mercoledì 29 gennaio 2025

RECENSIONE: ANGELA BARALDI (3021)

 

ANGELA BARALDI  3021 (Caravan/Sony, 2025)






la donna del futuro

Forse è arrivato il momento. Angela Baraldi con questo album così intimo, avvolgente e dai tratti malinconici, proiettato al futuro ma dannatamente con i piedi sulla terra, con sprazzi di pazzia in mezzo, si gioca una carta importante, anche se credo a lei importi assai poco: 3021 è un disco così poco mainstream che per strane dinamiche, ne sono certo, riuscirà ugualmente a fare breccia anche su chi conosce ancora poco la cantautrice bolognese, il cui debutto risale al 1990 con l'album Viva. 

Io mi innamorai di lei dopo aver visto il video della super funky  'Mi Vuoi Bene O No?' uscito nel 1993. Un video semplice ma dirompente nella sua sensualità con il suo viso sempre in primo piano. A volte basta poco.

Le otto tracce, brevi ed essenziali di 3021 hanno un grosso potere: contengono una micidiale ipnoticità in grado di conquistare, una forza intrinseca in grado di far tendere le orecchie verso le casse per carpirne le parole.

Arrangiamenti minimali per scelta, strumentazione rock essenziale, testi nati dopo la parentesi pandemica (le canzoni sono scritte in parte con il suo chitarrista Federico Fantuz), l'esperienza come attrice, le antiche amicizie (Lucio Dalla su tutti, Francesco De Gregori che pare l'abbia spronata per far uscire il disco, pure per la sua etichetta Caravan), le parentesi musicali che l'hanno coinvolta durante la sua carriera, su tutte quelle con gli ex CSI Massimo Zamboni, Gianni Maroccolo e Giorgio Canali, convergono in queste otto canzoni, che sanno di antico, di vecchi dischi dove il superfluo  era assente. C'erano solo le canzoni: quattro per lato e via, meno di venticinque minuti che ti rimanevano tutti in testa e si ricominciava da capo perché le canzoni erano belle e tutte da scoprire ascolto dopo ascolto. Era il passato ma qui anche il presente e un po' il futuro.

Il disco parte da lontano, immaginando quel che resterà di noi tra mille anni: "ho scelto come titolo il 3021 come un salto temporale difficile da immaginare, molti mi dicono che non ci saremo più, ma io penso che ci sarà ancora la razza umana e che continuerà ancora a innamorarsi" spiega. Ed è difficile non immarorasi di questa traccia, di quella slide cosmica e del suo testo quasi cinematografico che mette da parte ricordi. Uno per uno, condivisibili per tutti o quasi.

"Parlo di te senza fare il tuo nome" canta in 'Cosmonauti', traccia dall'incedere rock che cita Lucio Dalla fino a quel "a modo mio" finale che non lascia più dubbi. Grande spazio alle ballate come 

'Bellezza Dov'è', che avanza sorniona alla Neil Young con De Gregori a fare ombra, l'umanità, le vicinanze e le distanze in 'La Vestizione' e 'Cuore Elettrico', ma non mancano antichi graffi rock come 'La Preghiera Della Sera', una tesa e vibrante 'Corvi' che combatte l'esclusione e l'inadeguatezza ("solo di spalle puoi tagliarti la pelle"), una finale

'Saturno' che si impossessa del demone glam, orbitante tra l'infinito spazio e un sax a disegnare traiettorie sbilenche tra le stelle. Siamo dalle parti di Bowie e la foto di copertina lo ricorda pure.

Un disco che la conferma come una mosca bianca all'interno del cantautorato rock femminile made in Italy. Le canzoni di 3021 rispecchiano la sua grande personalità che però non ha mai avuto bisogno di scendere a patti con nulla e nessuno per venire a galla. Nel video che accompagna il singolo '3021' c'è il suo volto in primo piano come in quel video del 1993, questa volta rotea come un pianeta. Un cerchio che si chiude? Assolutamente no. Quanto manca al 3021?





domenica 26 gennaio 2025

RECENSIONE: ENRICO RUGGERI (La Caverna Di Platone)

ENRICO RUGGERI - La Caverna Di Platone (Sony Music, 2024)




la caverna del musicista

Enrico Ruggeri con questo album ci fa capire quanto la vecchia guardia cantautorale italiana quando ci si mette sappia fare ancora la voce grossa nel panorama un po' asfittico della musica italiana odierna . Il problema sembra che predichi un po' nel deserto: Fossati si è chiamato fuori,  De Gregori celebra solo più il passato in tour... Quasi facile uscirne vincitore con almeno un poker, forse più, di canzoni di altissimo livello: 'Gli Eroi Del Cinema Muto',  'Il Poeta', 'Zona Di Guerra', 'La Bambina di Gorla', 'Il Problema', 'La Caverna di Platone', 'Le Notti Di Pioggia'. Un disco a suo modo politico (l'attacco a un Europa che doveva essere ma non è in 'Das Istmir Wurst' sembra chiaro), che se ne fotte un po' di tutto, viaggiando libero tra realtà, passato, poesia e l'oggi, cose che hanno sempre contraddistinto il suo cammino artistico. Prendendo pure posizioni scomode, a volte criticate ma seguendo sempre il libero pensiero, quello che canta nel 'Il Poeta': "il libero pensiero ha un prezzo da pagare". 

C'è molto bisogno di qualcuno che sappia mettere in fila le parole, dosandole, senza shakerarle a cazzo. Un disco suonato (c'è l'antico chansonnier, il rock, l'elettronica, il pop) e chi ha visto ultimamente dal vivo Enrico Ruggeri sa quanto sia ancora importante per lui l'impatto live degli strumenti. Nelle note di copertina, tra l'altro bella come tutto il packaging (contano anche queste cose oggi in epoca di streaming selvaggio), ci tiene a precisare, con un filo di ironia, che non è stato utilizzato l'autotune (e recentemente non le ha mandate a dire a chi di dovere). Far suonare una band è basilare.

È un po' il personaggio del momento Ruggeri: in TV sta portando cose di peso nella sua trasmissione Gli Occhi Del Musicista, è rispettato dai musicisti ospiti, lui rispetta la buona musica spesso invisibile in palinsesti sbilanciati  sui talent e ora questo album che a pochi giorni dalla beffarda scomparsa di Paolo Benvegnù sembra oro che luccica per chi cerca ancora emozioni da quell'antico mestiere di saper metter giù storie musicandole. E 'La Bambina di Gorla' dedicata ai 184 bambini uccisi nella strage della scuola elementare di Milano nel 1944 valga per tutte. Un bel disco che serve da matti a quest'epoca tarata, un po' in tutti i campi,  verso il basso.





domenica 19 gennaio 2025

SKIANTOS live@Hiroshima Mon Amour, Torino, 17 Gennaio 2025


L'ultima volta che vidi gli Skiantos sul palco c'era ancora Freak Antoni. Tanti, tanti anni fa. Oggi è venerdì 17 e la cattiva sorte vuole che anche il buon Dandy Bestia sia rimasto a casa in non buona  salute. Insomma: questa sera non è rimasto nessuno degli originali sopra al palco. Nulla che possa però fermare l'irriverente e dissacrante concentrato punk rock'n'roll della storica band bolognese che non curante della pesante defezione rulla una dopo l'altra quasi cinquant'anni di canzoni, in un riuscito gioco di interscambio dove tutti cantano tutto. In campo c'è pur sempre la line up degli ultimi dischi incisi: Roberto Granito Morsiani il più presente a centro palco ma anche disposto a fare un passo indietro e tornare alla batteria per lasciare campo all'istrionico Gianluca Schiavon, batterista aizza folle , Luca Tornado Testoni macina riff su riff e assoli di chitarra in continuazione e canta di suo, Max Magnus domina il suo basso con eleganza e con flemma canta e fa da buon presentatore quasi "pippobaudesco". Delle canzoni cosa vuoi dire? Poesie di strada entrate nel collettivo italico che non sembrano passare mai di moda. A metà serata sale sul palco anche il poeta torinese Guido Catalano per un personale reading bersagliato il giusto da insulti e palline di carta. Tutto molto gradito. Siamo stati un discreto pubblico di merda, abbiamo fatto kagare il giusto, soprattutto i tantissimi e meravigliosi giovanissimi (" piuttosto che vadano in giro a fare i delinquenti" come dice mia madre) che hanno tenuto alto, stasera e vista l'età per molti anni a venire lo faranno, il vessillo di una delle più importanti, storiche e influenti rock band italiane di sempre che, non spiace dirlo, sopravviverà a se stessa perché canzoni come 'Io Sono Uno Skianto', 'Ti Rullo Di Cartoni', 'Kakkole', 'Sono Un Ribelle Mamma', 'Fagioli', 'Karabigniere Blues', 'Io Ti Amo Da Matti (Sesso e Karnazza)', 'Kinotto', 'Calpesta il Paralitico', 'Italiano Terrone Che Amo' (ma quando verrà ristampato l'album Signore Dei Dischi?), 'Eptadone' e 'Mi Piaccion Le Sbarbine' continuano a funzionare, divertire, far pogare e pure pensare a quanto Freak Antoni sapesse tradurre il suo presente e predirre un po' del nostro futuro.  

