lunedì 23 ottobre 2017

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 48: STEVE FORBERT (Alive On Arrival)

STEVE FORBERT  Alive On Arrival (1978)
 
 
 
 
 

Era un ragazzo volenteroso il giovane Steve Forbert: seppe raggiungere la meta agognata con determinazione e quel pizzico di spavalderia che non guasta mai, nonostante quel faccino da bravo ragazzo che si ritrovava. Si lasciò dietro presto il natio Mississippi e si mise in viaggio con la sola compagnia di chitarra e armonica, coperto da un leggero e sdrucito giubbotto di jeans, per raggiungere una New York musicale completamente immersa nei fumi del punk. Ma non cercò il punk in una lametta, ma il folk per le strade, forse in ritardo di qualche anno. Senza paura e con la faccia tosta del ragazzo esploratore che arriva dalla campagna entrò in contatto con la scena al CBGB, si fece conoscere tra i locali del Greenwich Village ed esplorò curioso la gente tra le fermate della metropolitana. Tutte esperienze che coinfluiranno nel debutto ALIVE ON ARRIVAL (1978) insieme a sogni e qualche accenno di malinconia. Un disco folk che lascerà il segno tanto da spingere la critica a ritirare fuori dalla naftalina quell'adesivo "nuovo Dylan" un po' in disuso, con la colla ormai secca e consumata dal tempo ma che nei primi anni settanta andava tanto di moda e si appiccicava bene un po' su tutti. Già Dylan: in quegli anni era tutto e il contrario di tutto fuorché un folk singer. Legittimo ritirare fuori gli sticker dal cassetto. Se ne accorse immediatamente la Nemperor Records (sotto etichetta della Epic) che lo mise sotto contratto anche se i paletti li piantò il determinato Forbert: "nel disco suono la mia musica" e così fu. Dall'apertura 'Goin' Down To Laurel' incipit di spavalda determinazione alla nostalgia di casa nella notturna e bellissima 'Tonight I Feel So Far Away From Home' passando per il rockabilly ironico di 'What Kinda Guy?', gli umori di 'Thinkin', le dolci incertezze di 'It Isn't Gonna Be That Way', l'esperienza da busker raccontata in 'Grand Central Station, March 18, 1977', e il talking dylaniano di 'Steve Forbert's Midsummer Night's Toast' fino al rutilante blues in chiusura 'You Cannot Win If You Do Not Play'. Dentro a questo debutto c'era il limpido futuro di un ragazzo che seppe ripetere la formula per un altro disco JACKRABBIT SLIM (1979), cambiando anche le carte in tavola e trainato dal successo di 'Romeo's Tune', ma non per l'intera carriera, buona, onesta ma mai più sotto i riflettori accecanti della popolarità. Uno dei migliori dischi di cantautorato americano (di debutto) degli anni settanta. Da ascoltare e riascoltare.

PUNTATE PRECEDENTI
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #18: BOB DYLAN-Street Legal (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #19- CRAZY HORSE-Crazy Horse (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #20-TOM PETTY-Wildflowes/Echo (1994/1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #21-NICOLETTE LARSON-Nicolette (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #22-AMERICA-Silent Letter (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #23-ERIC ANDERSEN-Blue River (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #24-BADLANDS-Voodo Highway (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #25-GEORGE HARRISON-Living In The Material World (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA#26: DAVID CROSBY GRAHAM NASH-Wind On The Water (1975)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #27: DICKEY BETTS & GREAT SOUTHERN (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #28: JUNKYARD-Junkyard (1989)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #29: STEPHEN STILLS (1970)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #30: RITMO TRIBALE-Bahamas (1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #31: SUZI QUATRO-Suzi Quatro (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #32: BADFINGER (1970)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #33:RONNIE LANE'S SLIM CHANCE    One For The Road (1976)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #34: EDOARDO BENNATO- Edo Rinnegato (1990)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #35: GENE CLARK-White Light (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #36: JOHNNY WINTER-Second Winter (1969)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #37: CAPTAIN BEYOND-Captain Beyond (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #38: ROD STEWART-Every Picture Tells a Story (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #39: GEORGE THOROGOOD & DESTROYERS-Bad To The Bone (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #40: THE ROLLING STONES-Their Satanic Majesties Request (1967)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #41: ALBERTO FORTIS (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #42: NOMADI-Gente Come Noi (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #43: CROSBY, STILLS & NASH-Daylight Again (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #44: TERRY REID (River)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #45: JACKSON BROWNE-Running On Empty (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #46: THE ROLLING STONES-Emotional Rescue (1980)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #47:TOM PETTY-Highway Companion (2006)

 

giovedì 19 ottobre 2017

RECENSIONE: THE WHITE BUFFALO (Darkest Darks, Lightest Lights)

