mercoledì 17 febbraio 2016

BRESCIA ROCK (5 band da conoscere: Slick Steve & The Gangsters, Van Cleef Continental, Thee Jones Bones, Il Sindaco, The Union Freego)

Ho seguito l'amore. Sono arrivato a Brescia. Ho trovato una città piena di musica come poche. Una scena musicale viva e scalpitante: tante band, tanti artisti, tanti generi musicali, tanti locali che puntano sulla musica originale e di qualità. In più, un intreccio di collaborazioni tra gli artisti che mi ha lasciato favorevolmente colpito. Si respira rock a pieni polmoni, anche tra l'inquinamento che ha raggiunto i valori massimi. Provare per credere. A conferma di quel che ho percepito io (forse per chi ci vive non sarà così), in tarda primavera e inizio estate partono una miriade di manifestazioni e festival che coinvolgono tutta la città e provincia: dal 4/4 organizzato dalla Latteria Molloy (giudicato tra i migliori locali live d'Italia dal Mei) dove si sfida l'impossibile facendo suonare ogni anno almeno cento artisti/band (famosi e non) del posto sopra allo stesso palco nel giro di una giornata, alla festa della musica che coinvolge ogni via e ogni piazza della città. In questi mesi ho ascoltato tanti di questi artisti. Sono riuscito a scrivere qualcosa su di loro sulle riviste Classic Rock e Classix!, anche se mai come avrei voluto. Sono poche righe, di presentazione, ma spero abbastanza per incuriosirvi e spronarvi all'approfondimento. Ho raccolto tutto e ve ne presento cinque. Per ora. Tante altre potrebbero arrivare: Seddy Mellory, Plan De Fuga, Ovlov, Alessandro Sipolo, Claudia Is On The Sofa, Hell Spet, Jet Set Roger, Dead Candies, Nana Bang!, Crowsroads.


SLICK STEVE & THE GANGSTERS On Parade (Go Down Records, 2015)


 Il primo consiglio che vi lascio è: se vi capitano sotto il naso, non fateveli sfuggire dal vivo. Uno degli spettacoli musicali più completi in cui potete imbattervi in Italia. La giovane band bresciana guidata dal funambolico Stephen Hogan (un piccolo Tom Waits laureato in prestidigitazione) dimostra di non essere da meno anche  in studio, e dal cilindro di questo secondo disco esce tutto l’amore per il vecchio rockabilly ’50, il blues, il country e i personaggi meno convenzionali e più bizzarri. Da Classix!





VAN CLEEF CONTINENTAL  Unda Maris (GODDESS RECORDS, 2015)

 

Mare salato
L’ultima onda è di quelle devastanti, con la forza di spazzare via tutto. I bresciani incidono il secondo album (il primo RED SISTERS nel 2008, in mezzo: l’ancora fresco EP) nell’apnea di un trip circolare, diretto e senza fronzoli dove i primordiali Black Sabbath e lo Stoner ’90 trovano spesso la via delle divagazioni lisergiche. Ma mentre esce il disco e la formazione si stabilizza intorno ad Andrea Van Cleef, Helgast, Giorgio Fnool e Lady Cortez , un altro cerchio si chiude:  la band, a sorpresa, ci saluta. Avete tempo fino a Novembre (2015, tempo scaduto!) per vederli dal vivo. Le onde, purtroppo, vanno e vengono… Enzo Curelli 8 da Classic Rock







THEE JONES BONES  Cheers!  (AUTOPRODUZIONE, 2015)

Se l’Italia fosse il paese rock che non è, la band bresciana, attiva da più di un decennio, tirerebbe le fila del movimento. Dei cavalli di razza, quelli vecchi e affidabili che non faresti mai abbattere: puro rock’n’roll come se gli Stones ’70 avessero in mano un biglietto di sola andata per gli States. Tutto buono e vintage a partire dalla confezione.  Da Classic Rock








IL SINDACO Come I Cani Davanti Al Mare (LAVORARE STANCA/AUDIOGLOBE, 2015)

Dopo le prime note di Maciste, pare che nel secondo disco de Il Sindaco (il bresciano Fabio Dondelli) si nasconda un omaggio a Lucio Dalla. C’è molto altro. E’ l’unione tra il cantautorato italiano a cui Dondelli lima gli spigoli in favore di semplicità e fervore pop, e il roots americano: tra desert folk e country. Ad accompagnarlo i vecchi amici Annie Hall.  Da Classic Rock








THE UNION FREEGO  In Null Komma Nichts (2015)

Non ho mai capito come funzioni il marketing discografico. Oddio, un'idea ce l'avrei pure, ma...non importa. Mi interessa, invece, capire perché questo disco non stia girando come dovrebbe tra gli appassionati di musica. Buona musica. Non so se per pigrizia, modestia o falsa modestia degli autori, ma sto riscontrando l'assenza della dovuta pubblicità. Oppure la colpa è semplicemente di noi che stiamo intorno e non cogliamo qualche messaggio nascosto, ma...nuovamente, non importa. Per cui mi prendo le mie responsabilità e faccio lo sporco lavoro (comunque bellissimo): se amate il classic rock americano, quello che nasce dal vecchio folk più oscuro e sporco, incontra prima Bob Dylan sulla propria strada, la parte visionaria e psichedelica di fine sessanta, poi la west coast californiana e più malata dei '70 e la vecchia old black di Neil Young che allunga sulle curve a gomito, sfiora il Paisley underground degli anni ottanta, l'alt country recente di Uncle Tupelo e Wilco, quello più recente ancora di Okkervil River e Decemberists e finisce la sua corsa alzando la polvere dei dei deserti dell'Arizona (Calexico, Giant Sand) e anche po' più a sud, cercate il secondo disco della band bresciana [continua a leggere]








lunedì 15 febbraio 2016

RECENSIONE: DRIVE-BY TRUCKERS (It's Great To Be Alive!)

