giovedì 7 luglio 2011

RECENSIONE: DAVE ALVIN ( Eleven Eleven)

DAVE ALVIN Eleven Eleven (yepROC records, 2011)


Non cercate significati astrologici e numerologici nel titolo del nuovo lavoro di Dave Alvin,è lui stesso a mettere le mani avanti e spiegare semplicemente quanto il numero undici rappresenti solo il suo undicesimo album, si componga di altrettante canzoni ed esca nell'undicesimo anno del nuovo secolo.
Un Alvin in grande forma che dopo aver coronato il sogno di suonare con la band dei suoi sogni, sue testuali parole, le Guilty women, all-star band tutta al femminile, si presenta con un disco dal carattere blues ed elettrico scritto "on the road" durante i vari spostamenti fatti in tour. Autostrade, ferrovie e stanze di hotel come ispirazione e già il quadro si colora di America e tante storie da raccontare prendendo spunto dall'America di oggi e del recente passato popolate con personaggi "perdenti" come protagonisti.
Conoscete la storia di Johnny Ace? E' il prototipo delle favole di rock maledetto con finale tragico. Giovanissimo bluesman che nel momento di maggior successo commerciale, la vigilia di Natale del 1954, giocando alla roulette russa con i componenti della sua band, si giocò la vita a soli venticinque anni. Alvin ne costruisce un torrido e veloce blues chitarristico, Johnny Ace is Dead.
Viaggi che portano alla conoscenza di personaggi, le cui storie non basterebbero a costruirci un intero libro, Run Conejo Run, è uno stomp blues che parla di uno di questi loser, combattente di natura e con la vita sempre appesa ad un sottile filo. Come i "losers" ma fortunati e vincenti della conclusiva Two Lucky Bums, cantata in duetto con Chris Gaffney, amico cantautore scomparso nel 2008 a cui la canzone è dedicata.
Altri due importanti ospiti che duettano con Dave sono il fratello Phil Alvin in What's up with your brother?, ricomponendo per un attimo la speciale favola sonora che furono i Blasters nei primi anni ottanta in un canonico blues di strada ironico e di poche pretese e con la cantautrice Christy McWilson nell'acustica e country, ballata romantica Manzanita.

Ma il carattere grigio che esce da canzoni come Black Rose of Texas e Gary, Indiana 1959, sono l'aspetto migliore di un disco che fa a botte con il bel sogno americano. La prima guidata da una slide ci porta in giro nella desolazione di posti dimenticati, dove c'è ancora qualcuno che scappa dalla povertà e dalla tristezza mentre il testo di Gary, Indiana 1959 non avrebbe sfigurato all'interno di Darkness on the edge of town( B. Springsteen), facendo a cazzotti con l'happy honk tonk jazz della musica, raccontandoci di un vecchio operaio meccanico e della sua triste vita di stenti.
Dave Alvin ci racconta uno spaccato di America che da Guthrie in poi ha visto la working class protagonista nel ritagliarsi un un posto sempre più grande della vita di un paese estremamente giovane che non ha mantenuto quei sogni di gloria che promettteva o meglio sembra che solo pochi eletti riescano a vivere quel sogno ad occhi aperti.

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