mercoledì 14 dicembre 2011

RECENSIONE: SAVIOURS (Death's Procession)

SAVIOURS Death's Procession (Kemado Records, 2011)

Cadere nell'errore di liquidare i Saviours come delle semplici copie dei Motorhead, non renderebbe giustizia alla band di Oakland(California) che con questo quarto album cerca di scardinare il mercato con un lavoro vario e ben suonato, dove le influenze di Lemmy si sentono in alcuni episodi più tirati posti al centro dell'album, ma lasciano intravedere una qualità ed un modo di costruire le canzoni di tutto rispetto, dove la grezza attitudine è ancora un valore che supera qualsiasi abbellimento estetico di suono.
Quello che i Saviours cercano di costruire è un ponte tra il sulfureo hard doom rock settantiano con influenze di chiara matrice Black Sabbath e l'Heavy Metal della NWOBHM dei primi anni ottanta, seguendo ed attualizzando la lezione che i mai troppo lodati Angel Witch impartirono con il superbo album omonimo del 1980 e ricordando le tracce dei più attuali High on Fire e soprattutto The Sword, quelli del secondo album "Gods of the Earth" in particolare.
Tutto il disco, concettualmente ruota intorno all'apatia dell'essere umano di fronte al disfacimento globale della terra, in tutte le sue forme. All'uomo spettatore passivo di fronte alla sua imminente fine. E' "un mondo malato" verrebbe voglia di dire.
The Eye Obscene con i suoi sette minuti apre le danze con lento e cadenzato incedere come Earthen Dagger e la finale Walk to the Light in bilico tra doom, sludge e derive stoner, mentre nella strumentale Earth Possession & Death's Procession a mettersi in mostra sono i due chitarristi Austin Barber e Sonny Reinhardt che seguendo le chitarre gemelle maideniane impazzano lungo tutti i minuti della canzone.
L'anima più rock'n'roll e diretta della band viene in superficie in Crete'n e Gods End, tirate cavalcate che i Motorhead includerebbero volentieri nella loro discografia. La voce di Barber è sporca e cruda, senza eccellere in nessuna qualità ma colpendo più per intensità ed attitudine.

To the Grave Possessed e Fire or Old sono due grezze canzoni di old school Heavy Metal, la prima nasconde l'unica concessione alla melodia del disco nel chorus, mentre la seconda paga tributo agli Iron Maiden dei primi due album con Paul Di Anno e ai Thin Lizzy più metal, grazie soprattutto al lavoro incessante delle chitarre.
Un disco che alla fine piace, nella sua continua varietà di umori e stili. Sudore, attitudine da vendere ed un muro di Marshall pronto ad esplodere.

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