DRIVE-BY TRUCKERS  It’s Great To Be Alive!  (ATO RECORDS, 2015)





Il rock è morto? Ascoltate qui…
Scrivo queste righe mentre i Coldplay rilasciano l’ennesimo proclama che puzza di promozione: “il rock è morto, il futuro della musica è nei nuovi suoni” sentenziano Chris Martin e soci. A chi volete credere? A loro o alla southern band di Athens guidata da Patterson Hood e Mike Cooley che quei nuovi suoni non sa nemmeno cosa siano? La domanda è retorica. Ma se avete ancora dei dubbi, le 35 canzoni di questo triplo disco registrato durante tre serate al Fillmore di San Francisco (cose veramente d’altri tempi) li fugheranno a suon di chitarre sferraglianti che scorticano e si allungano toccando il culmine nei tredici epici minuti finali di Grand Canyon, nel fumoso e veloce honk tonk Get Downtown o nei rallentamenti country di Angels And Fuselage.
Difficile estrapolare più canzoni, qui si acquista tutto in blocco.
Dopo vent'anni di onorata carriera e il prestigioso merito di aver tenuto alto il vessillo di un certo modo di suonare e vivere il rock tutto americano, impreziosito da liriche amare ed ironiche sempre al di sopra della media (degli affreschi gotici delle terre del sud), sono una band viva da tenere stretta e usare quando qualcuno spara sentenze fuorvianti. Capito mister Martin? Enzo Curelli 8 da Classic Rock # 39 (Febbraio 2016)




RECENSIONE: PETER CASE-HWY 62 (2015)
RECENSIONE: LUCINDA WILLIAMS-The Ghosts Of Highway 20 (2016)

martedì 9 febbraio 2016

RECENSIONE: NATHANIEL RATELIFF & THE NIGHT SWEATS (Nathaniel Rateliff & The Night Sweats)

NATHANIEL RATELIFF & THE NIGHT SWEATS Nathaniel Rateliff & The Night Sweats (Stax/Universal, 2015)




Nuovo inizio
Nella vita si cambia per non morire. Rateliff era destinato a soccombere sotto un canonico suono folk rock inflazionatissimo, quello su cui erano costruiti i suoi tre precedenti dischi solisti. Tutto questo fino all’incontro con una masnada di sette brutti ceffi (i Night Sweats) che, a suon di ipervitaminico R&B e southern soul con una sezione fiati che fa la differenza, hanno estrapolato il suo vero punto di forza: una voce baritonale che ama mettersi in competizione con quella dei migliori esponenti del genere. Anche se la partita è persa in partenza Rateliff sa scrivere canzoni, esaltare e far muovere le gambe: il crescendo di ‘S.O.B.’ (sì, proprio Son Of A Bitch) è sconsigliato con un volante tra le mani. Ho già provato io per voi. Prendete un po’ di Otis Redding , Wilson Pickett e di Sam Cooke, mischiatelo ad un’attitudine garage rock e avrete le vivaci, arrembanti e genuine canzoni di questo nuovo inizio. La rinata Stax, infine, ci mette il sigillo di qualità.




vedi anche
RECENSIONE: PETER CASE-HWY 62 (2015)
RECENSIONE: LUCINDA WILLIAMS-The Ghosts Of Highway 20 (2016)


giovedì 4 febbraio 2016

REC ENSIONE: BILLY GIBBONS AND THE BFG'S (Perfectamundo)

BILLY GIBBONS AND THE BFG'S   Perfectamundo (Concord Records, 2015)





Sasso, carta o forbici?
Quando con l’avvento degli anni ottanta gli ZZ Top iniziarono ad abusare di synth, qualcuno, per dispetto, avrebbe preso volentieri in mano le forbici e puntato dritto verso qualche barba. Anno 2015: le lunghe barbe sono ancora al loro posto e il primo album solista di Gibbons (chitarra e voce della blues band texana), conferma quanto quegli esperimenti durati un buon decennio non furono tutta casualità e furbizia commerciale ma anche sperimentazione e tanto divertimento. Un menù micidiale, coraggioso e divertente è anche quello servito per questa prima uscita solitaria dopo quarantacinque anni di carriera. Accanto all’inconfondibile chitarra, una varietà infinità di portate: dall’amore, nato in gioventù e sbocciato dopo la recente partecipazione all’Havana Jazz Festival, per i suoni afro-cubani (presenti ovunque) al latin rock, dall’hip hop alla presenza del vocoder, in verità fastidioso e unico punto negativo. A Baby Please Don’t Go di Lightnin’ Hopkins, comunque stravolta, e Treat Her Right di Roy Head il compito di tenere lontane quelle famose forbici. Enzo Curelli 7 da Classic Rock # 38




domenica 31 gennaio 2016

RECENSIONE: PETER CASE (HWY 62)


PETER CASE 'HWY 62' (Omnivore Records, 2015)






Sentieri sonori
Tutti abbiamo la nostra Highway 62 da percorrere. Sulla strada che dal Messico arriva fino in Canada, hanno viaggiato poeti, santi, corrotti, rigattieri, spacciatori. Ma anche Buddy Holly e Woody Guthrie. Peter Case su quelle strade, dalle parti di Buffalo, ci è nato e cresciuto. Dopo cinque anni di assenza ritorna con un disco impeccabile che riprende il discorso acustico dei suoi esordi solisti, lasciando da parte il lato più elettrico della sua musica. Dalla iniziale 'Pelican Bay', descrizione e denuncia del sistema carcerario e giudiziario americano, a 'Long Time Gone' recupero di un Bob Dylan d'annata, è un tragitto folk blues percorso sulla corsia preferenziale, e benedetto dalla slide ospite di Ben Harper e dalla batteria di D.J. Bonebrake (X). La riconferma di aver fatto la scelta giusta, quando abbandonò le strade post punk percorse in gioventù con i Nerves e poi i Plimsouls per virare verso i più tranquilli sentieri roots. (Enzo Curelli) da CLASSIX! # 46 (Gennaio/Febbraio 2016)