(Notare: non ho mai pronunciato l'aggettivo demenzial...ops)




venerdì 10 gennaio 2025

RECENSIONE: RINGO STARR (Look Up)

RINGO STARR  Look Up (Lost Highway, 2025)




e poi arriva Ringo Starr che inizia il 2025 nel migliore dei modi possibili. Che bel disco!

Guardando Ringo Starr è veramente difficile credere alla data di nascita riportata sulla sua carta d'identità: chi non vorrebbe arrivare a 84 anni in quella forma (ricordando sempre la tubercolosi che superò da bambino), vestito così e con quell'umore che lo ha sempre contraddistinto fin dalla prima volta che Pete Best gli lasciò le bacchette per diventare il batterista del più leggendario gruppo rock'n'roll di sempre. Oggi è uscito questo Look Up che rinnova il mai negato amore di Ringo per la country music, dai tempi di Rory Storm and the  Hurricanes, passando da  'Act Naturally' di Buck Owens a  'Don't Pass Me By' presente nel White Album, con il culmine toccato con il suo album del 1970, Beaucoups Of Blues, registrato a Nashville e proseguito a fasi alterne durante tutta la carriera ma mai così dichiarato come ora.

"Prima del rock ascoltavo country e blues, tanto che volevo emigrare in Texas per vivere vicino al mio preferito che era Lightnin’ Hopkins. Quello che i fan hanno vissuto per i Beatles, io l’ho provato per lui».

Look Up è  un disco piacevolissimo scritto quasi interamente con il produttore e amico di vecchia data T-Bone Burnett. Doveva essere un Ep, Burnett l'ha fatto diventare un signor disco e ci ha messo i suoi fidi musicisti: "stavo realizzando degli EP e quindi pensavo che avremmo fatto un EP country, ma quando mi ha portato nove canzoni sapevo che dovevamo fare un album! E sono così contento di averlo fatto" ha dichiarato Ringo.

Suonato e cantato insieme a tanti ospiti come Alison Krauss, nella chiusura quasi commovente 'Thankful', commiato agreste da "peace and love" tra un campo di pedal steel. Tanti i giovani come il chitarrista trentenne Billy Strings nei rockabilly 'Breathless' che apre il disco e 'Never Let Me Go' e nella più elettrica dagli accenti southern 'Rosetta' insieme alle Larkin Poe.  

C'è la cantautrice Molly Tuttle nel rock più moderno della title track, nella folkie 'I Live For Your Love', nel country alla Johnny Cash/June Carter di 'Can You Her Me Call' e in  'Strings Theory' ancora con le Larkin Poe ospiti, infine i Lucius nel country dall'aria pionieristica 'Come Back'. 

Ringo Starr si canta da solo, in modo magnifico, due numeri sopraffini come la stupenda 'Time On My Hands' adagiata su un tappeto di archi e pedal steel con la presenza di David Mansfield e 'You Want Some', scritta da Billy Swan, dove l'ascolto diventa difficile senza  immaginarla suonata insieme ai suoi vecchi compagni Paul, John e George. Country meets Beatles all'ennesima potenza.

Dimenticavo: Ringo suona la batteria su tutti i brani e contribuisce a lasciare sulle undici canzoni una ampia pennellata di ottimismo sopra a questi tempi moderni dai toni neri e cupi. Uno dei suoi dischi più belli di sempre che rompe anche l'abusato cliché che vuole i grandi del rock (perché lo è) a dare il meglio di loro stessi solo in giovane età. Ascoltate qui. L' ennesima rivincita di Ringo.




RECENSIONE: SHOTGUN SAWYER (Shotgun Sawyer)

 

SHOTGUN SAWYER  Shotgun Sawyer (Ripple Music, 2024)




blues & fuzz

Mi occupai di loro in occasione dell'uscita del secondo disco Bury The Hatchet mentre eravamo inconsapevolmente alle porte di due anni bui come la pece. La band di Auburn (California) ritorna a distanza di cinque anni con un album che si porta dietro l'esperienza del lockdown (molte canzoni qui contenute sono nate in quei giorni) ma sopratutto si trascina la diagnosi del disturbo ADHD che il cantante e chitarrista Dylan Jarman si è visto piombare addosso. Questo disco è un nuovo inizio come spiega lo stesso cantante: "potrebbe sembrare controintuitivo aspettare un terzo disco per pubblicare un album omonimo, ma non mi è venuto in mente un modo migliore per comunicare che questi sono i Shotgun Sawyer. Sicuramente, qualcosa di nuovo sta iniziando da qui " .

Un nuovo inizio che sembra però partire da molto lontano, da dove tutto è partito per quello che ancora oggi chiamiamo rock'n'roll.

Abbandonate anche se non del tutto le derive più hard e stoner dei precedenti dischi che fanno capolino spesso e volentieri (questa la vera arma in più), il sound della band californiana sembra abbracciare con più convinzione il blues delle radici, in ogni sua forma cercando la non facile strada di rileggerlo infangandolo tra tonnellate di fuzz e facendolo evadere su nuvole di psichedelica.

Se 'Cock N'Ball' è un blues dei padri con l'armonica ospite di Brian Souders, la luciferina 'Hopeless' è giocata a tutta slide, 'Going Down' è lo standard blues di Freddie King, 'The Sky Is Cryng'  il classico lento piangente che rende omaggio a Elmore James  e in 'Tired' a presentarsi è il nuovo batterista Cody Tarbell (dagli Slow Season) che ha preso il posto del vecchio batterista David Lee (completa il trio,il bassista Brett "The Butcher" Sanders), a colpire maggiormente sono le tracce dove cercano di metterci del loro. 

'Bye Bye Baby Boogie' è un blues da treno in corsa, micidiale e veloce, con un intermezzo fuzz che riporta alla mente gli inavvicinabili Clutch, 'Isildur's Bane' un blues malato e psichedelico dal passo quasi doom e sabbathiano, 'Master Nasty' asta l'asticella elettrica giocando i suoi minuti in una lunga jam stoner mentre la finale 'That's How It Goes' sporca ancor più di fango la lezione dei Creedence Clearwater Revival chiudendo un disco che pur uscito a inizio Dicembre del 2024 ha tutto il tempo per diventare il protagonista del nuovo anno per chi cerca   ancora quelle variazioni sul tema che gioventù e fresca energia riescono ancora a portare a un suono genitoriale così radicato e immortale.




lunedì 6 gennaio 2025

RECENSIONE: PAOLO BENVEGNÙ (Hermann)

uno scritto ritrovato di quattordici anni fa per un disco che ho amato fin dal primo ascolto


PAOLO BENVEGNÙ  Hermann ( La Pioggia Dischi, 2011)



Ci vuole del tempo, quello che si trova dopo una giornata di lavoro, la sera quando tutti i pensieri e le domande del giorno vengono accantonate. Quel tempo spesso prezioso da dedicare a se stessi, ad un libro o al disco di Paolo Benvegnù. Liberate la mente perchè il terzo disco dell'ex cantante dei Scisma ha tanto da offrire per riempirvela nuovamente. Un disco che conferma Benvegnù come uno dei migliori cantautori attualmente in Italia e uno dei pochi a poter ereditare la forma e la sostanza della cara categoria.