THE WHITE BUFFALO Darkest Darks, Lightest Lights (Earache Records, 2017)




“Non ero più un ragazzo: avevo 20, 22 anni. Io e un mio amico eravamo seduti a bere delle birre, quando suo padre iniziò a suonare canzoni di John Prine e Bob Dylan. Un giorno gli chiesi di mostrarmi alcuni accordi appena avessi avuto una chitarra tra le mani. E lui rispose: sicuramente. Così appena uscito di casa, sono corso al banco dei pegni ad acquistarne una da pochi soldi, da lì ho iniziato a scrivere canzoni”. Così Jake Smith, l’omone grande e grosso che fisicamente pare un incrocio tra Warren Haynes e il grande Lebowski, racconta i suoi tardivi approcci con la musica. Ora di anni ne ha qualcuno in più, la chitarra la suona bene ed è arrivato al quinto disco in carriera. Dopo l’esordio del 2007, il grande pubblico si accorse di lui grazie alla serie tv Sons Of Anarchy (i brani di Smith sono stati ospitati più volte nella serie. e a lui è toccato l'onore di chiudere in maniera struggente l'ultima puntata della saga dei criminali motociclisti, con la lunga 'Come Join The Murder) e a quel ONCE UPON THE TIME IN THE WEST (2011) che sembrava costruire il ponte ideale tra la vecchia America cantata dagli outlaw country men degli anni settanta e l'America della generazione grunge di metà anni ’90, che celebrò il funerale di tutte le vecchie speranze. “Beh, io sono una persona abbastanza gioviale ma so che il lato più oscuro della vita può essere più interessante. Sono un uomo di famiglia, ma ogni tanto possono esserci ancora problemi. Alcune cose di cui scrivo sono d'attualità, ma cerco sempre di lasciarle vaghe, per fare in modo che ognuno possa interpretarle a modo suo”. Dopo l’ambizioso concept SHADOWS, GREYS & EVIL WAYS (2013) che intrecciava amore e guerra, nel quarto album LOVE AND THE DEATH OF DAMNATION le canzoni, pur vivendo di vita propria, sembrano ancora una volta seguire un percorso narrativo ben preciso dove i protagonisti lottano contro la diabolica oscurità che gravita intorno alle loro strade.
Qualcuno troverà la luce, altri no. Buio mimetizzato negli accadimenti di tutti i giorni (‘Dark Days’, ‘Modern Times’), nelle disperata ricerca di fede e redenzione, nei complicati meccanismi delle relazioni umane: nei rapporti d’amore, tra genitori e figli, tra uomini in perenne conflitto. "Musicalmente e liricamente, questo è l'album più diversificato che abbia mai fatto. Amore, morte, luce e oscurità. Vi farà ridere e vi farà piangere. Un concentrato di emozioni." Approdato per la prima volta in Italia nel 2016 per tre date (Ravenna, Trieste, Brescia) in cui pestò giù duro senza troppi complimenti con una formazione a tre che viaggiava liscia e diritta come un treno senza fermate, in questo 2017 ecco il nuovo album DARKEST DARKS,  LIGHTEST LIGHTS che conferma fin dal titolo l’importanza delle luci e delle ombre nella sua musica. Se da una parte, canzoni d’amore e intimiste come le ballate ‘The Observatory’, ‘If I Lost My Eyes’ e la finale ‘I Am The Moon’ ci mostrano l’aspetto più sognante delle sue liriche, a lasciare il segno sono i testi di canzoni dalla costruzione epica e cinematografica come ‘Robbery’, jazzata e condotta con fare esperto alla Tom Waits, il blues con armonica di ‘Nightstalker Blues’ che narra le vicende datate 1985 del serial killer Richard Ramirez, le storie di droga e mafia messicana nella trascinante e diretta  ‘Border Town/Bury Me in Baja’, le atmosfere western con il crescendo di 'Madam's Soft, Madam's Sweet' o il rock battente di ‘Avalon’ che si riallaccia alla migliore tradizione americana delle road song, condotte come sempre dalla sua voce profonda. Un disco che si schiera nuovamente dalla parte degli emarginati e dei cuori solitari e disperati, nato e cresciuto in studio di registrazione come lo stesso Jack Smith ha dichiarato in una intervista “Ho scritto la maggioranza delle canzoni durante il processo di registrazione. Scrivevo al mattino e registravamo di sera”. Diretto al punto quando serve (l'honky tonk d'apertura 'Hide And Seek','The Heart And Soul Of The Night' sembra uscita dalla penna di Phil Lynott e i Thin Lizzy ) e riflessivo quanto basta, Darkest Darks, Lightest Lights, conferma The White Buffalo come uno dei più eclettici esponenti dell'american music dei nostri giorni.


