mercoledì 17 giugno 2020

RECENSIONE: NEIL YOUNG (Homegrown)

NEIL YOUNG     Homegrown  (Reprise Records, 1975/2020)




affetti personali

Chissà se quella notte al Chateau Marmont Hotel di Hollywood, al bungalow Belushi, come lo chiama Neil Young e come è conosciuto dopo la scomparsa di John Belushi avvenuta il 5 Marzo del 1982 proprio tra quelle mura per overdose, girava la stessa "roba" presente durante le registrazioni di Tonight's The Night avvenute circa un anno prima sotto l'effetto di tequila Jose Cuevo e chissà quali altre corroboranti sostanze? In quel hotel star, rockstar e presunte tali andavano per sballarsi. Luogo di incontri tra simili: tutto era lecito, tutto era consentito.
Tonight's The Night, un album (che album!) registrato e messo da parte per tempi migliori che non tarderanno troppo ad arrivare. In quei mesi a cavallo tra il 1974 e il 1975 Neil Young è un fiume in piena di ispirazione, difficile stare dietro alla sua vena creativa, ingrossata a dismisura di umori, di alti e bassi in continua e rapida successione. La vita lo mette continuamente  di fronte a prove da superare. E lui scrive, collabora, registra.

"Sembrava che ogni giorno avessi una nuova canzone. Con tutti i cambiamenti che stavano avvenendo nella mia vita, scrivevo canzoni quotidianamente trasformandoli in qualcosa. Considero sempre le vicende della vita come fonte di ispirazione".




Dentro alle bobine di Tonight's The Night già registrato riposavano i fantasmi di Danny Whitten (scomparso il 18 Novembre del 1972) e Bruce Berry (il roadie scomparso il 4 Giugno del 1973), gli amici volati via troppo presto. Aveva appena pubblicato On The Beach ma quella notte al bungalow Belushi voleva far ascoltare ai suoi amici, quelli ancora in vita, altre nuove canzoni che aveva appena registrato. Canzoni dall'impronta acustica, country, "molto personali" come dirà, più vicine ad Harvest piuttosto che al blues tinto di nero che inquina  la spiaggia di On The Beach, l'ultimo album inciso, uscito nel 1974. Con lui nella stanza ci sono Ben Keith e tanti musicisti tra cui Rick Danko della Band. Ascoltano tutte le nuove canzoni che Young aveva catalogato sotto il titolo Homegrown, poi i nastri continuano la loro corsa e in rapida successione partono le canzoni di Tonight's The Night, quell'album messo da parte. La storia è tutta nella sentenza di Rick Danko: "dovresti farlo uscire! Che diavolo è?" riferendosi all'ultimo blocco di canzoni ascoltate. In quel periodo Neil Young aveva preso in affitto una casa a Broad Beach Road vicino a Zuma Beach ed era entrato in contatto con Danko e Levon Helm che con tutta la Band (con la maiuscola davanti) trascorrevano molto tempo nello studio di registrazione che si erano costruiti poco lontano.
Ecco: dopo la sentenza di Danko, le canzoni di Homegrown che erano già state impacchettate dentro una copertina pronte per invadere il mercato, iniziano una loro seconda vita fatta di scatole, polvere e scaffali.

"Così l`ho tenuto per me, nascosto nel caveau, sullo scaffale, in fondo alla mia mente.... ma avrei dovuto condividerlo. In realtà è bellissimo" sono le recenti parole di Neil Young.

Tonight's The Night uscirà il 20 Giugno del 1975.