Ambizioso è l'aggettivo che forse più si addice a raccontare le tredici canzoni che compongono una sorta di concept basato sull'umanità e la sua evoluzione che come un boomerang sta trasformandosi in involuzione, tratto liberamente da un racconto di un certo e misterioso Fulgenzio Innocenzi,  che Benvegnù spiega così 

"Hermann dicono fosse un manoscritto di un ingegnere, Fulgenzio Innocenzi, uomo interessante morto su una baleniera. In questo manoscritto, dicono, si parla dell’uomo, inteso ovviamente come essere umano"

Gli spunti, gli agganci e i riferimenti storici e letterari a cui Benvegnù si affida sono molteplici e ad un primo ascolto anche intricati da cogliere. Si parte da molto lontano per arrivare al quotidiano con  tutto quello che vi è in mezzo. Dalla mitologia, passando per Sartre, arrivando alla frenesia del lavoro di oggi.

Uomo fatto di carne, sentimenti, ambizione, coraggio e valore, valoroso e traditore, capace di pugnalare alle spalle per l'innalzamento del proprio ego per poi affidarsi alla fede arrivando infine a negarla. Nessuno esce da questa categoria. Chi più, chi meno ci portiamo addosso la reputazione e il Dna che ci siamo costruiti nei secoli. Ecco che il tempo diventa prezioso alleato per cercare sosta ed un riparo dalla marcia di progresso , cui siamo costretti a partecipare quasi come automi senza controllo e a domandarci in quanto uomini, cosa vogliamo?

Il tempo come alleato e nemico per capire la nostra collocazione sulla terra ("non sai distinguere il tempo perso da quello vissuto") nell'iniziale 'Il Pianeta Perfetto' o come pretesto per tornare all'inizio dei secoli per raccontare l'origine dell'uomo ("ma poi finirono le terre ed inventammo Dio , lo trafiggemmo all'alba, l'ultima volta che provò a sorridere, così inventammo la notte...") in 'Love Is Talking'. I secoli che passano, i posti e la gente pure ma i problemi sempre presenti e l'uomo, al centro di tutto, come sempre si accorge che le distrazioni lo hanno allontanato dal proprio essere interiore.

Se la speranza era quella che il trascorrere dell'età riuscisse a trascinare con sè il benessere, bisogna invece fare i conti con l'esatto contrario. Il dito indice accusatorio sempre pronto ad inquadrare qualcuno da sacrificare e punire in 'Date Fuoco' ("il primo dice che è stato lui a ricoprire il mondo di automobili e il terzo dice che non si vedeva niente"), prendendo spunto dall'"eretico" Giordano Bruno e trasportando il tutto al presente.

La bramosia di conquista ed invicibilità di "Moses" ("...Infliggi le tue regole, distruggere per conquistare..."), l'amore , anche non a lieto fine, come evasione e rifugio da tutti i mali , 'Johnnie and Jane', così come il viaggio, per approdare ed affrontare qualcosa di nuovo in 'Il Mare è Bellissimo' ("...e un viaggio senza destinazione significa destinazione...") ed il tempo che torna inesorabile a scandire la vita ("...e intanto si è fatto tardi e tardi è legge e attendere un'attesa sempre attesa...").

L'uomo inerme davanti alla sua vita, al trascorrere degli eventi che ha visto e vissuto, la consapevolezza che poi,alla fine, l'eguaglianza tra di noi non è così lontana dall'essere trovata in "Io Ho Visto' , uno dei punti più alti del disco (" ...Ho visto il sole restare al buio e gli animali rimanere in branco fiutando il cielo più sicuro...ho visto inverni piegare gli alberi e setacciare al grembo con le mani cercando polvere e ho bestemmiato iddio perchè non si fa mai vedere e ho perso falangi nei combattimenti e nelle fabbriche...") insieme a 'Avanzate, Ascoltate' dove la sua poetica cantautorale si innalza alla massima potenza e ti inchioda all'ascolto ("Anima, avanzate voltate le spalle al puro mondo, l'errore rende liberi  soltanto se libera è la grazia, di camminare verso le saline e a piedi nudi non sentire il male e guardare l'orizzonte".

Un disco dall'anima rock, che si concede fughe orchestrali, suonato da una band, "i Paolo Benvegnù", appunto, alcuni tratti pop presenti nei ritornelli in inglese di 'Love is Talking' e 'Good Morning', 'Mr.Monroe', piccola messa in musica dei tempi moderni (con l'inizio che tanto mi ricorda 'Milano Circonvallazione Esterna' degli Afterhours) che cercano la continuità con il suo passato in un disco impervio che vuole essere diretto nella sua complicata complessità e spronante nel metterci di fronte al punto in cui l'essere umano, perso, è arrivato a piantare la sua bandierina di evoluzione, così poco colorata da esserne poco fieri.



lunedì 30 dicembre 2024

DISCHI e CONCERTI del mio 2024

 



il mio 2024 in 24 dischi

BLACK CROWES - Happiness Bastards

BLOOD INCANTATION - Absolute Elsewhere

JERRY CANTRELL - I Want Blood

CURSE OF THE SON - Delirium

THE CURE - Songs Of A Lost World

THE DECEMBERISTS - As It Ever Was, So It Will Be Again

GILLIAN WELCH & DAVID RAWLINGS - Woodland Studios

HIGH ON FIRE- Cometh The Storm

JUDAS PRIEST - Invincible Shield

RAY LAMONTAGNE - Long Way Home

THE OBSESSED - Gilded Sorrow

OPETH - The Last Will And Testament

ANDERS OSBORNE - Picasso's Villa

THE PEAWEES - One Ride

PRIMAL SCREAM - Come Ahead

THE RODS - Rattle The Cage

STARSAILOR - Where The Wild Things Grow

ANDREA VAN CLEEF - Horse Latitudes

JACK WHITE - No Name

X - Smoke & Fiction

(in ordine alfabetico)



box, live, cover, raccolte, reissue, album di morti e altre amenità varie uscite e ascoltate nel 2024

-THE LONG RYDERS - Native Sons 3cd box

-RAIN PARADE - Emergency Third Rail Power Trip (Deluxe)

