martedì 26 aprile 2011

RECENSIONE: PENTAGRAM ( Last Rites)

PENTAGRAM Last Rites (Metal Blade ,2011)

Gli angeli ribelli sono duri da scacciare quando sono stati fedeli alleati di vita e di una carriera vissuta correndo( a passo molto lento) sul filo dello strapiombo . Ma c'è un tempo per tutto e Bobby Liebling era arrivato al punto in cui quei compagni iniziavano a diventare ingombranti seppur sempre in linea con la sua band e la sua vita artistica in generale. Può considerarsi un sopravvissuto del rock che a sessant'anni si è rimesso a camminare a centro strada, costruendosi una famiglia e guardando al cielo con una motivata speranza( anche questa conversione è successa) senza perdere il carisma e il carattere istrionico della sua figura, certamente un personaggio a tutto tondo.
I Pentagram sono in giro da quarant'anni, pochi quelli che se ne sono accorti, molti quelli che riconoscono in loro l'importanza e l'influenza esercitata verso un modo di suonare rock. Liebling si è ripulito, ha messo da parte, chissà se per sempre, alcol e droghe e dopo sette anni dall'ultima uscita dei Pentagram, si ripresenta in compagnia del chitarrista storico della band , Victor Griffin.
La storia dei Pentagram si è sempre appoggiata agli anni settanta, anni in cui i nostri non sfornarono nessuno disco ma riempirono il pentagramma musicale di innumerevoli canzoni che ancora oggi sono un profondo pozzo da cui attingere per costruire nuovi album. Non fa difetto Last Rites in bilico tra passato e presente. Veri e propri traghettatori del doom Sabbathiano dagli anni settanta agli anni ottanta , hanno contribuito in maniera sostanziale a far nascere generi come l'Heavy Doom e certo Sludge/Stoner generando centinaia di discepoli. La sapiente e intrigante mescolanza tra la pesantezza dei riff e l'acido blues in stile Blue Cheer è stata assorbita e metabolizzata da schiere di bands che in fila all'anagrafe chiedono la paternità a Liebling e soci.
In Last Rites la chitarra di Griffin è protagonista assoluta tra passeggiate nei più oscuri e sulfurei abissi fino a più rassicuranti melodie(in American dream regna sovrano), i suoi riff e i suoi assoli (che hanno fatto scuola, tanto da essere l'unico vero erede di Tony Iommi) popolano le canzoni, mai così varie e ben costruite. Un disco che gioca sulla varietà degli umori e la voce di Liebling "camaleontica" a dominare sia quando deve essere melodica ed evocativa come nella spiazzante e riuscita ballad Windmills and Chimes, che apre sconfinati spazi tra brezze di vento e campane, sia quando deve seguire la veloce, moderna e quasi stoner opener Treat me right, sfoderando cattiveria e grinta.

Rallentamenti e riff vecchia scuola in Death in 1st person, Walk in blue light, Into the ground , fumosi doom che riconciliano con il passato e consolidano il presente. Menzione per Call the man, ipnotica, cadenzata ed epica marcia con uno strepitoso Griffin che sfodera tutti i suoi effetti da metà canzone in poi e per la psichedelica e trasognante Everything's turning to night.
Dopo un disco così, che potrebbe riaprire porte e consegnare nuovi adepti alla band, si spera che la stabilità si impossessi, finalmente, del futuro consegnando ai virginiani Pentagram l'importanza che meritano al fianco dei grandi nomi del panorama Hard/Heavy mondiale. Perchè se l'Europa ha avuto i Black Sabbath, l'America ha risposto con i Pentagram.

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