domenica 27 marzo 2022

RECENSIONE: IAN NOE (River Fools & Mountain Saints)

IAN NOE   River Fools & Mountain Saints (Thirty Tigers, 2022)


prova superata

"Il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista" canticchiava Caparezza molti anni fa, riprendendo un detto sempre in voga tra musicofili incalliti. 

A smentirlo ci pensa Ian Noe, folksinger trentunenne del Kentucky, nonostante proprio il debutto di tre anni fa si fosse aggiudicato  un podio tra le migliori uscite discografiche di folk (e dintorni) degli ultimissimi anni. Between The Country si distinse per il ficcato iper realismo dei testi che non ebbero bisogno di cercare storie andando troppo lontano. Testi a chilometro zero che si nutrivano di poetica vera, malinconica, a tratti disperata raccontando di avvenimenti e personaggi circoscritti alla sua città natale Beattyville (con il suo triste primato di città bianca più povera d'America) e camminando un po' più in là ma senza mai  uscire dai confini del Kentucky. Difficile fare meglio? 

Ian Noe dall'alto del suo ex lavoro come operaio in una piattaforma petrolifera (come accenna nel country di 'River Fool') , continua a camminare e vivere il suo mondo circoscritto nei confini, a presentarci una carrellata di personaggi che ha conosciuto e incontrato lungo la strada, tra le rive di un fiume (dove i giovani si divertono) e le strade di montagne dove c'è chi coltiva erba sui monti Appalachi ('Mountain Saint'). 

Spesso solitari in cerca di amore e riscatto (la triste e spoglia 'Ballad Of A Retired Man'), vecchi veterani del Vietnam, camionisti (nel lento trotto guidato dalla lap steel in 'Lonesome as It Gets' ), tanti infaticabili lavoratori degni di essere ricordati (nella ballata con violino 'Strip Job Blues 1984') e raccontati con la stessa facilità di narrazione, fluente e ricca di particolari, imparata dal suo grande mentore John Prine ('Tom Barrett').

Un disco di ritratti e ballate, spesso  dolenti ('In Road May Flood/It' s A Heartache' riprende anche  Bonnie Raitt) a volte  tristi ('Appalachia Haze') anche se  questa volta abbozza qualche accelerazione in più come nell'iniziale 'Pine Grove (Mad House)' con un accenno alla recente pandemia ("questa canzone parla di essere bloccati, di essere isolati, ma di trarne il massimo anche da queste situazioni" ha raccontato recentemente) e un paio di scatti elettrici come succede in  '' Pow Blues' e negli assoli di chitarra della dylaniana 'Burning Down The Prairie'. Sono proprio queste piccole ma fondamentali aperture strumentali (al disco partecipano ospiti come  Jack Lawrence dei  Raconteurs al basso e Derry deBorja  dei The 400 Unit di Jason Isbell alle tastiere) a confermare la bontà del debutto lasciando aperte tante altre porte. Il ragazzo sembra avere ancora tante storie da raccontare.






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