-MARK LANEGAN - Bubblegum XX

-THE ROLLING STONES - Live At The Wiltern

-SLASH - Orgy Of The Damned

-JOHNNY CASH - Songwriter

-CSN&Y - Live At The Fillmore 1969

-NEIL YOUNG & CRAZY HORSE - Fu ## kin' Up

-HELLACOPTERS - Grande Rock Revisited

-D-A-D - Greatest Hits 1984-2024


10 CONCERTI per il mio  2024 (e poi tutti gli altri)

-JUDAS PRIEST/SAXON, Forum Assago, 6 Aprile

-KULA SHAKER, Alcatraz, Milano, 13 Maggio

-BONNIE PRINCE BILLY, Spazio 211, Torino, 15 Maggio

-GLENN HUGHES, Alcatraz, Milano, 22 Maggio

-THE CULT , Carroponte, Milano, 27 Luglio

-BLACK PUMAS, Fabrique, Milano, 4 Novembre

-STARSAILOR, Spazio 211, Torino, 7 Novembre

-D-A-D, Legend, Milano, 25 Novembre

-THERAPY? Magazzini Generali, Milano, 6 Dicembre

-VINICIO CAPOSSELA, Venaria Reale, 21 Dicembre 

13 Gennaio WINO, Circolo Kontiki, Torino

18 Gennaio SABBIA, Cinema Verdi Candelo

26 Gennaio BACHI DA PIETRA, Spazio 211, Torino

3 Febbraio ANANDA MIDA Blah Blah, Torino

17 Febbraio LUCIO CORSI, Settimo Torinese

23 Febbraio EDDA, Spazio 211, Torino

8 Marzo DIRTY HONEY, Alcatraz, Milano

13 marzo CISCO, Hiroshima Mon Amour, Torino

 29 marzo LOVE GANG, Blah Blah, Torino

30 Marzo TYGERS OF PAN TANG, Legend, Milano

3 Aprile CACAVAS/STEVE WYNN, Blah Blah, Torino

12 Aprile THE ATTREZZIS, Ned Kelly, Vigliano Biellese

25 Aprile FATOUMATA DIAWARA, Teatro Regio, Torino

27 Aprile ACID MAMMOTH, Blah Blah, Torino

6 Maggio PFM canta DeAndrè, Teatro Alfieri, Torino

25 maggio KADABRA, Blah Blah, Torino

6 Giugno DIRTY DEEP, Blah Blah, Torino

17 giugno Mr. BUNGLE, Magnolia, Milano

4 Luglio HIGH ON FIRE, Torino 

21 luglio KING HANNAH, Triennale, Milano

31 Luglio OBSESSED, Ziggy Club, Torino

1 Agosto SACRIMONTI, Blah Blah, Torino

4 Agosto BRANT BJORK, Blah Blah, Torino

9 agosto EL PERRO, Blah Blah, Torino

14 Agosto WOLFMOTHER, Brescia

19 Agosto EXODUS, Brescia

22 agosto MDOU  MOCTAR, Magnolia, Milano 

2 sett ENRICO RUGGERI, Bolle di Malto, Biella

6 settembre MESSA, Legend, Milano

13 settembre MUDHONEY, Santeria, Milano

20 settembre TWO HEADED, Blah Blah, Torino

28 settembre The PEEWEES, Blah Blah, Torino

2 Ottobre BLACKBERRY SMOKE, Alcatraz, Milano

6 Ottobre RILEY WALKER, Arci Bellezza, Milano

20 Ottobre MARCUS KING, Fabrique, Milano

29 Ottobre The WHITE BUFFALO, Magazzini Generali, Milano

15 novembre SABBIA, Biella

23 novembre The WINSTONS, Spazio 211, Torino

4 dicembre KING HANNAH, Spazio 211, Torino

12 dicembre DIAFRAMNA, Hiroshima Mon Amour, Torino

mercoledì 25 dicembre 2024

RECENSIONE: DEWOLFF (Muscle Shoals)

 

DEWOLFF  Muscle Shoals (Mascot Records, 2024)



sogni

Se suoni certa musica e ami certi suoni prima o poi sogni un volo verso l' Alabama, direzione Muscle Shoals e i suoi studi di registrazione. Gli olandesi Dewolff dall'alto di una prolificità tarata in altri tempi, così lontani dal presente quando registrare dischi era cosa naturale, buona e giusta e le classifiche di Spotify un futuro non immaginabile, in Alabama ci atterrano nel Maggio del 2024, piantano tende, posano i bagagli e nei Fame Muscle Shoals Studios (in copertina l'indirizzo 3614 Jackson Highway e la foto sembrano citare l'album di Cher)  con l'aiuto del produttore Ben Tanner  registrano tredici nuove canzoni che andranno a rimpolpare i loro già ricchi e infuocati live set.

"Anche prima che ci appassionassimo al southern rock, da ragazzino, Luka ha ricevuto un album di southern soul, e la maggior parte è stata registrata al FAME" dicono i fratelli Pablo (chitarra e voce) e Luka Va De Poel (batteria e voce) che con Robin Piso (hammond, piano, synth e Wurlitzer) e con l'aiuto di Levi Vis al basso  hanno suonato nel disco.

Chi già li conosce qui va a colpo sicuro: trovando lo smisurato amore per il soul blues imbastardito del trio di  Geleen, cittadina di poco più di 30.000 abitanti nel sud dei Paesi Bassi. Personalmente li ho conosciuti in apertura ai Black Crowes  dove hanno catturato tutti i presenti con un infuocato set di hard blues. Li vidi poi da soli al Legend Club nel 2023, lì a prevalere fu il lato più soul che sta caratterizzando questi ultimi anni.

L' hammond sempre ben presente e protagonista in tracce come 'Hard To Make A Buck' e 'Natural Woman' tradisce tutto l'amore per i suoni seventies, la tensione ritmica che vira al funk di 'Out On The Town', la chitarra che piange southern rock in 'Ophelia' che piano piano sale in un rock sporcato di gospel e che si trasforma nella più selvaggia e boogie 'Truce' dove compare un incisivo sax.

Il pianoforte honky-tonk alla Leon Russell di 'Book Of Life', Leon Russell che negli studi Fame era di casa, il soul notturno di 'Winner' con la chitarra solista ben in evidenza, l'andamento funky blues alla Free di 'Fools & Horses', i giochi soul alls Stevie Wonder della ballad 'Ships In The Night' che si stempera nei rumori ambientali registrati nella notte ('Cicada Serenade') probabilmente fuori dagli studi. Poi tutta quella voglia e la capacità di allungare verso la jam che troviamo negli otto minuti di 'Snowbird'.

Un disco a suo modo intrigante che ribadisce tutto l'amore e la devozione del trio per la musica ma che in un certo senso sembra lasciare ancora spazio e margine per ulterori future svolte (dopotutto sono poco più che trentenni), mancando anche di quel colpo da knock out che devono ancora sferzare per fare veramente la voce grossa. Anche se in Europa pochi sono come loro.

E la loro età fa da buon garante che  prima o poi possa succedere qualcosa di grande.




domenica 22 dicembre 2024

VINICIO CAPOSSELA live@Teatro Della Concordia, Venaria Reale, 21 Dicembre 2024


La mia verità è che ci vorrebbe una 'sciustenfesta' messa in piedi da Vinicio Capossela almeno una volta al mese. A fine mese per azzerare tutto e ripartire. Che meraviglioso spettacolo d'altri tempi ha messo in piedi: il miglior regalo di Natale che si possa fare o ricevere per uscire dal mondo reale  per un paio di ore ed entrare in un cosmo dove ognuno ha potuto perdere liberamente  ogni inibizione. A proprio piacimento: il giovane ragazzo di fianco che a fine concerto ha versato litri di lacrime sulle note di 'Ovunque Proteggi' è stata la testimonianza più diretta che ho avuto.

Persi tra gioia e innocenza, sacro e profano, redenzione e illusione. rivoluzione e allegoria, lasciando fuori dalla porta  i "guastafeste" come la rumorosa alzata di voce mediatica che di questi tempi vorrebbe dettarci proprio i "nostri" tempi. Riprendiamoci gli spazi:"almeno per questa sera, non soffriamo più ".


Ricordi d'infanzia e folklore, tavole imbandite e scimmie saltellanti, giochi di prestigio e campanelle, Erode e Kerouac, mambo e swing, un Santa Claus "vestito come una lattina di Coca Cola" che si spara un colpo ('Santa Claus Is Coming To Town'), San Nicola (santo emigrante) che si porta dietro al guinzaglio un Krampus di taglio economico e pieno di grosse zecche, la gioia e la malinconia tra la voglia di far festa di Louis Prima ('Angeliba/Zooma Zooma') e un malinconico biglietto di Natale recapitato da un Tom Waits d'annata che parte da un locale fumoso di Minneapolis e arriva direttamente giù a  Scandiano ('Christmas Card From A Hooker in Minneapolis). "Cristo Charlie!". 

Con "S'alza l'asta del ginnasta quando passa il Marajà" si balla, con 2Che Cos'è L'a Amor, un sasso nella scarpa..." ci si abbraccia.

Una 'Fairytile Of New York' di Shane McGowan e i suoi Pogues regalata a Torino, perché "Torino è la città più rock'n'roll d'Italia" in un finale di concerto svestito dagli abiti da festa, quando sul palco rimangono solo i ricordi colorati, ma già vecchi di un anno in più, del veglione di poche ore  prima.