RECENSIONE: LUCINDA WILLIAMS-The Ghosts Of Highway 20 (2016)




mercoledì 27 gennaio 2016

RECENSIONE: LUCINDA WILLIAMS (The Ghosts Of Highway 20)

 LUCINDA WILLIAMS  The Ghosts Of Highway 20 (Highway 20 Records/Thirty Tigers, 2016)





Se è vero che meno te la passi bene, più sei prolifico ed ispirato, a Lucinda Williams dobbiamo erigere un totem per il modo in cui ci sta spiegando questa semplice equazione di vita tanto veritiera quanto amara. Suo malgrado, purtroppo, e mettendo BLACKSTAR di David Bowie fuori classifica per ovvie ragioni che non sto qui a spiegare. Noi da ascoltatori egoisti gioiamo in rispettoso silenzio. Negli ultimi anni ha viaggiato spesso su queste autostrade di vita con la sofferenza al fianco, seduta silente nel lato passeggeri: dopo la morte della madre che guidò la stesura di WEST (2007), ora è la morte del padre, lo scrittore e poeta Miller Williams, la principale e più sentita delle perdite umane tanto da ispirarle due canzoni dolorose e struggenti come il folk di If There's A Heaven e If My Love Could Kill. In quest'ultima, la malattia  che ha portato via il padre, l'Alzheimer, s'innalza a protagonista in negativo, ladra di tempo, speranze e memoria, divoratrice di pelle e di ossa. Quasi da brividi. C'è però un altro padre che è uscito dalla sua vita recentemente: il genitore del marito e produttore Tom Overby, a lui è dedicata la cover di Factory di Bruce Springsteen. Overby senior fu un operaio diligente per tutta la sua esistenza e la canzone di Springsteen, originariamente contenuta in DARKNESS ON THE EDGE OF TOWN dipingeva la dura vita di un altro padre, Douglas Springsteen: "è una vita di lavoro, nient'altro che lavoro" è il concetto. Lucinda la fa sua infarcendola oltre modo d'enfasi. Un inno per tutti gli eroi della classe operaia.
Nel giro di due anni ci dona due doppi dischi (ben otto facciate di vinile per volere esagerare) nati e cresciuti insieme ma profondamente diversi e distinti, a partire dalle atmosfere musicali pigre, malinconiche e rarefatte che avvolgono le quattordici canzoni, tanto che House Of Earth, il cui testo è di Woody Guthrie ma non era mai stato musicato fino ad oggi, sembra  un sussurro cantato a voce bassa a tarda notte, con tutta l'accortezza di far meno rumore possibile. Diversi sono anche i musicisti  che l'hanno accompagnata in studio: oltre a David Sutton (basso) e Butch Norton (batteria), spiccano le chitarre di Greg Leisz, la sei corde che esce alla sinistra delle nostre casse, di Bill Frisell quella nella parte destra. Chitarre protagoniste che generano fantasmi nella spettrale I Know All about It, creano atmosfera nell'acustica Place In My Heart, e tessono tristi ragnatele di morte in Death Came.
Dopo il pluri glorificato e premiato DOWN WHERE THE SPIRIT MEETS THE BONE, disco che nulla aveva da invidiare ai suoi dischi più riusciti, CAR WHEELS ON A GRAVEL ROAD (1998) in testa, questa volta affronta a modo suo il tema del viaggio facendo tappa nelle città che hanno segnato la sua vita (i nove minuti del folk crepuscolare Lousiana Story parlano di sua madre, del luogo dove è sepolta), spesso in modo doloroso, ripercorrendo quella strada che dal Texas porta alla Carolina del Sud e mettendo in fila tutti quei ricordi (fantasmi) che la legano ai territori del Sud e che l'epicità della title track con la chitarra di Val McCallum espongono così bene in primo piano. "Conosco questa strada come il palmo della mia mano/Ogni uscita lascia un po' di morte"
Un disco con pochissimi assalti rock: Doors Of Heaven tra le più elettriche, il country di Bitter Memory tra le più mosse e frizzanti, i tredici minuti della finale Faith & Grace, la più particolare, aperta e senza schemi, e con la sezione ritmica quasi funky in primo piano. Meno diretto rispetto al precedente, preferisce nascondersi dentro alle ombre dei silenzi, spiare dall'uscio e poi addentrarsi negli angoli più oscuri della vita. Le canzoni hanno il passo lento, cupo e malinconico, ma si distinguono tutte per profondità, ispirazione e tanto vissuto. Troppo vissuto. Ballate da prendere in blocco, tormentate, che alla fine lasciano un velo di tristezza nel cuore e piacere nelle orecchie (il suono delle chitarre è tra i punti di forza). Questa è la sua strada. La sa a memoria e si viaggia bene. Ancora una volta.




RECENSIONE: LUCINDA WILLIAMS-Blessed (2011)




lunedì 25 gennaio 2016

RECENSIONE:ANTHRAX(For All Kings)

ANTHRAX-For All Kings (Nuclear Blast, 2016)




Ho sempre amato il carattere degli Anthrax. Un gruppo che non si è mai preso troppo sul serio (la copertina del nuovo album disegnata da Alex Ross parla chiaro ancora una volta), eppure si è sempre dimostrato attento osservatore del mondo, portando a galla ingiustizie e precarietà. E FOR ALL KINGS non difetta: ‘Evil Twin’ nasce dopo l’attentato parigino alla sede di Charlie Hebdo e fa da traino a tutto il disco. Tutti possiamo essere dei re a patto di prenderci le nostre responsabilità, è questo il messaggio del titolo spiegato dal veterano chitarrista Scott Ian. Anche se non ho ancora perdonato loro la cacciata di John Bush con cui avevano inciso uno dei migliori e sottovalutati dischi pesanti degli anni novanta (SOUND OF WHITE NOISE) devo ammettere che il ritorno dello storico vocalist Joey Belladonna, fin dal precedente ma riuscito a metà WORSHIP MUSIC, sembra aver riportato un minimo di freschezza e pure un marcato ritorno all’epicità che serpeggiava in dischi come lo storico SPREADING THE DISESAE (1985).
Basti ascoltare gli intermezzi presenti in ‘Breathing Lightning’ o gli otto minuti della pesante ‘Blood Eagle Wings’. Piace pure il groove di ‘Defend Avenge’ guidata dal basso di Frank Bello e il mid-tempo‘This Battle Chose Us’, mentre ‘Zero Torelance’ chiude ad alta velocità un disco che non ha degli anthem che si possano avvicinare al vecchio repertorio e inchiodarsi nella testa, ma dimostra sia la sua forza che il suo limite nella compattezza d’insieme e in una insistita ricerca melodica che spesso cozza troppo con il vecchio repertorio di una delle quattro band da prima pagina del thrash metal americano. Insomma, manca un po’ di sana cattiveria. Con il batterista Charlie Benante spesso in infermeria (il tunnel carpale da poca tregua), è da segnalare, infine, l’entrata in pianta stabile del chitarrista Jon Donais (ex -Shadows Fall) al posto di Rob Caggiano, passato definitivamente nei danesi Volbeat.