RECENSIONE: MAGPIE SALUTE-Magpie Salute (2017)
RECENSIONE: ELLIOTT MURPHIE-Prodigal Son (2017)
RECENSIONE: GARLAND JEFFREYS-14 STeps To Harlem (2017)
RECENSIONE: JOHN MELLENCAMP- Sad Clowns & Hillbillies (2017)
RECENSIONE: TAJ MAHAL & KEB' MO'-TajMo (2017)
RECENSIONE: CHRIS STAPLETON: From A Room, Volume I (2017)
RECENSIONE: WILLIE NELSON-God's Problem Child  (2017)
RECENSIONE: DAN AUERBACH-Waiting On A Song (2017)
RECENSIONE: STEVE EARLE & The DUKES-So You Wannabe An Outlaw (2017)

RECENSIONE: BLACKFOOT GYPSIES-To The Top (2017)
RECENSIONE: LEE BAINS III + THE GLORY FIRES-Youth detention (2017)
RECENSIONE: GEORGE THOROGOOD-Party Of One (2017)
RECENSIONE: NEIL YOUNG-Hitchhiker  (2017)
RECENSIONE: JAKE BUGG- Hearts That strain (2017)

lunedì 16 ottobre 2017

RECENSIONE: ROBERT PLANT (Carry fire)

ROBERT PLANT   Carry Fire (Nonesuch Records, 2017)





Ho sempre ammirato la carriera solista di ROBERT PLANT. Uno come lui avrebbe potuto vivere di rendita per tutta la vita, adagiandosi sul dorato passato. Invece no, ha sempre continuato per la sua strada, conscio che certe alchimie, senza gli ingredienti originali, sono difficili da riprodurre in laboratorio per l'eternità. Ci sono già e rimarranno per sempre. Anche se le radici di quello che sta facendo da anni iniziarono a crescere da li’ e si sente ancora benissimo. Senza mai cedere troppo al facile successo (ma l’estate di ‘29 Palms’ lo fu, chi se la dimentica?), ha percorso tutte le strade musicali possibili in giro per il mondo e questo nuovo CARRY FIRE è l’ennesima conferma che il percorso, l’ultimo iniziato da DREAMLAND (2002) o forse già da NOW AND ZEN (1988) è quello giusto. Toccando il picco con RAISING SAND insieme a Alison Krauss. Ma a me piace ricordare anche il bellissimo MIGHTY REARRANGER. Dal Texas, dove si era rifugiato negli ultimi anni al ritorno in Galles, in mezzo c'è un mondo. Non sarà un successo, non conterrà canzoni che ricorderemo tra quarant’anni ma è abbastanza onesto, profondo, intrigante e misterioso, come sempre, per essere liquidato con troppa facilità, come ho già letto in giro. Un suono sempre in viaggio che non conosce passaporti, etereo ma desertico, ipnotico, spesso sussurato, colorato e cangiante tra folk d’America (l’apertura ‘The May Queen’), ritmi d’Africa, melodie d’Oriente e trip hop anglosassone ('Keep It Hid') ad accompagnarlo ci sono gli ormai fedeli Sensational Space Shifters, con gli ospiti Seth Lakeman alla viola e violino e Chrissie Hynde che duetta nella cover stravolta di ‘Bluebirds Over Mountain’, un vecchio brano rockabilly di Ersel Hickey. E per uno come lui, che ha scelto sempre le intricate strade della comunicazione e interazione tra linguaggi e popoli, quello che sta avvenendo in giro per il mondo è, purtroppo, un buono spunto per la creatività : da qui nascono canzoni come ‘Bone Of Saints’, ‘New World’, ‘Carving Up The World Again’ che ci raccontano di guerre, barriere e di muri costruiti in modo abusivo sul terreno della libertà. Già, quella libertà che si è sempre preso in campo musicale, mettendosi sempre in gioco. E allora giochiamo.



RECENSIONE: MAGPIE SALUTE-Magpie Salute (2017)
RECENSIONE: ELLIOTT MURPHIE-Prodigal Son (2017)
RECENSIONE: GARLAND JEFFREYS-14 STeps To Harlem (2017)
RECENSIONE: JOHN MELLENCAMP- Sad Clowns & Hillbillies (2017)
RECENSIONE: TAJ MAHAL & KEB' MO'-TajMo (2017)
RECENSIONE: CHRIS STAPLETON: From A Room, Volume I (2017)
RECENSIONE: WILLIE NELSON-God's Problem Child  (2017)
RECENSIONE: DAN AUERBACH-Waiting On A Song (2017)
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RECENSIONE: BLACKFOOT GYPSIES-To The Top (2017)
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RECENSIONE: NEIL YOUNG-Hitchhiker  (2017)
RECENSIONE: JAKE BUGG- Hearts That strain (2017)

giovedì 12 ottobre 2017

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 47:TOM PETTY (Highway Companion)