Direi che abbiamo "sopportato" tutto, anche chi dietro di me, fatto o alticcio, ha parlato ad alta voce dei cazzi  suoi per una buona parte del concerto. Buon Natale anche a voi!


foto: Enzo Curelli


lunedì 9 dicembre 2024

THERAPY? live@Magazzini Generali, Milano, 6 Dicembre 2024

 


Avere un disco come Troublegum nella propria discografia è un privilegio non da poco (un milione di dischi venduti) ma per i nordirlandesi è stato anche un muro da superare ogni volta per arrivare fino ad oggi. Difficile avvicinarsi alla perfezione di quelle quattordici canzoni che li catapultarono in cima alle chart di tutto il mondo e che Andy Cairns anni dopo spiegò così:"nel corso degli anni, molte persone hanno proclamato Troublegum come disco pop dei Therapy? per via di 'Screamager' e 'Nowhere'. Riascoltandolo è molto, molto oscuro, dal punto di vista dei testi e musicalmente". Ecco serviti gli anni novanta.

Da quel 1993 non hanno mai smesso di produrre musica (dove noise, metal, punk e pop convivono senza fare a pugni) e fare concerti con entusiasmo e rara abnegazione. Questo tour del trentennale però è tutto dedicato a quell'album che è stato sviscerato praticamente da cima a fondo, non in sequenza però (scelta saggia), intervallato solo da vecchie canzoni uscite in precedenza ('Nausea', 'Teethgriner', 'Opal Mantra', 'Potato Junkie') senza nessuna concessione al post. In verità c'è una 'Diane' elettrica più vicina all'originale degli Husker Du rispetto alla versione uscita su Infernal Love, anno 1995.


Ne è uscito sì un concerto per nostalgici (guardandosi intorno l'età media era molto elevata) ma anche uno dei live set più divertenti, partecipati e intensi del mio 2024. La voglia di divertirsi è ancora tanta: Michael Mckeegan salta ancora come il primo giorno d'uscita di Troublegum, il batterista Neil Cooper che all'epoca non c'era ma è nella band da ventidue anni festeggia gli anni ma non è mica vero (ho controllato, una goliardata che si ripete ogni sera per farlo sfogare in un assolo), Andy Cairns guida il tutto, scherza sulle lingue (italiano e irlandese), aizza i fan che rispondono senza lesinare cori, tira fuori il riff di 'Iron Man' dei Black Sabbath, dedica 'Die Laughing' a tutti i caduti del rock’n’roll (da Shane McGowan a Paul Di Anno, da Steve Albini a Kurt Cobain ma la lista sarebbe infinita), si ferma per farci pensare a chi in questo momento mentre noi siamo qui a cantare e ballare sulle note di 'Nowhere', 'Screamager' e sorelle, è sotto un ponte o le bombe di una guerra. 

Sì torna a casa con un pezzo di paraurti danneggiato (maledetti marciapiedi milanesi ma c'è un po' di rock’n’roll anche in questo) con la consapevolezza di aver vissuto due volte un album a suo modo epocale: in diretta a vent'anni e oggi con trenta in più sulla carta d'identità. Più tutto quello che ci sta in mezzo e nel futuro naturalmente: "non riesco a pensare a niente di peggio che essere bloccato in un'epoca o in un genere" spiegò Cairns in una recente intervista e i dodici dischi pubblicati dopo Troublegum ne sono la testimonianza, non conosciuta a tutti ma ci sono.



domenica 8 dicembre 2024

KING HANNAH live@Spazio 211, Torino, 4 Dicembre 2024


Che il pubblico italiano abbia adottato i King Hannah lo si capisce dal caloroso abbraccio con il quale  lo Spazio 211 avvolge la band di Liverpool durante tutto il concerto: dalla lunga e iniziale 'Somewhere Near El Paso' che ben rappresenta le tematiche del viaggio americano che hanno caratterizzato il secondo album Big Swimmer, uscito quest'anno e che a molti non è andato giù (io lo adoro più del primo), alla cover finale di 'Blue Christmas', conosciuta nella versione di Elvis, un saluto pre natalizio cantato a due voci, che ben si è calato tra le maglie dell'intima atmosfera che si è creata all'interno del piccolo locale torinese, sold out per l'occasione.


Perché è francamente difficile voler male al gruppo di Hannan Merrick e Craig Whittle quando percepisci la loro sincera emozione difronte a tanto entusiasmo e quando il loro mood dove il continuo contrasto nel saliscendi emotivo creato dal profondo velluto del cantato (a declamare testi super minimalisti)  e dall'asprezza delle chitarre elettriche (quando a tratti ci senti i Sonic Youth che jammano con Neil Young) in qualche modo riesce a rapirti e portarti via, lontano con loro. Fosse anche solo il Regno Unito, andrebbe gia bene.

Più invecchio, più mi guardo intorno, scruto il pubblico. Ascolto i discorsi, anche se alcune volte sarebbe meglio non farlo visto le castronerie che sento o vedo: un tizio mentre si aspettava il concerto, ha fatto una foto alla setlist appiccicata sulle assi del palco, convinto fosse quella dei King Hannah (con tanto di commenti sulle canzoni), ma si capiva chiaramente (ho sbirciato sì) che era quella di Joe Gideon che ha aperto il concerto. I King Hannah manco la avevano, andavano a braccio.

Un pubblico vario, fatto di tanti giovani ma pure di persone oltre gli anta perché in fondo i King Hannah, in tutta la loro semplicità, purezza e apparente fragilità hanno un animo "da anziani" e lo dimostrano quando cantano di 'John Prine On The Radio' (però ho sentito pochi "yes" alla domanda:" conoscete John Prine?" evidentemente i giovani superavano in numero i vecchi) e quando rifanno una 'State Trooper' di Bruce Springsteen con una lunga coda noise che da sola varrebbe il costo del biglietto (comunque popolare). È la terza volta che li vedo, la seconda quest'anno. E andrei a rivederli pure domani. Ah no, domani sera ci sono I Therapy?. Altra bella storia. Da vecchi naturalmente. 



giovedì 28 novembre 2024

D-A-D live@Legend Club, Milano, 25 Novembre 2024


Il primo Novembre i D-A-D hanno festeggiato i quarant'anni di carriera in casa a Copenhagen davanti a 15.000 persone. Un'istituzione per la musica danese.

 Ieri sera al Legend non eravamo certamente così tanti ma il locale era caldo e pieno per augurare alla band altrettanti anni a questo livello. Sì perché credo sia raro trovare un'altra band della loro generazione ancora così in forma: tante sono scomparse, altre arrancano con superstiti e comparse, qualcuno si è venduto. Loro hanno sempre tenuto dritta la barra del rock'n'roll, surfando le mode musicali di quattro decenni senza mai cadere in acqua. Questa sera di quei periodi "duri" per certa musica sono comparse canzoni come  Reconstrucdead e Monster Philoshopy.

Ed ogni volta che li vedo sono sempre meglio della volta precedente. Come è possibile? Sarà quella autoironia che li mantiene sempre allegri e gioviali anche quando decidono di mettere mani e piedi nella concretezza: qui è il batterista Laust Sonne a tenere il tempo. E che tempo. Per i giochi di fino ci pensa invece la chitarra di Jacob Binzer che come un mago vestito fa magie.


" Cantare vecchio e cantare nuovo" è il mantra che Jesper Binzer va ripetendendo per buona parte della serata fino a quando si riesce a fargli capire che "cantare"  andrebbe sostituito con "canzoni". Ecco così che "canzoni" (con quella Z pronunciata come solo un danese potrebbe fare) di vecchissimo stampo come It's After Dark, Jonnie e Riding With Sue dall'album Call Of The Wild, quando ancora la loro proposta cavalcava il cowpunk e il country vengono sparpagliate con l'album nuovo e fresco di stampa Speed Of Darkness, un album che non sfigura affatto con il passato. Anche se poi i pezzi forti sono quelli pescati da No Fuel Left For The Pilgrims e Riskin' It All, dischi che a cavallo tra gli anni ottanta e novanta li hanno fatti uscire dalla Danimarca per conquistare il mondo: Jihad, Point Of View, Rim If Hell, Sleeping My Day Away e Bad Craziness, Grow Or Pay e la ballad acustica Laugh 'n' 1/2 hanno primeggiato.