martedì 19 gennaio 2016

RECENSIONE:THE UNION FREEGO (In Null Komma Nichts)

THE UNION FREEGO  In Null Komma Nichts (2015)






Non ho mai capito come funzioni il marketing discografico. Oddio, un'idea ce l'avrei pure, ma...non importa. Mi interessa, invece, capire perché questo disco non stia girando come dovrebbe tra gli appassionati di musica. Buona musica. Non so se per pigrizia, modestia o falsa modestia degli autori, ma sto riscontrando l'assenza della dovuta pubblicità. Oppure la colpa è semplicemente di noi che stiamo intorno e non cogliamo qualche messaggio nascosto, ma...nuovamente, non importa. Per cui mi prendo le mie responsabilità e faccio lo sporco lavoro (comunque bellissimo): se amate il classic rock americano, quello che nasce dal vecchio folk più oscuro e sporco, incontra prima Bob Dylan sulla propria strada, la parte visionaria e psichedelica di fine sessanta, poi la west coast californiana e più malata dei '70 e la vecchia old black di Neil Young che allunga sulle curve a gomito, sfiora il Paisley underground degli anni ottanta, l'alt country recente di Uncle Tupelo e Wilco, quello più recente ancora di Okkervil River e Decemberists e finisce la sua corsa alzando la polvere dei deserti dell'Arizona (Calexico, Giant Sand) e anche po' più a sud, cercate il secondo disco della band bresciana. Non ve ne pentirete. Una band che conferma di essere un organico compatto e tenuto insieme dall'amicizia, a proprio agio tra la rilassatezza compositiva e il totale distacco da certi circuiti e cortocircuiti del mercato discografico, e forse la loro forza sta tutta lì, in quella pigrizia compositiva: il primo EP GREETINGS FROM THE NE uscì nel 2005, il primo album HARD FOLK LIGHTNING SUCKER nel 2009. Una band dal passo lento che sembra uscire allo scoperto solamente quando ce n'è bisogno e quando i numerosi impegni lo permettono. Ora a sei anni di distanza l'organico di esperti musicisti formato da Ronnie Amighetti (chitarra e voce), Marco Franzoni (chitarre), Matteo Crema (basso) e Beppe Facchetti (batteria) ingloba al suo interno la tromba di Francesco Venturini, che diventa presenza fissa e indispensabile per segnare questo nuovo corso, ospita Ottavia Brown (voce in Waltz In The Desert) e Filippo Pardini (sax in Everywhere e Family) e vira il proprio sound, senza snaturarlo troppo, verso le lande più marcatamente tex mex del proprio background (Vision, Waltz). Mantenendo quella capacità camaleontica di passare dal caldo al freddo, dal pulito allo sporco.
IN NULL KOMMA NICHTS vengono ripresi vecchissimi brani da tempo già presenti nei loro concerti, altri vecchi ma non troppo estrapolati dalla band parallela DAS tra cui una quasi morriconiana Surrender e una magnifica Incandescent Translucent Magnificent, e si prosegue con la saga Judo#3 iniziata fin dal primo EP, un brano presente nei loro tre dischi e suonato per tre volte in modo diverso.
Forse ho capito: la buona musica non ha bisogno di essere svenduta in radio e tv ma necessita e richiede l'amore e la curiosità anche di un semplice passaparola. Io vi ho avvertito. Ora lo sporco lavoro fatelo anche voi. Come si dice: fate girare. Oppure presentatevi a un loro concerto prima che la cover di Don't Cry No Tears di Neil Young faccia calare il sipario sull'esibizione. E' il loro arrivederci preferito. Forti della recente e calda serata in apertura a Tito & Tarantola, da qualche parte vi aspettano. Lì danno il meglio.

Qui sotto il video di Blues For An Asshole (dal loro primo disco HARD FOLK LIGHTNING SUCKER) registrato live proprio in apertura per Tito & Tarantula, il 7 Settembre 2015 alla Latteria Molloy di Brescia








THE UNION FREEGO, live @ I Love Cocaine, Montichiari (BS), 18 Dicembre 2015



lunedì 18 gennaio 2016

RECENSIONE: THE BOTTLE ROCKETS (South Broadway Athletic Club)

THE BOTTLE ROCKETS South Broadway Athletic Club (Bloodshot Records/IRD, 2015)






Duri a morire
Disseminata lungo la strada del tempo un po’ di quell’ energia giovanile che nei primi anni novanta ne fecero, insieme ai vicini di casa Uncle Tupelo, tra i portabandiera dell’alt country (oppure chiamatelo Americana), la band di St. Louis guidata dagli unici sopravvissuti della prima incarnazione, Mark Ortman e Brian Henneman (che dei Tupelo fu anche roadie e chitarrista) non ha smarrito la schietta attitudine e quella semplicità che ne hanno fatto una delle band più stimate ma anche dimenticate e sottovalutate di quella generazione. La recente ristampa dei due primi album, ad opera della Bloodshot Records, potrebbe aiutare nel darvi un’idea.
La vita vista dal basso, la strada e le periferie rimangono ancora le fonti principali a cui attingere per costruire le canzoni: quando ripassano gli insegnamenti melodici degli amati Byrds in Dog, quando si lanciano all’inseguimento delle chitarre più rozze dei Crazy Horse nel blue collar rock di Building Chryslers, oppure quando nuotano nelle atmosfere country e ariose di Smile. Una garanzia. Enzo Curelli 7 da Classic Rock # (Dicembre 2015)






martedì 12 gennaio 2016

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 8: TIN MACHINE (Tin Machine)