TOM PETTY   Highway Companion (American Recordings, 2006)





Se c'è un album con il quale mi piace ricordare Tom Petty è HIGHWAY COMPANION del 2006, un disco sempre poco citato ma che rappresenta bene la rinascita, non tanto quella artistica, Petty non ha sbagliato quasi nulla in carriera, quanto quella umana.
Highway Companion arrivò all’indomani di annunci importanti, fortunatamente poi disattesi: mai più tour con gli Heartbreakers, mai più interviste. Qualcuno disse pure mai più dischi. Con il senno del poi si pensò ad un’astuta mossa commerciale per lanciare il nuovo album che arrivava dopo quattro anni di silenzio, l’ultimo fu The LAST DJ del 2002. Invece no, gli si poteva credere cecamente, gli anni incollati prima del disco non furono tra i più felici della sua vita e la fatica per uscirne fuori fu tanta (il divorzio e la lunga depressione che seguì, la scomparsa dell’amico e musicista Howie Epstein, le grane con la casa discografica), Petty è sempre stato un tipo sincero ed estremamente diretto e combattivo. Highway Companion è il terzo disco ad uscire senza il monicker degli Heartbreakers in copertina, ed è un disco che lo riporta alla purezza, sulle strade, alla fuga solitaria, in cerca della bellezza, alla meditazione sui sentimenti (splendida ‘Damaged Of Love’) e alla ricerca del luogo ideale. Petty fa quasi tutto da solo, suona perfino la batteria. I soli ammessi sono l’inseparabile Mike Campbell alle chitarre e Jeff Lynne (al basso) un ritorno anche alla produzione, ma qui sembra lasciare meno segni rispetto ai fasti del passato. Il disco suona minimale e puro. Poco lavorato. Spesso dimenticato, questo disco è un viaggio a ritroso tra la semplicità del tempo che passa inesorabile, tra la quotidianità e l'affiorare della fiducia verso i sentimenti (una nuova compagna), i paesaggi che scorrono veloci sotto gli occhi, un omaggio alla musica che lo ha accompagnato da sempre. Alla fine ne esce un inno alla vita completo. Uno dei suoi migliori testamenti, e di canzoni da ricordare ce ne sono: la splendida ‘Square One’ ad esempio. Personale fino alla fine. Dalla ruvidezza della galoppante ‘Saving Grace’ sulle orme di John Lee Hooker e con lo spirito swamp di John Fogerty, al viaggio tra gli umori del suo sud in ‘Down South’ condotto con fare dylaniano, alle melodie byrdsiane di ‘Flirting With Time’, qualcosa che potrebbe avvicinarsi ai suoi classici, al viaggio notturno e meditativo di ‘Night Driver’, gli scatti improvvisi di ‘Jack’, il crescendo di ‘Turn This Car Around’, la spensieratezza country di ‘Big Weekend’, ‘This Old Town’ con il passo sornione alla Neil Young e il ritornello beatlesiano. Un disco di viaggi interiori e da viaggio su asfalto assolutamente da riscoprire. In ‘Square One’, Petty canta di “un mondo di guai e lacrime”. Mai come in questi giorni successivi alla morte, ci ha lasciati così: nei guai e con le lacrime agli occhi. Buon viaggio Tom.


PUNTATE PRECEDENTI
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #18: BOB DYLAN-Street Legal (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #19- CRAZY HORSE-Crazy Horse (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #20-TOM PETTY-Wildflowes/Echo (1994/1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #21-NICOLETTE LARSON-Nicolette (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #22-AMERICA-Silent Letter (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #23-ERIC ANDERSEN-Blue River (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #24-BADLANDS-Voodo Highway (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #25-GEORGE HARRISON-Living In The Material World (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA#26: DAVID CROSBY GRAHAM NASH-Wind On The Water (1975)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #27: DICKEY BETTS & GREAT SOUTHERN (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #28: JUNKYARD-Junkyard (1989)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #29: STEPHEN STILLS (1970)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #30: RITMO TRIBALE-Bahamas (1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #31: SUZI QUATRO-Suzi Quatro (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #32: BADFINGER (1970)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #33:RONNIE LANE'S SLIM CHANCE    One For The Road (1976)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #34: EDOARDO BENNATO- Edo Rinnegato (1990)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #35: GENE CLARK-White Light (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #36: JOHNNY WINTER-Second Winter (1969)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #37: CAPTAIN BEYOND-Captain Beyond (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #38: ROD STEWART-Every Picture Tells a Story (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #39: GEORGE THOROGOOD & DESTROYERS-Bad To The Bone (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #40: THE ROLLING STONES-Their Satanic Majesties Request (1967)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #41: ALBERTO FORTIS (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #42: NOMADI-Gente Come Noi (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #43: CROSBY, STILLS & NASH-Daylight Again (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #44: TERRY REID (River)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #45: JACKSON BROWNE-Running On Empty (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #46: THE ROLLING STONES-Emotional Rescue (1980)