Durante il concerto ero vicino a un papà con un figlio poco più che adolescente: è stato bellissimo sentire i commenti del giovane tra lo stupito e il meravigliato di fronte alla conseuta sfilata di bassi che Stig Pedersen ha indossato e suonato come se tutto rientrasse nella normalità. Un fottuto genio fuori testa.

I D-A-D normali non lo sono mai stati e la loro miscela di country western, cowpunk, hard rock e heavy sta resistendo alla prova del tempo. Una inossidabile macchina da rock'n'roll che in Europa ha pochi rivali. Ora però la prossima volta li voglio vedere riempire l'Alcatraz (certo non sarà un'arena da 15.000 posti ma...) perché tutti quelli che non c'erano meritano di vedere almeno una volta nella vita un loro concerto.



THE WINSTONS live@Spazio 211, Torino, 23 Novembre 2024


Zigzagare. I Winstons sono campioni in quest'arte: per tutta la serata hanno schivato malanni di stagione e problemi tecnici all'ampli del basso trasformando il disagio in divertimento ("noi non facciamo mai prove, stavolta le abbiamo fatte!: ecco il risultato! Non bisogna mai fare prove, gli strumenti si usurano") e per due ore hanno sciorinato la loro sconfinata idea di musica ad ampio spettro che se proprio bisogna trovare una collocazione, "a cavallo tra i 60 e i 70" va sempre bene: quasi tutto era stato fatto e i Winstons quasi tutto fanno. Ci sono i Beatles a benedire tutto dall'alto, poi il primo prog ancora così legato a psichedelia e pop, l'amata scena di Canterbury con i Soft Machine in testa (e Third è anche il titolo del loro nuovo album con tanto di occhiali 3D all'interno, sarà un caso?), il glam rock, il funk. 


Roberto Dell'Era al basso e chitarra, Lino Gitto alla batteria, Enrico Gabrielli circondato da tastiere, sax e flauto all'evenienza e qualunque diavoleria abbia voglia di suonare. Tutti e tre alla voce solista, tutti e tre ai cori. I Winstons per due ore hanno portato lo Spazio 211 (mi aspettavo più gente in verità) in giro per la galassia musicale tra lunghe jam, ritratti pop, improvvisi e repentini cambi di atmosfera con tutta la libertà che tre straordinari musicisti possono permettersi. E proprio l'osservazione di Gabrielli che prende spesso la parola (divertenti anche gli aneddoti su Torino, città dove ha vissuto per cinque anni) sembra racchiudere l'era musicale dalla quale la band dei fratelli Winstons si nutre e che vogliono raccontarci alla loro maniera:"perché in questa era dominata dal digitale in cui volendo puoi permetterti di non avere confini di registrazione la stragrande maggioranza racchiude l'arte in pochi minuti?". E allora ben vengano i Winstons che non conosco confini. E poi si sa, dove ci sono barriere non ci sono mai buone notizie. Quella buona è una: i Winstons sono tornati.



martedì 19 novembre 2024

RECENSIONE: WARREN HAYNES (Million Voices Whisper)

WARREN HAYNES
  Million Voices Whisper (Fantasy Records, 2024) 





l'uomo perfetto


Già solo l'occasione di sentire Warren Haynes e Derek Trucks collaborare e suonare insieme dopo tanti anni rende il quarto album solista di Haynes motivo di interesse. Succede in tre canzoni: l'apertura 'These Changes', in 'Real, Real Love' e nei nove minuti conclusivi 'Hall Of Future Saints' un omaggio ai grandi della musica con i quali è cresciuto con tanto di nomi e cognomi nel testo (ecco sfilare B.B King, Jimi Hendrix, Albert King, Elmore James, Miles Davis, John Coltrane...). 
"Poiché avevo scritto diverse canzoni che non sembravano canzoni dei Gov't Mule ma che sembravano tutte funzionare insieme, ciò indicava che era giunto il momento di fare un disco solista. Inoltre, non facevo un disco solista da nove anni. Di solito riesco a capire subito se qualcosa suona come una canzone dei Gov't Mule, o una canzone per un disco solista, o nessuna delle due" ha raccontato recentemente a Glide Magazine.
E proprio 'Real, Real Love' rischia di diventare una della canzoni con più DNA della Allman Brothers Band di questi ultimi anni visto che porta anche la firma del compianto Gregg Allman. "Gregg ha iniziato a scrivere la canzone 'Real, Real Love'. La canzone risale a parecchio tempo fa. Mi aveva mostrato il testo incompleto, ma non aveva scritto la musica. Quindi, ho preso il testo incompleto e l'ho finito. Poi, ho aggiunto musica e melodia, ho chiamato Derek Trucks al telefono e gli ho chiesto se gli sarebbe piaciuto essere coinvolto nella registrazione". Ecco servita sul piatto una delle migliori canzoni di un disco al quale la parola "eccelso" non è affatto sprecata. 
Million Voices Whisper è un disco con testi carichi di speranza per il futuro e che musicalmente sembra abbandonare il rock blues a favore di un soul marchiato Muscle Shoals che tocca territori cari a Van Morrison in 'Go Down Swinging' e 'From Here On Out' con tanto di fiati, vie funky in canzoni come 'Terrified' (con Stevie Wonder nel cuore) e la più leggera e spassosa 'Lies Lies/Monkey Dance/Lies Lies', le strade notturne del R&B in 'You Ain't Above Me' con i battiti dell'Hammond a fare luce. 
Ad accompagnarlo la band formata da Kevin Scott, solidissimo bassista visto recentemente negli ultimi Gov't Mule, il batterista Terence Higgins, il tastierista John Medeski che spesso e volentieri si prende la scena e da altri due ospiti come Lukas Nelson e Jamey Johnson in 'Day Of Reckoning', la traccia più classic rock dell'album. Traccia ripresa anche nella versione deluxe intrecciata con 'Find The Coast Of Freedom' di CS&N e che contiene altre tre composizioni tra cui la solida e rockeggiante 'Baby' s On The Move' per gli orfani dei Gov't Mule.
La naturale superiorità di Warren Hayes non aveva certamente bisogno di ulteriori conferme, uno degli ultimi grandi chitarristi in grado di fare con estrema semplicità ciò che altri suderebbero le proverbiali sette camicie per arrivarci: voce calda e sempre sul pezzo, composizioni di classe cristallina e chitarra sempre ispiratissima nelle undici canzoni che mediamente superano i sei minuti dove piazza assoli e sconfina sovente nelle jam risultando sempre sontuoso, brillante e mai banale. E per completare il cerchio Allman Brothers Band iniziato con la composizione di 'Real, Real Love', l'intero disco è dedicato a un altro pezzo importante della leggenda che se n'è andato quest'anno: Dickey Betts. Per ora è ancora tutto in buone mani. E che mani!




domenica 10 novembre 2024

RECENSIONE: CHUCK PROPHET with ¿QIENSAVE? (Wake The Dead)

CHUCK PROPHET with ¿QIENSAVE?  Wake The Dead (Yep Roc Records, 2024)





che Cumbia!

Gli artisti non puoi certo imbrigliarli dentro a qualche schema, non puoi pretendere che ti diano quel che vuoi tu. Viaggiano, si muovono, cambiano, vivono, a volte molto più velocemente dei loro fan, fermi a un palo, legati da un'apertura mentale miope, tarata spesso sul "bel" passato.

Se poi l'artista in questione si chiama Chuck Prophet, uno che in carriera si è sempre comportato come una palla da flipper esploratrice ed indagatrice, devi accettare tutto quel che gli passa per la testa. E molto spesso sono cose fighissime.

"Ogni due anni, in un modo o nell'altro, mi imbatto in qualcosa che mi entusiasma e mi porta da qualche parte, dove sento di non essere mai stato prima. Tutti i miei dischi sono una specie di reazione a quello che è venuto prima, e poi una svolta a sinistra".