TIN MACHINE-Tin Machine (1989)




Se BLACKSTAR è un trionfale e geniale commiato al mondo che solo David Bowie poteva inventarsi, l'ultimo capolavoro, c’è stato un periodo, all’alba degli anni novanta, in cui cercò riparo all’ombra della sua stella. Ennesimo trasformismo: si nasconde e camuffa dentro a una band, senza vistosi trucchi ma indossando semplicemente una barba più lunga del consueto, una camicia bianca, una cravatta e abiti scuri. La prima vera volta a carriera già avviata. Abbandonando per una breve parentesi le mire da rockstar solista e lasciando alla sezione ritmica dei fratelli TONY e HUNT SALES (presenti in LUST FOR LIFE di Iggy Pop), ma soprattutto alla chitarra selvaggia e pungente di REEVES GABRELS , che in alcuni punti straborda nel noise, il compito di caricare a salve un disco rock, grezzo, istintivo e vario quanto basta per segnare un netto confine tra il recente passato pop (TONIGHT, NEVER LET ME DOWN), fortemente preso di mira dalla critica musicale, e il prossimo futuro non ancora scritto.
 “Non voglio più essere David Bowie, voglio diventare solo il cantante dei Tin Machine” dirà con convinzione. Con questo intento e seguendo le orme di nuovi amori musicali (Pixies) e anticipando, perché no, nuove correnti musicali in dirittura d’esplosione, si spinge verso torrenziali blues come l’iniziale ‘Heaven’s In Here’ e la marziale ‘Crack City’ che sembra addirittura citare i Black Sabbath nell’incipit iniziale, anfetaminici hard rock come ‘Sacrifice Yourself’ e il singolo ‘Under The God’, veloci incursioni in territori punk ( ‘Tin Machine’ e ‘Pretty Thing’), senza mai rinnegare buoni esercizi bowiani come ‘Prisoner Of Love’ , la citazione a Warhol in ‘I Can’t Read’ che lo riporta quasi ai livelli eccelsi dei ’70 (“Andy where's my 15 minutes?”) e una rivisitazione di ‘Working Class Hero’ di John Lennon che per l’occasione è rivestita di funk soul acido e corrosivo. Seguiranno ancora TIN MACHINE II (1991) e la testimonianza live di OY VEY, BABY (1992). Poi tornerà a fare DAVID BOWIE a tempo pieno ma sotto altri cieli. Amo questo disco.





DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 1: FRANCESCO DE GREGORI- Titanic (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #2: THE HOUSEMARTINS-London 0 Hull 4
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #3: THE NOTTING HILLBILLIES-Missing...Presumed Having A Good Time
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #4: EDDIE HINTON-Very Extremely Dangerous (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #5: BIG COUNTRY-Steeltown, 1984
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #6: TESLA-Five Man Acoustical Jam, 1990
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 7: PRIDE & GLORY-Pride & Glory (1994)

lunedì 4 gennaio 2016

RECENSIONE: CHEAP WINE (Mary And The Fairy)

CHEAP WINE  Mary And The Fairy (Cheap Wine Records, 2015)






Secondi a nessuno
La presenza del loro CRIME STORIES (2002) nel novero dei venti dischi rock italiani da avere, scelti da Federico Guglielmi su queste pagine, potrebbe bastare come buon biglietto da visita e incuriosire chi ancora non li conoscesse. La band dei fratelli Marco e Michele Diamantini arriva anche al prestigioso traguardo dei vent’anni di carriera con il secondo disco dal vivo dopo il doppio STAY ALIVE! (2010). Quello che esce prepotente da questi concentratissimi sessanta minuti di classic rock, registrati durante la data del 30 Aprile al Teatro Sperimentale della loro Pesaro, è la perfetta coesione raggiunta negli anni (in mezzo alle chitarre, in cattedra ci finisce spesso il pianoforte di Alessio Raffaelli) e culminata nella perfezione degli ultimi due album in studio. Anche stavolta troviamo quella voglia di fare musica che non si è mai spenta, né piegata a mode e che mai ha tentato di percorrere le facili scorciatoie del successo. Le canzoni scelte sono solamente otto ma le capacità di riarrangiarle, allungarle (Mary) e farle rivivere le fanno sembrare infinite e senza tempo. Avanti così. Enzo Curelli 8, da Classic Rock #37 (Dicembre 2015)

RECENSIONE: CHEAP WINE-Beggar Town (2014)
RECENSIONE: CHEAP WINE-Based On Lies (2012)


