mercoledì 17 agosto 2011

RECENSIONE: JEFF BRIDGES (Jeff Bridges)

JEFF BRIDGES Jeff Bridges ( Blue Note Records, 2011)



Jeff Bridges sembra non sbagliare un colpo, sia davanti alla camera da presa che con una chitarra in mano.
Crazy Heart, il film dove Jeff Bridges, interpreta il musicista country "Bad" Blake a fine carriera, un perdente in grado di risollevare le proprie sorti finite in disgrazia, ha dato una notevole spinta all'attore nel tentare la seconda carta in campo musicale. Già autore di un album Be Here Soon uscito nel 2000, questo omonimo riprende il discorso di Crazy Heart e riparte dagli oscar vinti dal film, uno come migliore attore e l'altro dalla canzone The weary kind di Ryan Bingham, che ne faceva da soundtrack.
Jeff Bridges possiede tutto quello che un musicista vorrebbe possedere, incarnando alla perfezione il personaggio creato nel romanzo inedito di Thomas Cobb , da cui fu tratto il film, una sovrapposizione di ruoli che a questo punto non lascia dubbi sulle effettive capacità musicali di Bridges. Introspezione e fascino escono prepotenti dal disco, grazie al lavoro in produzione di un pezzo da novanta come T-Bone Burnett e all'aiuto in fase di scrittura(Stephen Bruton, Greg Brown, Bo Ramsley, T-Bone Burnett e Jo Goodwin) e realizzazione dai grandi musicisti coinvolti tra cui quel Ryan Bingham, vincitore dell'oscar.
Un disco che gioca sui chiaro-scuri, con questi ultimi a prevalere grazie alla profonda vocalità di Bridges e ballate dal carattere prettamente greve che hanno la solitudine, il tempo e il suo scorrere come protagonisti. Affiancato da una band di tutto rispetto composta da Marc Ribot alle chitarre, Jay Bellerose alla batteria, Dennis Crouch al basso, Russ Pahl alla pedal steel e ospiti come Rosanne Cash e Ryan Bingham, il disco è un campionario di "americana" country music che scivola piacevolmente in modo suadente e rilassante (a volte anche troppo).
Eccezione per l'apertura What a ittle bit of Love can do, primo singolo, canzone che stacca dal resto del disco, grazie ad un appeal da song semi-elettrica "radiofonica", puntellata dai cori dell'ospite Bingham, subito bilanciata dalla tranquilla Falling Short che da il carattere al resto dell'abum.
Le restanti, sono canzoni, alcune risalenti a molto tempo fa, in cui Bridges(un artista predestinato: il suo esordio nel mondo artistico è da far risalire a quando aveva pochissimi mesi di età) mette in mostra l'amore per il folk/country malinconico e darkeggiante (Everything but love, Nothing Yet), spunti di jazz notturno affiorano in Tumbling Vine ed il blues con il pianoforte di Keefus Ciancia protagonista in Blue Car.
Bella l'accoppiata Maybe I missed the point, Slow boat, malinconia che porta lontano e Bridges che con la sua voce suadente completa il quadro.

Purtroppo il disco qualche difetto lo ha, peccando di dinamismo e le ultime tracce, Ether Way e The Quest , apprezzabili se prese singolarmente, nel complesso abbassano il tono di un disco che molto deve alla mano del produttore Burnett, che spesso affianca alla voce di Bridges, la voce femminile, cercando di ricalcare il buon lavoro fatto qualche anno fa con la coppia Plant-Krauss, senza raggiungerne però l'intensità e quei guizzi necessari per non far cadere il disco nel soporifero.
Insomma, quel che manca sono le canzoni che "restano", senza dimenticare, comunque, che il tutto veleggia al di sopra della sufficienza ed a sentire l'attore, questo disco omonimo , non è altro che un nuovo inizio della sua carriera musicale.

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