martedì 20 novembre 2012

RECENSIONE: ARCANE OF SOULS (Vivo e Vegeto)

ARCANE OF SOULS  Vivo E Vegeto ( autoproduzione, 2012)

Non so quante volte questa recensione sarà letta dopo il 12 Dicembre 2012. Come non so se riuscirete a trovare il tempo per ascoltare e assimilare l'esordio solista di Alfonso Surace, già chitarra e voce dei bergamaschi tORQUEMADA e collaboratore dei Sakee Sed, che per l'occasione si nasconde dietro all'anagramma del suo nome, diventando Arcane Of Souls. Surace sceglie-cabalisticamente- l'allinearsi delle tre dozzine per far uscire la sua opera prima a soli 9 giorni dalla data più attesa da tutta l'umanità. Correndo il piacevole e serio rischio di diventare l'ultimo disco della vecchia era ma anche, chissà, il più piacevole "primo disco" da ascoltare nella nuova. Il titolo "Vivo e Vegeto" che campeggia sopra al canpo santo in copertina sembra augurarselo, promettendo una speciale ricetta per vivere al meglio.
Cosa che auguro a tutti noi, visto che il disco merita l'ascolto, se non altro perchè si presenta subito in modo intrigante già dalla copertina, svelando le caratteristiche quasi agresti, arcane, dissacratorie e scanzonate che pervadono le canzoni.
Dietro alla foto di copertina, scattata nel misterioso cimitero del villaggio operaio di Crespi d'Adda (da visitare), creata in collaborazione con Monelle Chiti, che omaggia All Things Must Pass, vecchio e ambizioso triplo album di George Harrison del 1970, si nascondono infatti 12 canzoni che rimbalzano intorno al pianeta musica in modo folle, a volte sconclusionato, irriverente, dissacrante ma anche romantico ed estremamente semplice.
 Forte di una produzione volutamente da "buona alla prima", e ricordando la pazzia compositiva di un Captain Beefheart  capitato in gita in Italia e inebriato da nettare rosso, dove sbilenchi blues chitarristici come Pontiac ( "Eccomi qua, vivo e vegeto a metà/E non mi chiedere il perché/Son poco in forma per l’età") Un Treno Blu, quasi una filastrocca con i piccoli figlioletti ai cori, convivono con il funk robotico e psichedelico di Bronson con il sassofono di Mauro Mazzola a creare ordinato scompiglio.
 Dove bucolici  pic-nic in verdi prati con ridenti cimiteri all'orizzonte, sono allietati dall'andatura country/folk del western-padano Domenica, dimentica e dal violino campestre di Francesca Arancio in Col Sole In Faccia.
Un disco dove la passione e gli amori sono cantati con la leggerezza naïf da sogno flower-power in Chorus ChorusPerò fuggire in due è più bello/Lo vedi che non stiamo tremando/Saremo una passione che risplenderà nel sole/Posso regalarti un buffo ritornello in la!), libertà sessantottina nei sonnolenti valzer alla Neil Young di E Faremo L'Amore e Io e Lei, e attraverso la soffice psichedelia amorosa orchestrata in Io e Te sulla scia degli ultimi Verdena di Razzi Arpia Inferno e Fiamme. Ma anche l'amore gridato non manca: in Holtz.
Un disco che vuole sfuggire alle facili catalogazioni e riportare a galla-e al potere-la fantasia e l'ispirazione, fregandosene di conformità ed eleganza di forma. Un po'come riportare in campo un fantasista indisciplinato, quelli di un tempo, e inserirlo nella rosa delle ordinate squadre di calcio odierne. Un ritorno alle cose belle dei sixties/seventies. Difficile chiedere di più ad un disco nato per questo piacevole e "onorabile"scopo (raggiunto).


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