lunedì 20 agosto 2012

RECENSIONE: LYNYRD SKYNYRD ( Last Of A Dyin' Breed )

LYNYRD SKYNYRD  Last Of A Dyin' Breed  (Roadrunner records, 2012)

Questa volta ci siamo-o quasi. Anticipazioni e copertina sembravano regalare un ritorno agli antichi sapori sudisti, se non uguali alla ineguagliabile discografia degli anni settanta, almeno sulla scia di The Last Rebel (1993)-continuità anche nel titolo-, disco che per il sottoscritto rimane il picco della seconda parte di carriera della band di Jacksonville, un disco dove epicità, tradizione e soul (l'introduzione dei fiati fu scelta azzeccata) si sposavano in maniera ottimale se confrontata con il puro esercizio hard/southern rock di dischi poco ispirati come Twenty (1997), Edge Of Forever (1999), lo scialbo e prolisso Vicious Circle (2003)o l'ultimo God & Guns (2009), muscoloso e moderno ma  poco in linea con la storia passata della band e che inaugurava il nuovo corso con l'etichetta metal Roadrunner. Anche qui qualche episodio ruffiano e modernista non manca (Homegrown), ancora sotto la produzione di Bob Marlette, ma il clima generale che si respira mi porta a The Last Rebel, e a farmelo pensare non sono solo gli arrangiamenti orchestrali della semi-ballad pianistica Ready to Fly o i fiati e i cori dell'ottimo R and B di Do It Up Righ, presente come bonus track nella special edition, e tra le tracce migliori del disco.
La vera novità della formazione è l'inserimento di Johhny Colt al basso (anche se su disco tutte le parti di basso sono state suonate da Mike Brignadello), primo bassista dei Black Crowes che ha dichiaratamente ammesso di non averci pensato due volte quando il telefono è squillato per la chiamata di assunzione. 
Honey Hole, messa quasi a chiusura di disco può essere un ottimo mezzo pubblicitario per la futura carriera della band che vede sempre e solo il chitarrista Gary Rossington come uomo immagine di quello che è rimasto della band dopo l'incidente aereo. Una canzone che racchiude tutte le caratteristiche che hanno fatto del nome Lynyrd Skynyrd un marchio che, ancora oggi, sopravvive e attira migliaia di rockers, come avvenuto questa estate in quel di Vigevano. Indifferentemente dal pesante passato che si porta orgogliosamente dietro e che cerca di onorare nel migliore dei modi.
La slide che apre Last Of A Dyin' Breed conduce verso un trascinante boogie/rock'n'roll che si pensava perso nei tempi, invece: autostrade, piede sull'acceleratore, caldo infernale (Lucifero arriva anche qui) e vento sulla faccia si rimaterializzano come una vecchia pellicola in bianco e nero mai passata di moda, dove in veloce frequenza passa tutta la storia della band. Le chitarre di Rickey Medlocke, Rossington e Mark Matejka con l'aggiunta dell'ospite John 5, macinano riff e assoli in One Day At A Time, nel blues melmoso, moderno e descrittivo di  Mississippi Blood, nella epicità hard della funkeggiante Good Teacher, nell'incedere dell'hammond in  Nothing Comes Easy, e la particolarità di Life's Twisted scritta appositamente dai piccoli emuli Black Stone Cherry, promettente e giovane band del Kentucky che vede il realizzarsi di un piccolo sogno. 
Con fratellino Johnny Van Zant che ancora una volta ci mette tutto quello che ha per ricodare la memoria di Ronnie. Dalla roca impetuosità rock passando anche dal pigro incedere di One Day At A Time, la sognante ballad Something To Live For fino alla finale Start Livin' Life Again per sola voce e dobro guitar (suonata dall'ospite Jerry Douglas).
Vivamente consigliata l'edizione con le quattro bonus tracks: oltre alla già citata Do It Up Right, le pregievoli  Sad Song, i vivaci southern di Poor Man's Dream e Low Down Dirty. Difficile capire  il perchè siano finite fuori dalla tracklist ufficiale del disco, visto che risultano tra le  cose migliori.
Lasciamoda parte, per una volta, gli inutili e cattivi paragoni con la formazione dei seventeen e le critiche che spesso sminuiscono la band odierna, riducendola a mera cover band dei bei tempi andati, e godiamoci un disco dove Rossington e soci cercano di recuperare l'anima, spesso melodica, di una band dalle antiche e profonde radici e cucirla sopra ad un presente dove il nome Lynyrd Skynyrd genera ancora (perlomeno) rispetto reverenziale. 

 

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