NEIL YOUNG The Times (Reprise Records, 2020)
canti di protesta
Washington, 17 Giugno 2015, Donald Trump è candidato alla presidenza degli Stati Uniti. Durante un comizio della sua campagna elettorale decide di usare 'Rockin' In The Free World' di Neil Young, canzone uscita nel 1989 nell'album Freedom, ispirata dalla protesta cinese in piazza Tiennanmen e che nel testo punzecchiava pure l'allora presidente George HW Bush. La risposta di Neil Young non tarda ad arrivare. Il canadese attraverso il suo manager Elliot Roberts interviene prontamente e lo cazzia: "non è stata autorizzata". È l'inizio di una disputa tra Young e Trump che nel frattempo alla faccia di tutti dentro alla Casa Bianca ha trovato dimora per almeno quattro anni.
Estate 2020, con Donald Trump ai minimi storici di consensi, l'effetto gestione Covid pesa, tanto da indurlo a ipotizzare un rinvio delle prossime elezioni presidenziali (lui ci ha provato, inutilmente) , NEIL YOUNG non si lascia sfuggire l'occasione per cantargliene ancora altre quattro. Perché del canadese possiamo dire tante cose ma è rimasto l'unico della vecchia guardia a metterci ancora la faccia, vivere nel presente, a suo modo lottare per ciò in cui crede, spesso anche a scapito del risultato, facendo uscire instant album duri e spigolosi, raffazzonati, poco curati ma marchiati con il sangue. Spesso amaro.
Questo EP di 27 minuti intitolato THE TIMES (in copertina riprende i caratteri del New York Times) contiene una versione riuscitissima, riveduta e corretta della sua vecchia 'Looking For A Leader' (uscita nel 2006 nell'album Living With War). Nei versi cambiati YOUNG canta:" non abbiamo bisogno di un leader che costruisce muri intorno alle nostre case, che non conosce Black Lives Matter, è ora di mandarlo a casa". Trump go home in poche parole.
Il resto è una piccola raccolta di sue canzoni di protesta estrapolate dalle Fireside Sessions (Porch Episode) con le quali Neil Young ha cercato di allietarci il lockdown. Tra le cose più rustiche, belle e riuscite viste in quei mesi di reclusione forzata. Ci ha accompagnato nel suo ranch immerso nella natura, ripreso dalla telecamera della compagna Daryl Hannah: una volta davanti a un falò in giardino o a un camino all'interno, sulle rive del lago della sua tenuta, dentro al pollaio, sotto alla neve o sotto il sole, in compagnia di una chitarra acustica, un'armonica o un pianoforte ha pescato vecchie e nuove canzoni dal suo passato. Per questo mini album ha scelto canzoni a tema: le registrazioni pure e grezze, con sbagli e rumori di sottofondo, di 'Ohio' (scritta di getto dopo la morte di quattro giovani durante gli scontri tra manifestanti e polizia il 4 maggio 1970 a Kent, in Ohio), 'Alabama' e 'Southern Man' (atti d'accusa verso il razzismo degli stati del sud a cui i Lynyrd Skynyrd risposero con 'Sweet Home Alabama'), 'Campaigner' (uscita all'epoca su Decade e che molti lessero come parole di simpatia verso Nixon), la malinconica 'Little Wing' (sentita di recente in Homegrown) e di quella 'The Times They Are A-Changin' dell'amico Bob Dylan, che oltre a starci sempre bene sembra essere l'unico raggio di speranza sempre valido per il futuro. E per lui, cittadino americano da pochi mesi ma abbastanza per definire Trump "una disgrazia per il mio paese", e per milioni di americani il voto di Novembre potrebbe essere il vero preludio verso un altro avvenire.
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