giovedì 17 marzo 2022

RECENSIONE in pillole: JETHRO TULL - The Zealot Gene

JETHRO TULL
  The Zealot Gene (Sony Music, ,2022)





qualcosa c'è ancora

La copertina di The Zealot Gene è probabilmente una delle più brutte dell'intera discografia, asettica e fredda come solo quelle di A e Under Wraps lo erano (qui niente elettronica però), Ian Anderson non ha più la voce dei bei tempi (dal vivo si fa aiutare spesso e volentieri) ma ci mette ancora la faccia, pure i Metallica stiano tranquilli perché le chitarre elettriche qua dentro ogni tanto ci sono ('Barren Beth, Wild Desert John', 'The Zealot Gene') ma non graffiano come vorrebbero le webzine e le riviste hard rock che lo hanno recensito tiepidamente. Tanto il Grammy Award categoria hard metal non lo vinceranno più nemmeno loro. I Metallica intendo. JETHRO TULL senza Martin Barre? Non è un'eresia, "si può fare" deve aver pensato Anderson (i fan oltranzizsti sono sul piede di guerra): Ian Anderson tramuta una sua vecchia idea, (composta da dodici canzoni basate su dodici emozioni che contraddistinguono l'essere umano, intersecandosi con attualità e sacre scritture), in un disco a nome Jethro Tull che non usciva da ventitre anni ( Dot Com) e diciannove dall'album di "Natale". A suonarlo ci mette la band che lo accompagna dal vivo da anni. Questi sono i nuovi Jethro Tull almeno sulla carta. Eppure: eppure, nonostante tutto, ogni volta che ascolto Ian Anderson, la sua voce, quel flauto, quelle atmosfere bucoliche ('Sad City Sisters'), il folk prog ('Mine Is The Mountain', alleggerito in 'In Brief Visitation') anche il blues della prima ora dissotterrato ('Jacob' s Tales') , io mi commuovo sempre un po' e ci sto bene. Tutto il resto rimane fuori e poco m'importa.





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