Wake The Dead si candida a diventare uno dei dischi più divertenti e trascinanti del mio anno musicale. E pensare che ha preso forma in uno dei periodi più critici e neri per Prophet: nel 2022 esattamente a cavallo tra la fine della pandemia e la diagnosi di una brutto linfoma al quarto stadio fortunatamente poi guarito, anche per merito di questa musica. 

"Dopo che hanno scoperto che avevo una massa nell'intestino, sono stato in una specie di terra di nessuno per circa 14 giorni" ha raccontato.

In attesa di buone notizie per il futuro fu rapito da una band che sentì suonare per caso, si chiamano ¿Qiensave?, un gruppo di fratelli che non arrivano ai trent'anni di casa a Salinas, comunità agricola sulla costa centrale della California. I fratelli Gomez hanno una casa studio di registrazione in mezzo al bosco e dopo la conoscenza con l'ex Green On Red, incuriosito, è diventata la base di partenza di questo suo sedicesimo disco.

Ma cosa suoneranno mai questi ¿Qiensave? per aver ipnotizzato così tanto il buon Prophet? Risposta: la Cumbia, genere tradizionale della costa caraibica colombiana, una miscela musicale di culture indigene, africane ed europee fatta di congas, farfisa, kalimba, banjo, guiro a cui Prophet e i suoi musicisti (i Mission Express)  hanno aggiunto la classica strumentazione del country, del rock'n'roll e del surf.

"È la musica dei weekend della classe operaia e del Miller Time. La cumbia è romanticismo, cibo, famiglia, musica, ballo, da soli nell'ombra o con il partner. La musica può farti piangere, ma sono tutte lacrime di gioia, ed è meravigliosa" ha raccontato Prophet. Ecco così undici travolgenti canzoni dove tutta l'esperienza di Prophet viene filtatrata dai ritmi latini, quasi in stile Los Lobos ('Wake The Dead', 'Betty's Song' invitano a muoversi) anche il trotto country di 'Give Boy A Kiss' , la ballata con arrangiamenti d'archi e voci femminili  'Red Sky Night' che richiama fortemente Van Morrison, il rock di 'First Came The Thunder', le influenze sixties di 'Sugar Into Water', il blues a ritmo di valzer 'One Lie For Me, One For You' che vede la partecipazione di Charlie Sexton alla chitarra (i due sono stati in tour insieme recentemente) flirtano con quei ritmi mantenendo il trade mark di Prophet.

Non mancano due incursioni nell'attualità: 'In The Shadows (For Elon)' si imbarca nei viaggi spaziali che si è inventato Elon Musk e poi c'è quella 'Sally Was A Cop', viaggio più terreno nella disperazione senza date di scadenza che scrisse con Alejandro Escovedo, disperata e con le chitarre in primo piano. 

Quando tocchi con mano le prime lettere della parola "fine" capita di assaporare con più gusto quelle piccole cose quotidiane per cui vale la pena vivere e lo canta bene nella ballata finale 'It's Good Day To Be Alive' con la moglie Stephanie Finch che partecipa ai cori.

Prophet celebra la vita mettendo sul piatto della bilancia la consueta arguzia di scrittura, le speranze e le paure e ci mette sul piatto un disco piacevolissimo (che invoglia ad alzare il volume) e a suo modo originale ma che soprattutto guarda avanti con musica sempre stimolante e mai banale.




venerdì 8 novembre 2024

RECENSIONE: CROSBY, STILLS, NASH & YOUNG (Live At Fillmore East 1969)

 

CROSBY, STILLS, NASH & YOUNG - Live At Fillmore East 1969 (Rhino, 2024)




magia eterna

Quando escono questi dischi mi sorge sempre la stessa domanda: fino a dove possono spingersi in profondità i pozzi da cui poter attingere vecchia musica registrata in passato? Un giorno si sarà ascoltato tutto il possibile, ma soprattutto arriverà prima questo giorno o arriverà prima l'epoca abitata da generazioni alle quali di tutte queste canzoni con una certa età sul groppone non interesserà più nulla, tanto da rendere vane e inutili (che brutta parola in questo contesto) queste uscite? Forse solo allora tutto si fermerà. Dispiace per chi non ci arriverà mai ma egoisticamente mi godo ancora queste purissime vette.

Quindi godiamoci questo ennesimo scavo nel passato che porta alla luce uno dei concerti al Fillmore East di New York (quello del 20 Settembre 1969 tra i quattro eseguiti in due giorni), che seguirono il loro debutto live come quartetto in quel di Chicago e la epocale apparizione a Woodstock dove un Neil Young quasi fantasma non volle nemmeno farsi riprendere dalle telecamere.

E l'entrata di Neil Young nel trio che aveva già pubblicato un disco di debutto, inizialmente fu proprio vista quasi come un lusso, "noi possiamo anche dar forma all'album ma sarà Neil a darci quel tocco in più di cui c'è sempre bisogno" disse Stephen Stills poco prima che la band entrasse in studio per registrare il seguito Deja Vu. Quella spinta fu data e questo live anche se forse non riuscirà a rubare i cuori di chi si avvicinò a certa musica con il doppio live Four Way Street (eccomi! ma siamo in tanti lo so) in qualche modo può dirsi pure migliore di quel disco. Difficile dire chi eccelle su chi perché la combinazione tra David Crosby, Stephen Stills, Graham Nash e Neil Young, quattro artisti diversi ma incastrati alla meraviglia, era capace di emanare pura magia che andava gustata in blocco. L'ho sempre vista così.

Basti l'ascolto di 'Helplessly Hoping' con quegli impasti vocali che spesso scivolano in risate e divertimento, una 'Guinnevere' che lascia gli stessi brividi della prima volta, la cristallina classe di Stills in 'Go Back Home', le voci ariose di 'You Don't Have To Cry' o una 'Our House' che Nash dedica a Joni Mitchell presente in sala nel set acustico o il blues di 'Long Time Gone', l'acidità elettrica di 'Wooden Ships' presa per mano da Crosby, l'espressività soul blues di Stills in 'Bluebird Revisited', quella chilometrica 'Down By The River' di Young dal set elettrico con l'aggiunta dei fedeli Dallas Taylor alla batteria e Greg Reeves al basso.

"Grandi momenti che non dimenticherò mai" dice Neil Young ricordando quelle serate. A chi lo dici... 




mercoledì 6 novembre 2024

BLACK PUMAS live@Fabrique, Milano, 4 Novembre 2024


L'arma di pace in possesso dei texani Black Pumas ha un nome, un cognome e una presenza di tutto rispetto: Eric Burton. La sinergia che il cantante è riuscito a creare con il pubblico sin dal suo primo passo sopra al palco è stata incredibile ed è andata avanti senza sosta fino alla fine dell'ora e quaranta di concerto. Burton ha carisma nell'incarnare in un solo corpo l'immediatezza della rockstar, la comunicatività della popstar e il calore confidenziale del soul singer. Canta divinamente (toni bassi e acuti: la hit 'Colors'  è servita su un piatto tutto da gustare, il contagioso pop di 'Ice Cream (Pay Phone)' fa ballare e cantare) intrattiene il pubblico, scende dal palco per camminare e cantare nel mezzo del parterre di un Fabrique pieno, stringe mani e abbraccia corpi, si concede ai selfie alla faccia di chi sequestra cellulari, danza, imbraccia una chitarra e canta 'Fast Car' di Tracy Chapman in solitaria come primo bis. Fa emozionare con l'esecuzione di 'Angel'.


Alla sua sinistra il compagno, mente del gruppo,  Adrian Quesada, chitarrista, produttore (e attivista) guarda compiaciuto e compassato mentre con la sua chitarra e i suoi effetti dirige una band formata dalle due brave coriste Angela Miller e Lauren Cervantes; il tastierista JaRon Marshall; il bassista Brendan Bond, il batterista Stephen Bidwell e un percussionista, che sanno il fatto loro per classe e buon gusto esecutivo.