Le canzoni che componevano Homegrown erano invece tante, visto che in origine doveva essere un doppio album. Tante di loro finiranno su album seguenti, alcune faranno capolino solo in concerto, altre vedono la luce solo ora. Finalmente! Altre ancora chissà quando?
Registrate tra il Broken Arrow Ranch, al Quadrafonic Sound Studios di Nashville e al Village Recorders di Los Angeles, sotto la produzione di Elliot Mazer e Ben Keith con l'accompagnamento di musicisti come lo stesso Ben Keith (steel guitar), Tim Drummond (basso), Levon Helm e Karl Himmel alla batteria.
Le canzoni già pubblicate ufficialmente in precedenza le conosciamo tutti, anche se alcune differiscono dalle versioni già pubblicate: 'Love Is A Rose', suonata dal solo Young insieme al basso di Drummond vedrà la luce su Decade, il prezioso greatest hits uscito nell'Ottobre del 1977, la lap slide di Ben Keith che guida una versione più grezza ed elettrica della già conosciuta 'Homegrown', un non troppo velato invito alla coltivazione casalinga di "erbe miracolose" finirà insieme alla ballata acustica 'Star Of Bethlehem', impreziosita dall'intervento di Emmylou Harris, su American Stars 'N Bars (1977), il delicato quadretto acustico, chitarra e armonica, di 'Little Wing' l'abbiamo già ascoltata su Hawks And Doves (1980), mentre 'White Line' rimpolperà Ragged Glory ma qui possiamo ascoltarla in una inedita versione registrata ai Ramport Studios di Londra insieme ai ricami chitarristici di  Robbie Robertson, certamente tra le migliori tracce del disco.

Il disco inizia con una classica ballata sbilenca 'Separate Ways', la prima delle canzoni inedite, che indugia sul rapporto che stava andando a rotoli con Carrie Snodgress, attrice americana e madre di loro figlio Zeke, e quel "era un po' troppo personale ... mi ha spaventato" riferito al disco trova subito riscontro in una canzone. Sarà così fino alla fine. Dentro a Homegrown c'è un po' il sunto del Neil Young pensiero anni settanta: quello country di 'Try', perfettamente in linea con Harvest, che continua a rimuginare sul rapporto amoroso arrivato al capolinea rimane uno dei più affascinanti: "abbiamo avuto molto tempo per riuscire a stare insieme, se avessimo provato" canta Young.
C'è quello solitario, voce e pianoforte della brevissima 'Mexico', in cui si chiede "perché è così difficile tener stretto il tuo amore?", quello solitario, chitarra e armonica di 'Kansas', quasi un sussurro appeso tra sogno e realtà, canzone che lui stesso definirà "allucinogena", quello blues di 'We Don' t Smoke It No More' la canzone più lunga del disco nei suoi quasi cinque minuti, pigra, sbilenca, elettrica, quasi interamente strumentale tolto il chorus.
Quello sballato dei tre minuti di 'Florida', uno spoken portato avanti insieme a Ben Keith, due bicchieri di vino, un pianoforte, rumori stridenti, vecchi ricordi d'infanzia, mistero e chissà cos'altro che forse piazzato lì in mezzo al disco non fa una grande figura, spezzando l'atmosfera fin troppo presto.
Quello elettrico di 'Vacancy' con Stan Szelest all'organo Wurlitzer che ha il passo deciso di 'Ohio' e un riff di chitarra accattivante che ci ribadisce ancora una volta perché il movimento grunge degli anni novanta gli abbia voluto così tanto bene.
Ci sono voluti quarant'anni per fare pace con sé stesso e ricucire vecchie ferite, Homegrown potrebbe essere il Blood On The Tracks di Neil Young che non è mai arrivato al mittente (intanto Carrie Snodgress si è spenta il primo Aprile del 2004) anche se solo pochi anni dopo con Comes A Time il sole sembrava risplendere nuovamente, tanto da indurre Young ad accennare un sorriso in copertina.
Intanto godiamoci Homegrown, uno dei dischi "perduti del rock" più suggestivi e tristi di sempre, perché dentro ai cassetti degli archivi altre canzoni stanno già scalpitando per uscire.
Rimane il solo rammarico di avere tra le mani poco più di mezz'ora (37 minuti) di un progetto che aveva ben altri confini.

★★★★ (5)






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