sabato 2 gennaio 2016

DISCHI 2015 dei LETTORI


1-WARREN HAYNES-Ashes And Dust (25 voti)
2-KEITH RICHARDS-Crosseyed Heart (Recensione) (18 voti)
3-CHRIS STAPLETON-Traveller (Recensione) (14 voti)
4-RYAN BINGHAM-Fear And Saturday Night (Recensione) (13 voti)
   GANG-Sangue e Cenere
5-CHEAP WINE-Mary And The Fairy (11 voti)
6-JOE ELY-Panhandle Rambler (Recensione) ( 9 voti)
   THE DECEMBERISTS-What a Terrible World...(Recensione)
7-ANDERSON EAST-Delilah (8 voti)
8-BOB DYLAN-Shadows In The Night (Recensione) ( 7 voti)
   BLACKBERRY SMOKE-Holding All The Roses
   STEVE EARLE-Terraplane (Recensione)
   LOS LOBOS-Gates Of Gold
9-BUDDY GUY-Born To Play Guitar (Recensione) ( 6 voti)
   THE WATERBOYS-Modern Blues
10-RYAN ADAMS-1989  (Recensione) ( 5 voti)
    NEIL YOUNG-The Monsanto Years (Recensione)
11-THE SONICS-This Is The Sonics ( 4 voti)
    JESSE MALIN-Outsiders (Recensione)
    TOM JONES-Long Lost Suitcase (Recensione)
12-DAVE and PHIL ALVIN-Lost Time ( 3 voti)
    SEASICK STEVE-Sonic Soul Surfer (Recensione)
    DAVID CORLEY-Available Light
    PETER CASE-HWY 62
13-BANDITOS-Banditos  (Recensione) ( 2 voti) 
     BILL FAY-Who Is The Sender? 
     CALIBRO 35-S.p.a.c.e. 
    MOTORHEAD-Bad Magic 
14-MARK LANEGAN-Houston (Recensione) (1 voto)
     FAITH NO MORE-Sol Invictus
     DAVID GILMOUR-Rattle That Lock-
     JESSE MALIN-New York Before The War
     THE WHITE BUFFALO-Love And The Death Of Damnation (R
    ANDREA BIGNASCA-Gone
    CLUTCH-Psychic Warfare
    HIGH ON FIRE-Luminiferous

I MIEI DISCHI 2010
I MIEI DISCHI 2011
I MIEI DISCHI 2012
I MIEI DISCHI 2013
I MIEI DISCHI e PLAYLIST LETTORI 2014
I MIEI DISCHI ITALIANI 2015
I MIEI DISCHI 2015



mercoledì 30 dicembre 2015

I MIEI DISCHI 2015


















1-THE SONICS-This Is The Sonics
2-CHRIS STAPLETON-Traveller (Recensione)
3-RYAN BINGHAM-Fear And Saturday Night (Recensione)
4-PETER CASE-HWY 62
5-JOE ELY-Panhandle Rambler (Recensione)
6-RAY WYLLIE HUBBARD-The Ruffian's Misfortune
7-BILL FAY-Who is The Sender
8-WARREN HAYNES-Ashes & Dust
9-BUDDY GUY-Born To Play Guitar (Recensione)
10-KEITH RICHARDS-Crosseyed Heart (Recensione)

11-BOB DYLAN-Shadows In The Night (Recensione)
12-RYAN ADAMS-1989 (Recensione)
13-JESSE MALIN-Outsiders (Recensione)
14-BANDITOS-Banditos (Recensione)
15-GARY CLARK JR.-The Story Of Sonny Boy Slim (Recensione)
16-THE WHITE BUFFALO-Love And The Death Of Damnation (Recensione)
17-GLEN HANSARD-Didn't He Ramble (Recensione)
18-NATHANIEL RATELIFF &THE NIGHT SWEATS
19-MARK LANEGAN-Houston (Recensione)
20-LANCE CANALES-The Blessing And The Curse (Recensione)

SEASICK STEVE-Sonic Soul Surfer (Recensione)
JAMES McMURTRY-Complicated Game
FAITH NO MORE-Sol Invictus
BLACKBERRY SMOKE-Holding All The Roses
THE PROCLAIMERS-Let's Hear It For The Dogs
GRAVEYARD-Innocence & Decadence (Recensione)
JJ GREY & MOFRO-Ol'Glory (Recensione)
MOTORHEAD-Bad Magic
NEIL YOUNG-Bluenote Cafe (Recensione)
CALEXICO-Edge Of The Sun (Recensione)
TOTO-XIV
WILLIAM ELLIOTT WHITMORE-Radium Death (Recensione)
STEVE EARLE & THE DUKES-Terraplane (Recensione)
CLUTCH-Psychic Warfare
WILLIE NELSON & MERLE HAGGARD-Django And Jimmie
LUCERO-All A Man Should Do (Recensione)
DAVE ALVIN And PHIL ALVIN-Lost Time
ARMORED SAINT-Win Hands Down
RICHIE KOTZEN-Cannibals (Recensione)
JACKIE GREENE-Back To Birth (Recensione)
GIANT SAND-Heartbreak Pass (Recensione)
JESSIE MALIN-New York Before War
GRAHAM PARKER AND THE RUMOUR-Mystery Glue
THE WATERBOYS-Modern Blues
THE DECEMBERISTS-What A Terrible World, What A Beautiful World (Recensione)
BENJAMIN CLEMENTINE-At Least For Now
LOS LOBOS-Gates Of Gold
BILLY GIBBONS-Perfectamundo
TOM JONES-Long Lost Suitcase (Recensione)
SOUTHSIDE JOHNNY AND THE ASBURY DUKES-Soultime
THE REVEREND PEYTON'S BIG DAMN BAND-So Delicious!
JASON ISBELL-Something More Than Free (Recensione)
ANDERSON EAST-Delilah
XAVIER RUDD-Nanna
HEYMOONSHAKER-Noir
NEIL YOUNG + PROMISE OF THE REAL-The Monsanto Years (Recensione)
DAVID CORLEY-Available Light
BOCEPHUS KING-The Illusion Of Permanence
DUKE GARWOOD-Heavy Love (Recensione)
HAYSEED DIXIE-Hair Down To My Grass (Recensione)
EUROPE-War Of King
THERAPY?-Disquiet (Recensione)
SLAYER-Rapentless
DAVID GILMOUR-Rattle Tahat Clock
SCORPIONS-Return To Forever
JAMES TAYLOR-Before This World
GUY DAVIS-Kokomo Kidds
IRON MAIDEN-The Book Of Souls
THE TURNPIKE TROUBADOURS
DANZIG-Skeletons (Recensione)
JIMMY LAFAVE-The Night Tribe
ALABAMA SHAKES-Sound & Color
ROD STEWART-Another Country (Recensione)
MARK KNOPFLER-Tracker

