martedì 11 marzo 2014

RECENSIONE:LITTLE ANGEL & THE BONECRASHERS (J.A.B.) & INTERVISTA A CRISTIANO CARNIEL

LITTLE ANGEL & THE BONECRASHERS  J.A.B. (autoproduzione, 2014)



Vuoi fare l'americano? Fallo almeno bene. Questa è una regola non scritta che pochi seguono, ma quei pochi che lo fanno sono degni, degnissimi di nota, tanto da meritare lande musicali più vaste dei nostri traballanti e miopi confini nazionali, e gli esempi in questi ultimi anni sono fortunatamente tanti. I Little Angel & The Bonecrashers, band del varesotto attiva dal 2000, arrivano al secondo album con dieci canzoni autografe che sono una piccola lezione di umiltà e rispetto verso un'intera scena musicale talmente vasta  che il rischio di perdersi è alto e sempre in agguato: si  parte dalle radici e si arriva agli albori di quell'alt country che è stato una delle ultime vere novità che ha condizionato, anche per vie traverse, tutte le nuove generazioni di musicisti americani.
In mezzo, a tenere tutto unito, lo swamp rock, la lezione di band universali, buone per ogni occasione, epoca e pubblico, come i Creedence Clearwater Revival di John Fogerty (ascoltate l'iniziale country/rock Harry's Wife e capirete). I Little Angel &The Bonecrashers sanno fare gli americani, non per puro spirito d'emulazione ma per vero amore verso un suono ruspante (tre chitarre in formazione), caldo e dal fascino incalzante che alza polvere sulle secche strade e che la simpaticissima copertina vuole anticipare prima ancora di leggerne i titoli e ascoltare le canzoni. Ma anche viaggiare a passo lento lungo il nulla del deserto, tra meditazione, sogno e contemplazione del paesaggio: la lentezza ha il suo fascino. C'è il loro cuore che pulsa in queste dieci canzoni. Si sente.
"La cultura, anche se bassa, come la musica che noi suoniamo, ti rende più bello. Dentro (darei un braccio per farvi provare quello che sento quando suono qualcosa che mi piace o quando una canzone mi si aggrappa allo stomaco) e anche fuori (i Little Angel quando suonano insieme sono bellissimi, cieco chi non se ne accorge). Scrivono nel loro profilo facebook.
Difficile etichettarli, perché il gruppo guidato da Cristiano Carniel  sa trottare in solitaria per gli ultimi lunghi e misteriosi viaggi ( My Last Ride con la chitarra ospite di Davide Buffoli) come farebbe un Johnny Cash spirituale davanti alle sue amate ferrovie; adagiarsi pigramente sopra ai tasti di un pianoforte (suonato da Agostino Barbieri) in Birdies; avanzare sardonicamente in Troubled Everyday, canzone che si alza e si abbassa seguendo umori cari a Neil Young; girare intorno ad un valzer western (Cowboy's Prayer); cavalcare il suono rock e ruspante che esce da 1000 Miles Amelia; sprigionare vivacità nell' autobiografica e ironica Just Another Band, nella spensieratezza di Regrets (Sweet Revenge Song); il tutto legato dalle buone armonie vocali (oltre a Carniel, alla voce anche i due chitarristi Stefano Tosi e Andrea Bergamin, completano la formazione: Marco Sola alla batteria, Gianluca Lavazza al basso). Veri, freschi e vivaci: può bastare?


INTERVISTA
Due parole con Cristiano Carniel, voce e chitarra del gruppo.
Come è nata la band?
"I Little Angel & the Bonecrashers nascono sul border Milano-Varese nel 2000. Cinque amici di lunga data con diverse collaborazioni in band musicali della zona del varesotto. L'idea di partenza è, dopo molti anni passati a suonare nei locali quello che piace alla gente, di suonare finalmente quello che piaceva a noi: Los Lobos, Allman Brothers Band, Lynyrd Skynyrd, Eagles, Creedence Clearwater Revival, Neil Young e la per noi bellissima musica che in quegli anni arrivava dal movimento alt-country. Quindi le prime scalette vedevano brani degli Uncle Tupelo, tra gli altri, vicino a pezzi dei mostri sacri di cui sopra. Nel 2003 registriamo un demo di  sei cover e a marzo 2006 esce il primo cd che contiene 6 brani originali e 3 cover. Nel novembre 2008  abbiamo aperto il concerto della cantautrice americana Sarah Pierce e nell'ottobre 2009 partecipiamo per la prima volta al Townes Van Zandt Tribute (bis nel 2013).

 Una delle cose che si notano maggiormente è la vostra totale immersione nella tradizione musicale americana, tanto che è difficile inquadrarvi in un solo genere, quindi vi ho inquadrato in un gruppo: i Creedence Clearwater Revival. Totalizzanti. Cosa ne pensi?
Penso che hai fatto centro. Come puoi ben immaginare, è difficile che cinque persone abbiano gli stessi gusti musicali. E così è per noi. Qualcuno è appassionato di country, qualcuno predilige il punk e qualcuno addirittura l'heavy metal (penso che l'ultimo concerto a cui sia stato Totò (Stefano Tosi) sia stato quello degli Slipknot o dei Ramstein, non ricordo bene, 'not my cup of tea'. Però ci sono tre o quattro gruppi/artisti per cui tutti e cinque nutriamo una passione sfrenata: Creedence Clearwater Revival, Uncle Tupelo, Los Lobos e Johnny Cash. Quando qualche anno fa John Fogerty venne all'Alcatraz eravamo tutti e cinque sotto il palco. Fu una messa celebrata dal reverendo Fogerty. Noi i suoi adepti. Non ti nascondo che ogni volta che predo in mano la chitarra per vedere se c'è un pezzo nuovo pronto ad uscire, l'idea è quella della "3 minutes song" dei Creedence. Semplice ma non banale e che faccia cantare e ballare tutti quelli che l'ascoltano".

