AUERBACH-Waiting On A Song (2017)
RECENSIONE: STEVE EARLE & The DUKES-So You Wannabe An Outlaw (2017)

RECENSIONE: BLACKFOOT GYPSIES-To The Top (2017)
RECENSIONE: LEE BAINS III + THE GLORY FIRES-Youth detention (2017)
RECENSIONE: GEORGE THOROGOOD-Party Of One (2017)
RECENSIONE: NEIL YOUNG-Hitchhiker  (2017)
RECENSIONE: JAKE BUGG- Hearts That strain (2017)

lunedì 16 ottobre 2017

RECENSIONE: ROBERT PLANT (Carry fire)

ROBERT PLANT   Carry Fire (Nonesuch Records, 2017)





Ho sempre ammirato la carriera solista di ROBERT PLANT. Uno come lui avrebbe potuto vivere di rendita per tutta la vita, adagiandosi sul dorato passato. Invece no, ha sempre continuato per la sua strada, conscio che certe alchimie, senza gli ingredienti originali, sono difficili da riprodurre in laboratorio per l'eternità. Ci sono già e rimarranno per sempre. Anche se le radici di quello che sta facendo da anni iniziarono a crescere da li’ e si sente ancora benissimo. Senza mai cedere troppo al facile successo (ma l’estate di ‘29 Palms’ lo fu, chi se la dimentica?), ha percorso tutte le strade musicali possibili in giro per il mondo e questo nuovo CARRY FIRE è l’ennesima conferma che il percorso, l’ultimo iniziato da DREAMLAND (2002) o forse già da NOW AND ZEN (1988) è quello giusto. Toccando il picco con RAISING SAND insieme a Alison Krauss. Ma a me piace ricordare anche il bellissimo MIGHTY REARRANGER. Dal Texas, dove si era rifugiato negli ultimi anni al ritorno in Galles, in mezzo c'è un mondo. Non sarà un successo, non conterrà canzoni che ricorderemo tra quarant’anni ma è abbastanza onesto, profondo, intrigante e misterioso, come sempre, per essere liquidato con troppa facilità, come ho già letto in giro. Un suono sempre in viaggio che non conosce passaporti, etereo ma desertico, ipnotico, spesso sussurato, colorato e cangiante tra folk d’America (l’apertura ‘The May Queen’), ritmi d’Africa, melodie d’Oriente e trip hop anglosassone ('Keep It Hid') ad accompagnarlo ci sono gli ormai fedeli Sensational Space Shifters, con gli ospiti Seth Lakeman alla viola e violino e Chrissie Hynde che duetta nella cover stravolta di ‘Bluebirds Over Mountain’, un vecchio brano rockabilly di Ersel Hickey. E per uno come lui, che ha scelto sempre le intricate strade della comunicazione e interazione tra linguaggi e popoli, quello che sta avvenendo in giro per il mondo è, purtroppo, un buono spunto per la creatività : da qui nascono canzoni come ‘Bone Of Saints’, ‘New World’, ‘Carving Up The World Again’ che ci raccontano di guerre, barriere e di muri costruiti in modo abusivo sul terreno della libertà. Già, quella libertà che si è sempre preso in campo musicale, mettendosi sempre in gioco. E allora giochiamo.



RECENSIONE: MAGPIE SALUTE-Magpie Salute (2017)
RECENSIONE: ELLIOTT MURPHIE-Prodigal Son (2017)
RECENSIONE: GARLAND JEFFREYS-14 STeps To Harlem (2017)
RECENSIONE: JOHN MELLENCAMP- Sad Clowns & Hillbillies (2017)
RECENSIONE: TAJ MAHAL & KEB' MO'-TajMo (2017)
RECENSIONE: CHRIS STAPLETON: From A Room, Volume I (2017)
RECENSIONE: WILLIE NELSON-God's Problem Child  (2017)
RECENSIONE: DAN AUERBACH-Waiting On A Song (2017)
RECENSIONE: STEVE EARLE & The DUKES-So You Wannabe An Outlaw (2017)

RECENSIONE: BLACKFOOT GYPSIES-To The Top (2017)
RECENSIONE: LEE BAINS III + THE GLORY FIRES-Youth detention (2017)
RECENSIONE: GEORGE THOROGOOD-Party Of One (2017)
RECENSIONE: NEIL YOUNG-Hitchhiker  (2017)
RECENSIONE: JAKE BUGG- Hearts That strain (2017)