lunedì 31 marzo 2014

RECENSIONE: JOHN GORKA (Bright Side Of Down)

JOHN GORKA Bright Side Of Down (Red House Records/IRD, 2014)




John Gorka è uno dei migliori impressionisti folk dell'America d'oggi. Un songwriter dall'andatura sempre prudente. Gentile, nostalgico, intimo, raffinato e meticoloso che non ha mai messo fretta alla sua vena compositiva, un coerente, uno che si trova bene ai margini, davanti alla vetrata di un diner a tarda sera ad osservare, riflettere e contemplare dopo una giornata di lunghi spostamenti, dopo aver visto paesaggi, neve, sole, uomini, donne e colori. Bright Side Of Down è il suo dodicesimo disco in carriera e non sfugge alle caratteristiche dei predecessori: voce calda e rassicurante, tenui impianti acustici, semplici arrangiamenti ad accompagnare liriche di vissuto (le vere protagoniste nella sua musica)  nate sulla strada, cresciute con la spada del tempo puntata, seguendo gli umori e i colori dettati dalle stagioni. Si parte dallo spigoloso inverno, si arriva alla tenue primavera (Really Spring), dalla morte delle speranze alla rinnovata rinascita. "Penso che questa nuova raccolta di canzoni possa aiutare il corpo ad attraversare il freddo per arrivare alla primavera". "Ogni primavera è una vittoria quando gli inverni sono così freddi" canta in Thirstier Wind.
Il suo vissuto nel freddo Minnesota questa volta è stato ancora più determinante per creare l'intimità folk delle undici canzoni che non hanno la pretesa di farci fare un sussulto ma chiedono solamente di essere ascoltate, comprese, lette nei tanti dettagli lasciati dall'autore.
Saggi di vita per sola voce e chitarra (Don't Judge A Life) raccontati in prima persona (Outnumbered), positività quotidiana trainata dal violino (Mind To Think), corti e spensierati inni d'amore scritti per la figlia (Honeybee), la solarità contagiante di More Than One, l'aiuto di fidati amici (Eliza Gilkyson-appena uscito anche il suo The Nocturne Diaries- , Lucy Kaplansky in Bright Side Of Down, Claudia Schmidt in Procrastination Blues), la rilettura di She's That Kind Of Mystery di Bill Morrissey (un altro amico scomparso solo tre anni fa) fanno da contorno ai pensieri più profondi e attuali di High Horse ma soprattutto ai colpi di spazzola e fisarmonica che introducono Holed Up Mason City, canzone che da il via a tutto, narrandoci di un Gorka in balia di una bufera di neve nella città di Mason City, nello Iowa, tristemente famosa per essere stata la città da dove partì l'ultimo volo aereo che condusse Big Popper, Buddy Holly e Richie Valens verso il paradiso del rock'n'roll. Canzone che diventa pretesto per riflessioni e visioni: "At the Big Bopper Diner there's bunch of stranded refugees/ And nobody's talking or looking very eager to please/ In a booth I saw Buddy Holly's ghost, writing to the girl he loved the most/ Holed up in Mason City, the future isn't ready tonight".
Se la coerenza in musica molto spesso viene scambiata per ripetitività, fino a diventare un difetto, nel suo caso è un sigillo al valore. Chi lo segue fin dall'esordio I Know (1987) vuole questo. Un disco rassicurante e sincero, specchio dell' autore, solo per questo vero e meritevole di un ascolto.



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