Zigzagare. I Winstons sono campioni in quest'arte: per tutta la serata hanno schivato malanni di stagione e problemi tecnici all'ampli del basso trasformando il disagio in divertimento ("noi non facciamo mai prove, stavolta le abbiamo fatte!: ecco il risultato! Non bisogna mai fare prove, gli strumenti si usurano") e per due ore hanno sciorinato la loro sconfinata idea di musica ad ampio spettro che se proprio bisogna trovare una collocazione, "a cavallo tra i 60 e i 70" va sempre bene: quasi tutto era stato fatto e i Winstons quasi tutto fanno. Ci sono i Beatles a benedire tutto dall'alto, poi il primo prog ancora così legato a psichedelia e pop, l'amata scena di Canterbury con i Soft Machine in testa (e Third è anche il titolo del loro nuovo album con tanto di occhiali 3D all'interno, sarà un caso?), il glam rock, il funk.
Roberto Dell'Era al basso e chitarra, Lino Gitto alla batteria, Enrico Gabrielli circondato da tastiere, sax e flauto all'evenienza e qualunque diavoleria abbia voglia di suonare. Tutti e tre alla voce solista, tutti e tre ai cori. I Winstons per due ore hanno portato lo Spazio 211 (mi aspettavo più gente in verità) in giro per la galassia musicale tra lunghe jam, ritratti pop, improvvisi e repentini cambi di atmosfera con tutta la libertà che tre straordinari musicisti possono permettersi. E proprio l'osservazione di Gabrielli che prende spesso la parola (divertenti anche gli aneddoti su Torino, città dove ha vissuto per cinque anni) sembra racchiudere l'era musicale dalla quale la band dei fratelli Winstons si nutre e che vogliono raccontarci alla loro maniera:"perché in questa era dominata dal digitale in cui volendo puoi permetterti di non avere confini di registrazione la stragrande maggioranza racchiude l'arte in pochi minuti?". E allora ben vengano i Winstons che non conosco confini. E poi si sa, dove ci sono barriere non ci sono mai buone notizie. Quella buona è una: i Winstons sono tornati.
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