 

domenica 8 ottobre 2017

RECENSIONE: LEON RUSSELL (On A Distant Shore)


LEON RUSSELL  On A Distant Shore (Palmetto Records, 2017)





L’ultimo viaggio del Master Of Space and Time
Questa sta diventando una cattiva abitudine, ve lo dico. Quest’anno sono usciti molti dischi postumi, registrati dagli autori poco prima di morire: Chuck Berry e Gregg Allman svettano su tutti. L’anno scorso non fu da meno. Ora è arrivato il momento di Leon Russell che come Leonard Cohen nel suo ultimo album, nella title track che apre il disco, sembra anticipare, inconsapevolmente (o forse no), il suo futuro prossimo, preparando la strada al destino : “My poor heart sounds like a drum/On a mountain far away/I’m waiting here for my time to come/Can I keep the wolves at bay/These feelings are so dangerous/Like the fires of hell and more/No answers can be found/Bad news is at the door”, fino ad arrivare alla strofa che recita “Sounds like a funeral for some person here”.
ON A DISTANT SHORE fu portato a termine nel Novembre del 2016, pochi giorni prima della morte avvenuta il 13 Novembre. “Diceva che era il miglior disco che avesse mai registrato” così Jan Bridges, la moglie di Russell presenta il disco. Mark Lambert, il produttore, conferma e rilancia “è stato infaticabile fino alla fine. Nella canzone ‘Just Leaves and Grass,’ potete ascoltarlo mentre piange veramente. Non c'è nulla di falso. On A Distant Shore è un grande ritratto di Russell”. Tredici canzoni, tra cui tre suoi vecchi successi riletti (‘This Masquerade’, ‘Hummingbird’ e ‘A Song for You’), suonate all’antica maniera seguendo la grande tradizione dell’ American songbook, con l’obbiettivo di creare nuovi standard gravitanti intorno al jazz, al gospel e al blues (bella ‘Black And Blue’ con la chitarra di Ray Goren) il tutto con largo uso di arrangiamenti orchestrali che riempiono le canzoni, a volte fin troppo e a dismisura e una voce che a tratti pare stanca ma per questo ancora più vera e genuina. Ma a Russell perdono tutto. Se nel precedente LIFE JOURNEY rendeva omaggio a vecchi e veri standard e a canzoni di amici vari, qui segue la stessa identica strada inventandosi però qualcosa di nuovo scritto di suo pugno. A 74 anni non è stato per nulla facile, ma dopo UNION, lo straordinario album con Elton John, l’ispirazione sembrava essere ripartita. Questo è l’ultimo straordinario viaggio del Master Of Space and Time. Grazie di tutto.


RECENSIONE: MAGPIE SALUTE-Magpie Salute (2017)
RECENSIONE: ELLIOTT MURPHIE-Prodigal Son (2017)
RECENSIONE: GARLAND JEFFREYS-14 STeps To Harlem (2017)
RECENSIONE: JOHN MELLENCAMP- Sad Clowns & Hillbillies (2017)
RECENSIONE: TAJ MAHAL & KEB' MO'-TajMo (2017)
RECENSIONE: CHRIS STAPLETON: From A Room, Volume I (2017)
RECENSIONE: WILLIE NELSON-God's Problem Child  (2017)
RECENSIONE: DAN AUERBACH-Waiting On A Song (2017)
RECENSIONE: STEVE EARLE & The DUKES-So You Wannabe An Outlaw (2017)

RECENSIONE: BLACKFOOT GYPSIES-To The Top (2017)
RECENSIONE: LEE BAINS III + THE GLORY FIRES-Youth detention (2017)
RECENSIONE: GEORGE THOROGOOD-Party Of One (2017)
RECENSIONE: NEIL YOUNG-Hitchhiker  (2017)
RECENSIONE: JAKE BUGG- Hearts That strain (2017)



martedì 3 ottobre 2017

RECENSIONE: DAVID CROSBY (Sky Trails)

DAVID CROSBY Sky Trails (BMG, 2017)






