alla corte di George Martin
Quando si parla degli America mi si illuminano sempre gli occhi. Il primo amore non si scorda mai e i loro primi dischi li toccavo, li annusavo e ascoltavo a sette anni in quelle domeniche che mi vedevano già sveglio alle sette di mattina, intento a frugare tra i dischi impilati nel mobiletto dello stereo. Ai tempi stavano tutti lì, in poco spazio. Inserivo il jack delle cuffie, sprofondavo dentro la poltrona e sognavo. L'anno scorso, un po' in ritardo, li ho pure visti per la prima volta dal vivo a Verona. Serata quasi magica dopo un temporale fortissimo che per un attimo sembrò far svanire quel mio vecchio sogno. Sono cresciuto anche con le loro canzoni e quando qualche musicofilo snob me li attacca con puerili argomentazioni potrei diventare anche cattivo.
Quando escono cose come queste invece sono contento.
Heritage II prosegue il discorso affrontato con la prima uscita di tre anni fa. Mentre quel disco prendeva in considerazione i primi tre fondamentali dischi con inediti, alternate take e live version, questa volta ci si sposta in avanti di poco arrivando a toccare i successivi Holiday, Hearts e Hideaway i primi tre prodotti da George Martin. Qualcosa stava cambiando nella loro musica: le atmosfere acustiche e west coast si stavano piano piano arricchendo di sfumature pop e arrangiamenti orchestrali con l'inconfondibile firma dell'ex produttore dei Beatles e l'amore per i fab four iniziava a materializzarsi concretamente. Il sogno di avere George Martin come produttore si concretizzò in modo fortuito a Los Angeles come ricordò Gerry Beckley: "George in seguito ci disse che stava pensando di ritirarsi proprio prima di questo progetto. Questo è stato come un punto di svolta anche per lui, perché a quel tempo non stava producendi nessun altro. Quindi il grande incontro è stato finalmente organizzato. Entrò e si mise comodo, si tolse le scarpe e tutte queste cose e disse: "Oh! Fa così caldo qui nel vostro paese, ma mi sto divertendo molto - piacere di conoscervi ragazzi."
Dopo le conoscenze, Martin se li portò a Londra, insegnando loro alcuni trucchi del mestiere e registrare Holiday nel più breve tempo possibile. Il sodalizio durò per sette album.
In questa nuova raccolta però tutto sembra ruotare intorno ai dodici minuti ritrovati di 'Jameroony', una lunga jam acustica registrata in studio nel 1971 mai comparsa prima da nessuna parte, dove a dominare sono gli intrecci delle tre chitarre acustiche di Gerry Beckley, Dewey Bunnell e Dan Peek che segnarono bene la prima parte di carriera, ancora legata ai primi tre dischi. Insieme al demo di 'Cornwall Blank' che uscirà poi su Homecoming, sono le uniche slegate dal periodo Martin che invece occupa gran parte della raccolta con le embrionali versioni della hit 'Tin Man', 'You', 'Mad Dog', 'What Does It Matter' che finiranno su Holiday (1974) e di 'Lovely Night' ', Today' s The Day', 'Amber Cascades' , 'Letter' e 'Jet Boy Blue' da Hideaway (1976), disco registrato al Caribou Ranch in Colorado, diventato famoso anche per l'album di Elton John.
Menzione a parte per 'Simple Life' scritta da Peek e che uscì come singolo per il mercato giapponese ma mai inclusa su Hearts, e per un altro inedito intitolato 'Mandy' scritta da Beckley con tutto l'amore per Paul McCartney ad uscire prepotente con Martin a mettere la classica ciliegina sulla torta. "George Martin ci ha insegnato davvero molto sulla registrazione e su come tradurre una prima idea che hai in testa in una canzone da mettere su nastro ... Se non altro, aveva molte storie fantastiche da raccontare sui suoi giorni con i Beatles" ricorderà Dan Peek.
Completano il disco alcuni scatti del mitico fotografo Henry Diltz, un lungo sodalizio che dura ancora oggi, e le liner notes scritte da Gerry Beckley.
RECENSIONE: AMERICA-Heritage: Home Recordings/Demos 1970-1973 (2017)
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