 Se a inizio concerto sembrano gigioneggiare intorno al pianeta pop,  quando ingranano la marcia con brani che indagano con più sostanza nella

Motown degli anni 60, 70, il folk, il rock, il funky e il soul, trasportandoli abilmente ai giorni nostri e trovando sublimazione nella jam finale  di 'Rock And Roll', ultima traccia del loro secondo album Chronicles Of Diamonds, diventano irresistibili, dimostrando quanto possano allargarsi e spingersi  ancora in futuro. Ecco, l'unico difetto: avrei voluto un po' di "sporcizia" in più. 

La questione è proprio questa: i Black Pumas sembrano in pista da una vita ma lo sono solo da sette anni e due soli album e quando Burton e Quesada si incontrarono per puro caso con il primo che aveva una buona quantità di canzoni già pronte che trovarono finalmente la voce giusta ( che cercava fortuna negli angoli delle strade di Austin) per diventare reali e concrete, nessuno pensava a questo grande  successo a livello mondiale. E invece: tanto divertimento e tanti giovani tra il pubblico che se uniti a quelli che negli stessi momenti stavano  riempiendo l'Alcatraz per il concerto dei Fontaines DC rendendo un semplice lunedì sera a Milano in una serata ad altra gradazione rock, non può che far ben sperare per il futuro della musica e di un mondo continuamente sotto assedio, a partire dalla lunga nottata americana che ci aspetta. Viva la musica. Sempre.

Ps. Ad aprire il concerto il bravo Son Little che con voce, chitarra e simpatia riesce a conquistare il pubblico con il suo folk blues piacevole e diretto.


Foto: Enzo Curelli


giovedì 31 ottobre 2024

THE WHITE BUFFALO live@Magazzini Generali, Milano, 29 Ottobre 2024

La prima volta che vidi White Buffalo rimasi un po' deluso (Brescia, anno 2016), per lo stesso motivo per il quale ieri sera mi sono invece divertito. L'approccio in your face dei loro concerti è molto diverso da quanto prodotto in studio di registrazione. La prima volta mi sorprese in negativo, questa volta, preparato alla serata mi sono goduto ogni passo, salto e smorfia di Jake Smith con i suoi due inseparabili sodali: il sempre simpatico e sorridente Christopher Hoffee alla chitarra elettrica e tastiere e il martellatore Matt Lynott dietro a una batteria che fa miracoli per non distruggersi sotto i suoi colpi (un pezzo infatti partirà via durante la serata. Miracolo non riuscito!).

La copertina del recente disco live A Freight Train Through The Night sembra simboleggiare bene cosa ci si trova davanti durante un loro concerto: gli abbellimenti da studio di registrazione (Jake è un perfezionista quando vuole) vengono lasciati in un angolo a favore di una visceralità quasi cowpunk dove tutto è permesso e che viaggia e sbuffa come un vecchio treno in corsa, senza paura di sbavature e imprevisti che invece ci sono e rendono tutto più "umano e più vero".


Le sue storie di vita dove si cerca di fare luce attraverso oscurità e difficoltà, la voce profonda e calda (innalzata al massimo quando rimane solo con l'acustica), la sua America musicale, incrocio tra country, folk (la sua prima chitarra la prese in mano a vent'anni folgorato da John Prine e Bob Dylan) e rock'n'roll suonato con foga, sono riuscite a riempire il lungo e stretto locale dei Magazzini Generali (mi lascia sempre un po' interdetto la planimetria del posto) di persone variegate che vanno da un perfetto suo sosia in prima fila ("hey Jake ma cosa fai ancora lì non sali sul palco? Ah no!") a tanti giovani e giovanissimi (tante donne), da chi l'ha conosciuto attraverso la serie Sons Of Anarchy (ecco una sempre splendida versione di House Of The Rising Sun e Come Join The Murder) e chi attraverso  l'ancora per me insuperato album Once Upon A Time  In The West (The Pilot, Stunt Driver, BB Guns And Dirt Bikes).

Spezzare la settimana con un concerto così fa bene all'umore tanto che il viaggio di ritorno, pur ostacolato da mille imprevisti tra lavori sulla tangenziale e uscite autostradali imposte, traffico in tilt per un concerto al Forum di Assago (Ghali?) e onnipresente partita di calcio a San Siro, sembra una tranquilla gita fuori porta con tanto di paesaggio da osservare (operai autostradali ovunque). Mi addormento alle due con le intense note del concerto che mi rimbombano ancora in testa. Alle 5 sono già sveglio. Maledetto cambio d'ora!




martedì 22 ottobre 2024

MARCUS KING BAND live@Fabrique, Milano, 20 Ottobre 2024

Foto: Curelli Enzo

Di cose belle ne capitano anche sotto il palco. Per esempio quando si aspetta il bis: mi sento stringere un braccio da due mani, un signore già con una certa età, con voce quasi rotta dall' emozione mi sussurra " che bravi, che bravi, sa che non li conoscevo". "Ah sì?" rispondo io. "Merito suo" mi dice, indicando quello che potrebbe essere suo figlio. Ecco: mi ha fatto una grande tenerezza e subito sul momento ho pensato che per conoscere nuova musica si abbia sempre tempo davanti a noi. Non si finisce mai di imparare.

Già, proprio bravo Marcus King from South Carolina, uno uscito con il cordone ombelicale con la musica che già gli scorreva dentro, quando poi il padre Marvin gli mise pure in mano la prima chitarra  a tre anni, il gioco fu fatto. Star is born. Che sia un fuoriclasse lo si capisce dalla estrema naturalezza con quale lega insieme decenni di american music (southern rock, hard blues, soul, R&b, ricami jazz e country) con la stessa naturalezza di un veterano dalle mille vite ma di anni Marcus King ne ha solo ventotto. La stessa naturalezza con la quale, oltre a suonare la chitarra divinamente, canta. Una voce soul che se ce l'hai ce l'hai, se non ce l'hai cambia mestiere. Voce che esce in tutta la sua limpidezza quando imbraccia una chitarra acustica e rimane solo sul palco.


Poi che sia pure un'ottima penna lo si capisce anche solo dagli ultimi album dove si è messo completamente a nudo, svelando le tante debolezze che lo hanno circondato negli ultimi anni e da cui è uscito vincente. Anche qui la musica ha avuto la sua importanza.

Basterebbe poi confrontare la diversità dei suoi ultimi due dischi per capire come sappia muoversi con naturalezza tra i generi: da una parte l'hard rock fumante seventies di Young Blood, dall'altra la morbidezza dell'ultimo album Mood Swings con canzoni che si portano a spasso un carezzevole soul e che hanno fatto storcere il naso a molti ma che in verità se prese una per volta sono tutt'altro che brutte ('Save Me', 'Bipolar Love', 'Mood Swings', 'This Far Gone', 'Fuck My Life Up Again' tra quelle suonate) e live, allungate con code strumentali e jam virano anche in altri campi poco arati.

Ad aiutarlo la seconda chitarra di Drew Smithers con il quale duella spesso e volentieri, il tastierista  Mike Runyon che ha lo sguardo rivolto sempre al cielo, il batterista Jack Ryan che detta bene i tempi  e il solido bassista di cui non so il nome.

Tra i paletti delle nuove canzoni inserisce qualche vecchio brano, l'immancabile 'Goodbye Carolina' e una serie di cover. Sì  perché è ancora così appassionato di musica che dopo cinque album continua a infarcire i suoi concerti di cover, passando da una ruspante  'Are You Ready For The Country' di Neil Young a una nuova 'Honky Tonk Hell' di Gabe Lee che uscirà nel suo prossimo disco (almeno così ho capito), da 'Good Time Charlie's Got the Blues' di Danny O'Keefe fino alla finale 'Ramblin Man' della Allman Brothers Band  eseguita con mestiere e devozione, saluto e omaggio a Dickey Betts che ci ha lasciato lo scorso Aprile. 

Io saluto il signore di prima ancora emozionato. Al ritorno in macchina  mi ascolto Wild God di Nick Cave che stasera a Milano, in contemporanea, nella sua personale chiesa ha fatto il pienone (il Fabrique è pieno ma a mezzo servizio). Chissà se il signore, non quello divino, ma quello emozionato lo conosce?