L’uscita del bellissimo CROZ nel 2014 , con quel titolo, sembrava la risposta giusta all’amnesia che si portava dietro dal titolo del primo ineguagliabile disco solista uscito nel 1971 (“il punto più alto per me. Era un momento difficile della mia vita, ma Jerry Garcia era lì quasi ogni notte…” racconta in una intervista rilasciata a Spin in questi giorni). Chi l’ avrebbe mai pensato che nel giro di un paio d’anni David Crosby avrebbe fatto uscire tre dischi: una prolifica ispirazione che forse mai gli era appartenuta prima. Una corsa ininterrotta che sembra abbia voglia di riprendersi tutti gli anni persi e buttati all’aria per troppi vizi e cattiva salute. SKY TRAILS esce a un solo anno di distanza dal precedente LIGHTHOUSE e musicalmente sembra prendere altre direzioni mettendo totalmente allo scoperto l’amore per il jazz, ma non solo. Lo si capisce fin dall’apertura ‘She ‘s Got To Be Somewhere’, un quasi dichiarato omaggio ai Steeley Dan di Donald Fagen e del recentemente scomparso Walter Becker : “ Ho sempre amato i Steey Dan. La loro scrittura è incredibilmente buona”. Non l’unico amore ad uscire da questo disco: la cover, l’unica del disco, di ‘Amelia’ di Joni Mitchell è un altro: “Credo che Joni sia la migliore cantante songwriter vivente”. Là dove Lighthouse era un disco acustico e quasi solitario, Sky Trails è un lavoro di squadra a tratti sofisticato ma sempre lucido e pulito, perfino troppo in alcuni passaggi. “ Ci sono complessita', sottigliezze e strutture intricate in queste canzoni, cose con cui mi sono sempre sentito a mio agio”. Suonano: il sassofonista Steve Tavaglione, il batterista Steve DiStanislao, il bassista Mai Agan. Il disco è prodotto e condotto musicalmente dal figlio (ritrovato) James Raymond (coautore di metà delle canzoni) e avanza sinuosamente in maniera spesso languida tra ricami jazzati (tra il passato del suono di un sax e il presente di battiti elettronici molto anni ottanta: 'Capitol', 'Sell Me A Diamond' con Greg Leisz alla pedal steel) e una vocalità che a 75 anni è ancora miracolasamente intatta e che esce allo scoperto nella ballata pianistica 'Before Tomorrow Falls On Love', uno dei vertici dell'album, scritta insieme a Michael McDonald. Senza dimenticare mai il passato, che riaffiora negli antichi graffi politici e sociali presenti in ‘Capitol’, il personale dito medio alzato al governo, e nella title track a due voci, una canzone folk scritta e cantata insieme a Becca Stevens. Intanto, come dichiarato, sembra che l’amore per il jazz possa continuare anche per il futuro…quello lì, dietro l’angolo del prossimo disco che non si farà più aspettare troppo. Nuovamente.


RECENSIONE: MAGPIE SALUTE-Magpie Salute (2017)
RECENSIONE: ELLIOTT MURPHIE-Prodigal Son (2017)
RECENSIONE: GARLAND JEFFREYS-14 STeps To Harlem (2017)
RECENSIONE: JOHN MELLENCAMP- Sad Clowns & Hillbillies (2017)
RECENSIONE: TAJ MAHAL & KEB' MO'-TajMo (2017)
RECENSIONE: CHRIS STAPLETON: From A Room, Volume I (2017)
RECENSIONE: WILLIE NELSON-God's Problem Child  (2017)
RECENSIONE: DAN AUERBACH-Waiting On A Song (2017)
RECENSIONE: STEVE EARLE & The DUKES-So You Wannabe An Outlaw (2017)

RECENSIONE: BLACKFOOT GYPSIES-To The Top (2017)
RECENSIONE: LEE BAINS III + THE GLORY FIRES-Youth detention (2017)
RECENSIONE: GEORGE THOROGOOD-Party Of One (2017)
RECENSIONE: NEIL YOUNG-Hitchhiker  (2017)
RECENSIONE: JAKE BUGG- Hearts That strain (2017)

sabato 30 settembre 2017

RECENSIONE: JAKE BUGG (Hearts That Strain)

JAKE BUGG    Hearts That Strain (2017)





