martedì 23 maggio 2017

RECENSIONE: ELLIOTT MURPHY (Prodigal Son)

ELLIOTT MURPHY  Prodigal Son (Route 61, 2017)




Da quando qualche anno fa lessi una recensione di un suo disco dove il giornalista scriveva di lui al passato, confondendolo evidentemente con qualche altro Elliott passato a miglior vita (Smith?), ad ogni nuova uscita di Elliott (Murphy), dentro di me una vocina dice “ah però, non male per uno che non c'è più”.Dopo aver rivisitato l’esordio AQUASHOW (uscito nel 1973), Elliott Murphy ritorna con un bel disco di nuove canzoni, intenso e ispirato, registrato a Parigi sotto la regia del figlio Gaspard (“l’album si intitola Prodigal Son ispirandosi alla storia nella Bibbia, anche se un sacco di gente pensa che sia dedicato al mio talentuoso figlio Gaspard Murphy che ha prodotto, arrangiato e mixato l'album”) e con i fedeli Normandy All Star ad accompagnarlo: Alan Fatras (batteria), l’inseparabile Olivier Durand alla chitarra e Laurent Pardo (basso), scomparso poco dopo le registrazioni. Il disco, che esce per l’etichetta Route 61 di Ermanno Labianca a quattro anni dall’ultimo IT TAKES A WORRIED MAN, è dedicato proprio al bassista. Nove canzoni tra cui le suggestioni rock dell’apertura ‘Chelsea Boots’, già in odor di classico nel suo repertorio e la lunga, cinematografica ‘Absalom, Davy & Jackie O’ che con i suoi undici minuti chiude il disco e diventa la sua canzone più lunga di sempre, “Ho provato a scrivere una canzone che si può ascoltare come si potrebbe guardare un film”. In mezzo il rutilante folkie ‘Alone In My Chair’, e un filo conduttore che si potrebbe individuare in uno spirito gospel soul che aleggia in parecchie canzoni tra cui la title track ‘The Prodigal Son’ con il pianoforte di Leo Cotton in cattedra, in ‘Let Me In’, nel crescendo di ‘Wit’s End’ con il violino di Melissa Cox. Elliott Murphy sembra non aver perso quella preziosa penna che ne faceva uno dei migliori e più coerenti songwriter della sua generazione (non per nulla è pure scrittore) che dopo aver camminato nei marciapiedi del Village, vissuto la New York glam degli anni '70, arrivò in Europa nel 1989 (nei settanta visse anche a Roma), e da qui non se n'è più andato. Lontano dai grandi circuiti che contano ma sempre più vicino ai cuori e all'anima. Quello che conta davvero, in fondo. Lunga vita a Elliott Murphy.


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