sabato 6 marzo 2021

RECENSIONE: ANDERS OSBORNE (Orpheus And The Mermaids)

ANDERS OSBORNE   Orpheus And The Mermaids (5th Ward Ent, 2021)



folk solitario

Cosa gli sia rimasto di svedese, ora che anche i capelli e barba sono bianchi come un vecchio bluesman della Lousiana, lo custodisce lui nel suo profondo. Trent'anni di New Orleans come minimo vuol dire averci messo tante radici da sembrare il perfetto padrone di casa di quelle terre americane dove decise di fermarsi poco più che ventenne. Ha vangato quella terra, ha respirato la musicalità presente nell'aria di quei luoghi. Ha messo tutto in musica. Ha cesellato dischi straordinari come Which Way To Here (1995) e  Living Room (1999), canzoni più cupe e scure come quelle contenute in American Patchwork (2010) e Black Eye Galaxy (2012) e cose più bizzarre e giocose come quelle di Peace (2013), sfrontato fin dalla copertina. 

L'ultimo Buddha And The Blues (2019) era il suo disco dalle atmosfere solari e californiane, west coast, e questo nuovo sembra proseguire nella stessa direzione anche se in modo diverso. Solitario e senza compagnia si tuffa completamente nel folk con qualche  puntata nel blues (la ritmica 'Welcome To Earth'). Semplice e diretto. Solare ('Light Up The Sun'). Nove canzoni incredibilmente riuscite, come sempre, ispirate, costruite con sola voce, chitarra acustica e qualche armonica (l'apertura da viaggio on the road 'Jacksonville To Wichita', la riuscita e dylaniana 'Last Day In The Keys', 'Dreamin'), cantate divinamente e con la solita chitarra ispirata a ricamare (la slide di 'Pass On By'). Elettrico o acustico poco importa, Osborne sa scrivere canzoni quindi difficilmente sbaglia un disco. Eccone un altro da mettere in fila. Rimane solo il mistero della reperibilità fisica di questo disco. Al momento si può trovare solo il vinile con allegato merchandise, ordinabile dal suo sito. Aspettiamo...




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