I MIEI DISCHI 2010
I MIEI DISCHI 2011
I MIEI DISCHI 2012
I MIEI DISCHI 2013
I MIEI DISCHI 2014
I MIEI DISCHI ITALIANI 2015


giovedì 24 dicembre 2015

I MIEI DISCHI ITALIANI 2015


GANG-Sangue e Cenere
CALIBRO 35-S.P.A.C.E.
FRANK GET-Rough Man
GIUDA-Speaks Evil
CHEAP WINE-Mary And The Fairy
THE UNION FREEGO-In Null Komma Nichts
VAN CLEEF CONTINENTAL-Unda Maris
MIAMI AND THE GROOVERS-The Ghost King
EDOARDO BENNATO-Pronti A Salpare
IL SINDACO-Come I Cani Davanti Al mare
LUCA ROVINI-La barca Degli Stolti
SLICK STEVE AND THE GANGSTERS-On Parade
FRANCO GIORDANI-Incuintretimp
ME PEK E BARBA-Carta Canta
VIA DEL BLUES-Five By Five
CISCO-Matrimoni e Funerali
BACHI DA PIETRA-Necroide
FRANCESCO DE GREGORI-Amore e Furto, De Gregori Canta Dylan

DISCHI ITALIANI 2014
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venerdì 18 dicembre 2015

RECENSIONE:DANZIG (Skeletons)

DANZIG  Skeletons  (Evilive Music, 2015)






Il vecchio Danzig (quest'anno sono 60) si pitta come ai tempi dei Misfits, si fa fotografare in copertina rendendo omaggio a PIN UPS di David Bowie (già coverizzato a suo tempo con 'Cat People') e soffia sulla polvere del vecchio giradischi dimenticato in cantina. SKELETONS è l’omaggio alla musica con cui è cresciuto e quella che ha portato avanti e suonato in carriera, dal punk all’heavy blues fino alle derive industrial. Un disco pronto da anni ma che da quell’armadio non voleva uscire, e sembra che ci sia un disco intero con cover di Elvis Presley già pronto da qualche altra parte, si intitolerà semplicemente DANZIG SINGS ELVIS. Dieci cover pescate dai personali ricordi che cercano di ripercorrere le impronte della sua vita da ascoltatore, molto prima che i Misfits prendessero forma. Dagli immancabili omaggi a Elvis Presley, appunto, con ‘Let Yourself Go’e Black Sabbath (‘N.I.B.’), ai più curiosi ripescaggi dalle colonne sonore di due road movie di fine anni sessanta come Devil’s Angels e Satan Sadist. Gli anni sessanta e il garage rock di The Troggs (‘A Girl Like You’), The Rascals (‘Find Somebody’) e The Litter (‘Action Woman’) la fanno da padrone. Meno convenzionali le cover di ZZ Top (Rough Boy), l’unica presa dagli anni ottanta, Aerosmith (‘Lord Of The Thigs’) e il curiosissimo finale affidato agli Everly Brothers  di ‘Crying In The Rain’. La produzione è spesso sporca (volutamente?), a tratti confusa, ma i musicisti che lo accompagnano sono di prim’ordine: dall’ormai fido Tommy Victor (Prong) a Johnny Kelly (Type O Negative). Ci si diverte, ma ovviamente è tutta roba (solo) per fan, come si dice.



martedì 15 dicembre 2015

VOTA IL DISCO DEL 2015

VOTA IL DISCO DEL 2015
 
 

Vuoi stare al gioco da "musicofilo" più abusato, amato e odiato di fine anno? La famigerata classifica dei dischi? Anche quest'anno il mio blog ci riprova, dopo il trionfo di Lucinda Williams dell'anno scorso. E' tutto molto semplice: guarda alla destra dello schermo mentre sei nel mio blog, in qualunque pagina o post, troverai un elenco di dischi (sono stati scelti da me, e rappresentano un campione dei miei ascolti, se proprio non trovi il "tuo disco dell'anno"-ed è molto probabile, lo spazio è quello che è, il tempo meno ancora, i gusti sono molto personali- puoi lasciarlo scritto nei commenti di questo post), spunta il disco (o i dischi, si possono mettere più preferenze) e clicca sul tasto "voto". Fatto? Bene. Ti stanno sul cazzo queste inutili classifiche di fine anno? Bene. Hai tempo fino al 31/12/2015 per cambiare idea. Poi tutto sarà finito, ancora una volta, giuro! Buon voto, buone feste!

CLASSIFICA DEI LETTORI 2014

domenica 13 dicembre 2015

THE FIREPLACES live@I Love Cocaine, Montichiari (BS), 11 Dicembre 2015


Ehi…ma la storia di Caterino la conosci?
No. Chi è? E che nome è Caterino?
Ma sì, lo spettatore che a Padova nel 2013 è salito sul palco con Springsteen. Aveva un cartello con scritto “ suono la washboard”. Springsteen l’ha letto e l’ha fatto salire su. Ha suonato tutta ‘Pay Me My Money Down’ con la E Street Band. L’unico fan di Springsteen al mondo che è riuscito a suonare una canzone intera sopra ad un palco con Bruce.
Non ci credo…...
Ero lì, sono pure riuscito a fare una foto, e poi cerca su Youtube. Ci sono i video. Tanti video.
CATERINO DIVENTA IL NOSTRO piccolo IDOLO della porta accanto.
Luglio 2015, Buscadero Day. C’è anche Caterino con i suoi FIREPLACES (Carlo Marchiori, Marco Quagliato, Oliviero Lucato, Luca Martello, Devis Battisti, Francesco Mattarello, Francesco Morosin). Eleggiamo il concerto dei caminetti il più divertente della giornata. Glielo comunichiamo a fine concerto. Finalmente ci si conosce. Tornato a casa scrivo due righe:

“mi alzo per i Fireplaces di Caterino Washboard Riccardi, uno che ha trasformato i famosi quindici minuti di popolarità (ormai sapete tutti in quale palco è salito munito di washboard, vero?) in una buona opportunità per far girare la sua musica. Il gruppo, che per l'occasione è arricchito dalla chitarra di Anthony Basso (W.i.n.d.), è un ruspante trattore di campagna che ara i campi del rock'n'roll/folk/blues, sì rock'n'roll/folk/blues può andare: chitarre e chitarristi molto seventies, attitudine da bluegrass band di campagna e Caterino che dirige i suoi "caminetti" come un piccolo Boss del Brenta. La dedica del brano ‘Shelter From The Storm’ (anche titolo del loro CD) ai poveri alluvionati vittime del recentissimo uragano che ha colpito il Veneto fa loro onore”.
Dopo il concerto compriamo il CD dei Fireplaces (comprate anche voi il Cd dei Fireplaces!), e scopriamo che i soldi saranno devoluti in beneficenza. Doppio onore.
Ora…tutto il resto non ve lo svelo.