"How many roads must a man walk down Before you call him a man"
Ottobre 2012, mi trovo a Dublino davanti alla vetrina di un grande Record Store: è tappezzata da tanti cd tutti uguali, in copertina campeggia il viso sbarbato e imbronciato di un ragazzo che pare appena uscito dall’ età adolescenziale. Assomiglia a Justin Bieber, ma lo conosco di nome e so che la sua musica è molto lontana dall’idolo pop delle teenager. Torno in Italia con il suo debutto in valigia che presto passa nell’impianto stereo: voce giovane ma nasale e musica elettro acustica che costruisce i ponti ideali tra il folk americano orbitante nei Coffee House di Minneapolis frequentati dal giovane Bob Dylan e il folk britannico di Donovan con gli antichi guizzi r’n’r di Buddy Holly e le melodie brit pop anni novanta degli Oasis. Sarà proprio Noel Gallagher a tesserne pubblicamente le lodi e portarselo in tour. L’idilio tra i due finì quando Gallagher scoprì che Bugg collaborò con due co-autori per la stesura di alcuni pezzi. Stranezze del Rock. Il debutto arriva a vendere 450.000 copie solo in UK, e non passa un anno che l’etichetta discografica decide di investire tutto sul giovane proveniente dall’operaia Nottingham: lo spedisce a Malibu, in California, sotto le mani esperte di Rick Rubin che mette a disposizione musicisti amici tra cui Chad Smith (Red Hot Chili Peppers). In SHANGRI LA l’aria si fa meno nebbiosamente brit ma più polverosamente yankee, con alcune possenti puntate punk rock. Rubin smussa l'ingenua urgenza esecutiva dell'esordio, arricchendo le canzoni di sfumature ma complicando ulteriormente la vita a chi cerca di inquadrarlo. Devono però passare tre anni per ritrovare nuovamente Jake Bugg in studio con ON MY ONE. Il ragazzo ha solo ventidue anni ma ha deciso che è il momento di camminare da solo: il disco è più il personale e autobiografico dei tre incisi, per le liriche (nella title track canta dei tre anni passati in tour e dei 400 concerti) e perché si cimenta per la prima volta anche come produttore, aggiungendo degli spiazzanti retaggi elettro Hip Hop al già ricco recente passato. Troppa carne al fuoco. Arrivati in questo 2017, mentre le sue canzoni ('Lightning Bolt') si possono sentire in TV abbinate a prodotti pubblicitari, la domanda sorge spontanea: qual è la sua reale strada artistica? Bene, nemmeno questo quarto disco HEARTS THAT STRAIN ci darà una risposta esaustiva. (Che brutta copertina!). Bugg ha deciso di partire ancora una volta per gli Stati Uniti, destinazione Nashville. Lì incontra Dan Auerbach con il quale scrive un paio di pezzi e che gli mette a disposizioni i migliori musicisti sulla piazza con una certa esperienza dietro, gli stessi che hanno registrato con lui l’ultimo solista: The Memphis Boys, Bobby Woods, Gene Chrisman . Ne esce un disco intimo e malinconico, costruito esclusivamente su ballate country folk leggere ma spesso dalle atmosfere grevi (‘Hearts That Strain’), quasi soffici con pochissimi guizzi lungo il percorso: a differenziarsi ‘Waiting’ cantata in coppia con Noah Cyrus, sorella della più famosa Miley, un soul costruito su pianoforte e fiati, prima ti imbarazza ma poi ti conquista, e l’up tempo ‘Burn Alone’ comunque lontano da qualcosa che si possa chiamare rock, e qui il tocco di Auerbach si sente. Si viaggia sempre a favore del leggero vento west coast (‘How Soon The Dawn’) che ricorda gli America di metà anni settanta, quelli del periodo George Martin per intenderci, mentre la presenza del pianoforte in parecchie canzoni (‘The Man On Stage’) porta alla mente la musicalità gentile e raffinata di Graham Nash. Se aspettate il guizzo rock’n’roll che segnava i primi due dischi, mettetevi l’anima in pace: non arriverà mai. I giudizi sul disco, facendo un giro nel web, non sono molto entusiasmanti (io non lo boccio ma lo rimando al prossimo, ah? Il prossimo era già questo?), e questo accentuato velo di nostalgia verso il passato che sembra avvolgere le canzoni ha avuto il suo peso nei giudizi, andando a cozzare contro l’ancora giovane età di Bugg. Sembra un settantenne che volge lo sguardo verso il passato. Che ti è successo Jake? Avrai tutto il tempo per queste nostalgie. L’unico consiglio che posso dare è quello di ritornare a sognare l’America avvolto dal grigio delle fabbriche della sua Nottingham, come avvenne all’esordio. Il suo vantaggio però sta tutto lì: davanti ha ancora tanta strada e tanti dischi. Invidiabile e non da tutti.



RECENSIONE: MAGPIE SALUTE-Magpie Salute (2017)
RECENSIONE: ELLIOTT MURPHIE-Prodigal Son (2017)
RECENSIONE: GARLAND JEFFREYS-14 STeps To Harlem (2017)
RECENSIONE: JOHN MELLENCAMP- Sad Clowns & Hillbillies (2017)
RECENSIONE: TAJ MAHAL & KEB' MO'-TajMo (2017)
RECENSIONE: CHRIS STAPLETON: From A Room, Volume I (2017)
RECENSIONE: WILLIE NELSON-God's Problem Child  (2017)
RECENSIONE: DAN AUERBACH-Waiting On A Song (2017)
RECENSIONE: STEVE EARLE & The DUKES-So You Wannabe An Outlaw (2017)

