MASTODON The Hunter (Roadrunner Records, 2011)
Sarà, The Hunter, quel passo di troppo che condusse il "Black Album" e "Songs for the Deaf" e i loro rispettivi autori verso il grande pubblico mainstream, slegato da quello affezionato e devoto di settore? Difficile rispondere a caldo, a ridosso dell'uscita del quinto lavoro della band di Atlanta. Per ora, diamoci qualche anno per valutare feedback e passi futuri. Ma finito l'ascolto, una mosca s'infila nell'orecchio e un piccolo pensiero lo si fa, soprattutto avendo, ancora, le orecchie foderate con i suoni dei precedenti dischi. Senza che questo sia un male ma piuttosto sperando sia la tappa di una carriera fino a qui ineccepibile e la voglia del gruppo di confrontarsi con qualcosa di diverso. Dopo tutto quei due album citati sono entrati di diritto tra gli imprenscindibili del rock, quindi quale augurio migliore? Qualcuno non sarà d'accordo.
I Mastodon decidono di tagliare quasi tutti i ponti con il loro pesante passato con un solo colpo d'ascia, pur mantenendo le caratteristiche che ne hanno fatto una tra le più interessanti ed originali band di musica pesante dell'ultimo decennio( Leviathan-2004 e Blood Mountain-2006 entrano di diritto tra i migliori dischi degli anni zero). Le grandi capacità tecniche e compositive dei singoli elementi rimangono inalterate ma vanno ad esplorare altri terreni più accomodanti all'ascoltatore distratto.
Per la prima volta l'album non è un concept ma una raccolta di 13 canzoni, snelle ed univoche nella loro struttura. Non più lunghe e complicate suite ma canzoni più vicine alla canonicità come struttura e questo va a favore di una maggior fluidità e groove, incorrendo però nell'arma a doppio taglio che i fans della prima ora potrebbero mal digerire.
Dopo aver esplorato terrirori quasi progressive negli ultimi due strepitosi dischi Blood Mountain e Crack the skye, pieni di canzoni stratificate e articolate con i loro toni profondi, psichedelici e spaziali, traspare la voglia di dare alla melodia uno spiraglio maggiore. Le canzoni diventano dirette e spontenee, con poco post lavoro dietro , nonostante la superba produzione di Mike Elizondo. Anche la scelta del produttore, proveniente dal mondo hip hop è una sfida che a posteriori si può dire coraggiosa ed in parte vinta.
Le vocals sono quasi sempre pulite(...e purtroppo non sempre ricoprono il ruolo con efficacia), riprendendo l'ultimo Crack The Skye(2009) e poche volte si lasciano andare allo "sporco growl", la batteria di Brann Dailor rimane tra le cose migliori sentite negli ultimi anni e i riff di chitarra della coppia Brent Hinds e Bill Kelliher continuano a sfornare riff pesanti ma intelligenti.
L'iniziale Black Tongue mantiene quei riff pesanti e sinistri dei primissimi dischi e Spectrelight, viaggio nell'aldilà, con Scott Kelly dei Neurosis ospite, è la traccia più aggressiva e thrash oriented del lavoro, tra le cose migliori sicuramente.
La sensazione che prevale è quella di un disco che cerca di portare a galla le innumerevoli caratteristiche dei precedenti dischi(dall'hardcore, sludge, doom, progressive, psichedelia e thrash), imbastardendole con la melodia, più di quanto fatto fino ad ora. Ma là dove c'erano canzoni che al loro interno inglobavano tutte queste caratteristiche, ora abbiamo canzoni singole per ogni caratteristica. Blasteroid è veloce, vuole essere cattiva negli screams ma rimane imbrigliata nella melodia complessiva mentre Curl Of the Burl è sicuramente l'episodio più melodico concepito fino a qui dai Mastodon. Un massiccio hard stoner rock che strizza l'occhio al southern declamando la pazzia e ricordando non poco la lezione impartita dai Corrosion of Conformity di "Deliverance".
Il matrimonio sembra riuscire meglio in tracce come Stargasm, nei momenti progressive di All the Heavy lifting con la sua alienante fuga, in Dry Bone Valley , si cade nelle valli della pazzia umana con le linee vocali che ricordano tanto i compianti Alice in Chains di Staley e nei tempi di Octopus Has No Friends con il solito grande lavoro di Dailor dietro le pelli.
Bedazzled Fingernails è un allucinato viaggio sonoro che piace certamente più di Creature lives, un riempitivo melenso, quasi pinkfloyadiano e assai inutile.
The Hunter, dedicata al fratello di Brent Hinds, scomparso dopo un malore durante una battuta di caccia e la finale The Sparrow sono due lisergiche ballads acustiche con quest'ultima, quasi interamente strumentale di una spanna sopra e impreziosita da un bell'assolo di chitarra.
Il consiglio migliore per godersi il disco è quello di non armarsi fino ai denti e andare a caccia dei fantasmi passati ma godersi l'album per quello che è, aspettando le prossime battute di caccia per inquadrarlo dentro alla discografia del gruppo. Solo allora scopriremo se questo "The Hunter" è una meritata pausa o un nuovo inizio. Nonostante tutte queste parole, una delle migliori uscite dell'anno.
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