E’ ormai un obbligo chiedere ad una band con il proprio repertorio originale, che difficoltà incontra nel trovare date e locali per suonare in Italia senza essere una cover band. Voi come siete messi? Il brano Just Another Band sembra collegarsi anche a questo.
Noi abbiamo iniziato come cover band. Solo pezzi che piacevano a noi però. Abbiamo poi iniziato a inserire qualche pezzo nostro e adesso abbiamo una scaletta con il 75% di brani originali e il 25% di cover (sempre riarrangiate e ripensate "a modo nostro" comunque). Siamo stati fortunati perché sul nostro cammino abbiamo incontrato due persone senza le quali non saremmo riusciti ad arrivare fino qui. Una è Max, il proprietario del Nidaba Theatre di Milano, a cui abbiamo inviato il nostro primo cd, senza conoscerlo di persona e senza nessuna "raccomandazione". Lui se l'è ascoltato e ci ha chiamato a suonare nel suo locale. Le serate al Nidaba, davanti a un pubblico che viene per ascoltare quel tipo di musica, diciamo un pubblico competente, sono state una delle migliori palestre per il gruppo e per il suono. L'altra è Claudio Giuliani del Buscadero che crede in noi più di quanto ci crediamo noi stessi. E ci ha dato la possibilità di aprire per qualche artista americano che si esibiva dalle nostre parti, più di una volta. In questo momento trovare date è molto difficile. I locali cercano la via più semplice per fare incasso (le tribute band per esempio) e di gestori appassionati ce ne sono sempre meno. Tieni conto poi che paradossalmente in un momento in cui la comunicazione dovrebbe essere semplice, visti i mezzi a nostra disposizione (mail, facebook, ecc.), tutto diventa più difficile. Passi i giorni a mandare mail o cd che nessuno leggerà, né ascolterà.

Due parole sull’originale e intrigante progetto grafico...
"La grafica del cd è opera di Dario Arcidiacono, un mio ex collega di lavoro, (http://www.darioarcidiacono.org/) che su FB usa lo pseudonimo di Nom Couture e che già aveva disegnato il logo della band per il disco precedente. Ha questo stile "splatter" apocalittico con cui illustra temi di attualità internazionale. E ha anche ottimi riscontri. A maggio inaugura a Milano una sua esposizione. Il suo stile descrive efficacemente il modo ironico e scanzonato con cui scriviamo e ci presentiamo"


Tra le canzoni più particolari, mi ha colpito 1000 Miles Amelia. Come è nata?
"L'Amelia, chiamata anche la Millemiglia o la Bersagliera, era una signora che dagli anni '50 occupava ogni giorno una postazione fissa, qualsiasi tempo facesse, lungo una strada che collegava Castellanza (il paese da cui veniamo) a Busto Arsizio e "donava a tutti la stessa rosa". Dai nostri nonni a noi, tre generazioni l'hanno vista sempre là, sotto il sole o sotto la pioggia. Ci ha lasciato circa cinque anni fa. I giornali locali ne hanno tutti parlato. Non mi sorprenderebbe sapere che ai funerali ci fosse anche il sindaco. Un'istituzione delle nostre parti. La canzone è ispirata a lei".

Tra gli ospiti in My Last Ride (una delle mie preferite) c'è Davide Buffoli. Come vi siete conosciuti?
Davide Buffoli è ormai un amico di lunga data. Quando ancora i Little Angel non esistevano lo vedevo aprire i concerti di artisti americani organizzati da Carlo Carlini nella nostra zona. Non aveva ancora vent'anni, ma aveva già quel suono e quel tocco sullo strumento che fanno di lui, secondo me, uno dei più bravi chitarristi italiani. Grazie a Claudio Giuliani, i Little Angel e la Davide Buffoli Band hanno condiviso spesso lo stesso palco. È risultato naturale, nel momento in cui ci siamo ritrovati a volere un suono di chitarra diverso dalle nostre in una canzone (My Last Ride) del disco, rivolgerci a lui. E lui ha preso in mano la canzone, l'ha riarrangiata e gli ha dato quella veste che si può sentire sul disco. È stato poi un preziosissimo aiuto in fase di missaggio dove ha affiancato Atos Travaglini, il tecnico del suono dei Nomadi.

La classica domanda finale: progetti futuri a corto e lungo termine?
La domanda più difficile. In fin dei conti siamo dei dopolavoristi. Siamo già sorpresi di essere arrivati a incidere due dischi. Mai avremmo pensato di poter continuare a suonare insieme per quattordici anni. Prendiamo quello che viene. Qualche data nell'immediato futuro per promuovere il disco e poi sotto a scrivere i pezzi per il terzo cd.



vedi anche RECENSIONE: THOMAS GUIDUCCI & THE B-FOLK GUYS-The Heart And The Black Spider (2012)

vedi anche RECENSIONE & INTERVISTA: ALESSANDRO BATTISTINI-Cosmic Sessions (2014)



 

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