domenica 12 maggio 2024

RECENSIONE: ANDERS OSBORNE (Picasso's Villa)

 

ANDERS OSBORNE  Picasso's Villa (Missing Piece Records, 2024)



lo svedese di New Orleans

Durante il lockdown ci fu un "uso" alquanto superficiale e scorretto degli artisti e dei musicisti. Il loro compito sembrava fosse solo uno: far divertire la gente. Fare passare qualche minuto, qualche ora, diventati giorni e poi mesi in totale spensieratezza a chi (noi) come loro era chiuso in casa. Naturalmente senza compenso, dimenticando che tanti erano professionisti messi al palo, a paga zero, dall'epidemia. Per qualche politico un atto dovuto: l'arte come lavoro era ed è ancora qualcosa di inconcepibile per alcuni. La domanda: "sì ma di lavoro cosa fai?" non è così rara da sentire.

Nella canzone musicalmente spensierata e puntellata dall'Hammond  'Picasso's Villa' che da anche il titolo all' album, il diciasettesimo, Anders Osborne sembra proprio rivolgersi a tutte quelle persone che gravitano intorno all'arte con sprovveduta superficialità (lui è pure un pittore):

"Picasso's Villa tenta di descrivere il business della musica e il ruolo da giullare che hanno i musicisti. Siamo una valuta utilizzata, giudicata, negoziata, scambiata, valutata e talvolta scartata".

Se due anni fa Anders Osbourne si presentò al Buscadero Day in solitaria, era appena uscito lo stupendo  Orpheus And The Mermaids (2021), un disco acustico trainato dai venti leggeri della West Coast Music che continuavano a sbuffare dal precedente Buddha And The Blues (2019), con questo nuovo Picasso's Villa, invece, ritorna ad abbracciare l'intera rosa dei venti musicali che hanno scompigliato i suoi capelli, ora bianchi, negli anni. Abbiamo imparato a amare i suoi primi dischi più conosciuti come  Which Way To Here (1995) e  Living Room (1999), quelli più marcatamente intrisi degli umori di New Orleans come Coming Down (2007), le canzoni più cupe e scure come quelle che uscivano da American Patchwork (2010) e Black Eye Galaxy (2012) e cose più bizzarre e giocose come le canzoni di Peace (2013), sfrontato fin dalla copertina e che iniziava a lasciarsi indietro problemi personali che lo stavano attanagliando.

Anders Osbourne non ha mai fatto dischi brutti (forse i primi più ruspanti si fanno preferire ma sono sottigliezze) e Picasso' s Villa va ad aggiungersi ad una lista da fare invidia a nomi più blasonati che continuano a vivere di rendita.

Straordinaria voce, chitarrista eccelso , autore sopraffino, dotato di limpida ironia e della rara dote di  saper colorare i suoi pezzi con sfumature sempre sgargianti ma anche buon conoscitore dei tempi su cui mette i piedi ogni giorno: 'Bewildered' prende in esame gli accadimenti degli ultimi quarant'anni nelle terre americane (tra cronaca, musica e politica) che lo hanno adottato quando dalla Svezia andò a cercarsi la sua America, con un suono di chitarre elettriche che chiama in causa i Crazy Horse di Neil Young e non è un caso che in produzione e nei suoni ci siano uomini che con il canadese hanno intrecciato spesso il percorso, ossia Nico Bolas e Chad Cromwell.

Splendide canzoni, dal piglio elettro acustico che spesso richiamano e omaggiano New Orleans nelle liriche, luogo che lo ha accolto e dove ha piantato  le sue radici europee, succhiandone l'anima: l'apertura 'Dark Decatur Love', un country in crescendo che mi ha ricordato Johnny Cash, e la finale 'Le Grande Zombie', dedicata a un ambasciatore importante come Dr. John e portata avanti in una babilonia di strumenti (archi e fiato) e suoni che chiudono il disco con colorato carattere malinconico.

Proprio nella ormai "sua" New Orleans ha registrato il disco insieme a una bella parata di ospiti tra cui spiccano la chitarra di Waddy Wachtel, il bassista Bob Glaub, l'armonica di Johnny Sansone e Ian Neville al B3. Otto canzoni che toccano con più insistenza il rock rispetto al recente passato: 'Reckless Heart' si pone a metà strada tra Springsteen e Petty, i sei minuti di 'Real Good Dirt' e 'Returning To My Bones' hanno l'inconfondibile passo elettrico dei Crazy Horse. Oggi sono veramente pochi gli artisti così completi come Anders Osborne. Con lui si va sempre sul sicuro.






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