Vi dico solo che a Montichiari sono stati fantastici!




giovedì 10 dicembre 2015

RECENSIONE: ROD STEWART (Another Country)


ROD STEWART Another Country (Capitol Records, 2005)








In alto gli scudi
Ha ancora un senso parlare di un nuovo disco di Rod Stewart in una rivista prettamente rock? Mi prendo le mie responsabilità e rispondo: sì! A patto che non cerchiate le chitarre, quelle le dosa nei live e la recente reunion di settembre con quel che resta dei Faces è li a dimostrarlo. ANOTHER COUNTRY è il fratello del precedente TIME, figli dell’autobiografia uscita nel 2012. Facendo ordine a pensieri e ricordi, è tornata la voglia di musicarne qualcuno (insieme a Kevin Savigar), mettendo la parola fine alla saga GREAT AMERICAN SONGBOOK. Non tutto è perfetto: certi ammiccamenti a MTV sono sempre presenti (Walking In The Sunshine) e l'ingenuità di alcuni testi fa sorridere: l’inno calcistico per gli amati Celtic (We Can Win), la ninnananna dedicata al figlio (Batman Superman Spiderman). Ma quando tira fuori le vecchie origini scottish nei folk cromati pop (Hold The Line, The Drinking Song) e la voce (con falsetto) nel riuscito numero soul Please dimostra che a 70 anni è ancora quell'interprete rock (sì, rock) che abbiamo sempre amato. Enzo Curelli 6  da Classic Rock #37 (Dicembre 2015)

 


RECENSIONE: RYAN BINGHAM-Fear And Saturday Night (2015)
RECENSIONE: THE WHITE BUFFALO-Love And The Death Of Damnation (2015)
RECENSIONE: LANCE CANALES-The Blessing And The Curse (2015)
RECENSIONE: JACKIE GREENE-Back To Birth (2015)
RECENSIONE: LUCERO-All A Man Should Do (2015)
RECENSIONE: KEITH RICHARDS-Crosseyed Heart (2015)
RECENSIONE: GLEN HANSARD-Did'nt He Ramble (2015)
RECENSIONE: JESSE MALIN-Outsiders (2015)
RECENSIONE: TOM JONES-Long Lost Suitcase
RECENSIONE: RYAN ADAMS-1989 (2015)
RECENSIONE: NEIL YOUNG AND THE BLUE NOTE CAFE-Bluenote Cafè (2015)



 

 

mercoledì 2 dicembre 2015

RECENSIONE:GRAVEYARD (Innocence & Decadence)

GRAVEYARD Innocence & Decadence (Nuclear Blast, 2015)





Vecchi si nasce. Vecchi si muore?
C'è un piccolo sticker attaccato alla confezione del Cd che recita: "Classic rock with a modern roll". Potrebbe essere un buono slogan per la rivista che tenete in mano, ma lo è anche per descrivere la musica di questi quattro ragazzi svedesi cresciuti a Göteborg e arrivati al traguardo del quarto disco (il migliore rimane HISINGEN BLUES del 2011, n.1 nelle classifiche in di madrepatria), sfornato a tre anni di distanza dall'egualmente apprezzato LIGHT OUT. C'è anche un altro modo per descrivere il loro stile, ovvero: gli anni d'oro del rock, risuonati con il giusto piglio moderno. La stessa definizione d'altronde andrebbe bene anche per alcune band che con questi svedesi dividono ben più che la stessa etichetta, una Nuclear Blast da sempre paladina del metal estremo, ma che oggi i soldi di chi ancora compra i dischi li sta facendo con Blue Pills, Orchid, Kadavar e The Vintage Caravan. I Graveyard sono hippie fuori tempo, non inventano nulla, aggiungono freschezza, malinconia e onoricità scandinava alle lezioni del caldo vintage rock. Potrete anche divertirvi nello scovare i tanti punti di riferimento: Black Sabbath e Led Zeppelin su tutti, ma anche l'apertura di hard acido alla Uriah Heep di Magneic Shunk o il blues hendrixiano di The Apple & The Tree, e pare quasi tangibile il desiderio di Joakim Nilsson (voce e chitarra) di rompere le barriere del tempo e ritrovarsi in un pub a suonare insieme ai Taste di Rory Gallagher o ai Wishbone Ash (come altro si potrebbe spiegare l'ispirazione che ha dato il via alla scrittura di Exit 97?). Che i continui rimandi al passato possano alla lunga annoiare è il rischio che i quattro sono pronti a correre, perché, dalla loro parte, hanno tutta l'energia e l'amore per quei suoni (Can't Walk Out è un prezioso compendio in questo senso) che sopperisce laddove l'ispirazione non è all'altezza del passato.
Poi però arriva Too Much Is Not Enough, che scomoda Jeff Buckley, e ogni critica viene smontata in un attimo e la macchina del tempo sembra di nuovo funzionare alla perfezione. C'è tanta varietà in queste undici tracce, ma ora ci aspettiamo il colpo di classe. Sono sicuro che Nilsson e soci possano regalarcelo in futuro.
Enzo Curelli e Jacopo Meille, voto 7 da Classic Rock # 36 (Novembre 2015)




RECENSIONE: GRAVEYARD-Hisingen Blues (2011)
RECENSIONE: GRAVEYARD-Lights Out (2012)