RECENSIONE: BLACKFOOT GYPSIES-To The Top (2017)
RECENSIONE: LEE BAINS III + THE GLORY FIRES-Youth detention (2017)
RECENSIONE: GEORGE THOROGOOD-Party Of One (2017)


martedì 26 settembre 2017

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 46: THE ROLLING STONES (Emotional Rescue)

THE ROLLING STONES- Emotional Rescue (1980)


L’entrata dei Rolling Stones negli ottanta cerca di ricalcare, in tutto e per tutto (ma non sarà proprio così), il successo avuto dal precedente SOME GIRLS uscito due anni prima. Alcune canzoni arriveranno direttamente da quelle prolifiche session di registrazione, anche se le sedute per questo nuovo capitolo, avvenute tra il Pathe-Marconi Studio di Parigi e i Compass Point Studio di Nassau alle Bahamas, non furono da meno tanto da andare a foraggiare, in modo ottimale, il successivo TATTOO YOU. “Ricordo che, mentre stavamo registrando a Parigi, Keith fu irremovibile sulla necessità di lavorare oltre il necessario. Alle quattro di mattina, quando tutti erano ormai distrutti, dopo avere eseguito e inciso alcune tracce, diceva:’Bene, adesso facciamo così…’ Il suo motto a quell’epoca era ‘Nessuno dorme se io sono sveglio’. Erano sedute di registrazione schiavistiche, e lavorammo un sacco.” Scrive Ronnie Wood nella sua autobiografia.
Con un Keith Richards stacanovista, ancora al centro del mirino dopo l’arresto per possesso di droga avvenuto a Toronto nel 1977 che faceva il paio con l’oscuro episodio avvenuto a casa sua nel 1979 ( la morte del diciassettenne Scott Cantrell che si sparò in testa nella camera da letto dove dormivano Anita Pallenberg e Richards, giocando alla roulette russa con una pistola appartenente alla coppia) e impegnato insieme a Ronnie Wood nel nuovo passatempo a nome The New Barbarians, i Rolling Stones registrano EMOTIONAL RESCUE, un disco che mette bene in mostra le due anime della band, quella battente rock di Keith Richards in episodi semplici e diretti con le chitarre in primo piano come ‘She’s So Cold’ (uno dei singoli estratti anche se non andò oltre la 30 posizione nelle classifiche), ‘Summer Romance’, ‘Let Me Go’ e l’energica ‘Where The Boys Go’ e l’anima pop di Mick Jagger, con relativa sbandata disco, che dopo il gran successo di ‘Miss You’ ritenta la carta vincente nel funk d’apertura ‘Dance (pt.1)’ (scritta con Ronnie Wood e con ospite il giamaicano Max Romeo) ma soprattutto nella title track forte di un’interpretazione sopra le righe giocata su un falsetto ammiccante e contagioso e con il ritorno del sassofono di Bobby Keys.
Anche l’amore per il reggae ritorna prepotente in ‘Send It To Me’, a rafforzare la sbandata di Jagger per i ritmi in levare ben rappresentata nell’album BUSH DOCTOR (1978) di Peter Tosh dove i due duettano nel successo ‘Don’t Look Back’. I due episodi più particolari del disco sono l’atipico blues di ‘Down In The Hole’ con l'armonica di Sugar Blue e la ballata country con i fiati mariachi di ‘Indian Girl’, con l’arrangiamento di Jack Nitzsche e con un testo chiaramente politico che indagava tra la miseria dei paesi latinoamericani. Spetta invece a Keith Richards la chiusura del disco con una ballata scarna e malinconica dalla doppia interpretazione: c’è l’amore ma c’è una velata tirata d’orecchie al gemello Jagger, che mette in risalto un rapporto che stava incamminandosi verso i minini storici di sempre. Le litigate erano all’ordine del giorno.
“Una canzone non parla mai di una cosa soltanto, ma in questo caso, se proprio parlava di qualcosa, probabilmente era più che altro su Mick. Alcune frecciatine erano per lui. Era un periodo in cui mi sentivo profondamente ferito.” scrive Richards in Life, l'autobiografia.
 L’album fu premiato dal pubblico (prima posizione in UK e USA) ma presto dimenticato, dagli Stones in primis “Non portammo mai l’album in tour, forse perché troppo stanchi” dirà Wood.
A distanza di tanti anni EMOTIONAL RESCUE rimane un disco piacevole, poco omogeneo e aperto in mille direzioni, senza i grandi classici da ricordare ma perfetto per inquadrare cos’erano gli Stones in quel periodo. Un disco a cui sono molto affezionato: una delle mie prime cassette. Quando dico mie, intendo: scelte da me!



PUNTATE PRECEDENTI
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #18: BOB DYLAN-Street Legal (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #19- CRAZY HORSE-Crazy Horse (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #20-TOM PETTY-Wildflowes/Echo (1994/1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #21-NICOLETTE LARSON-Nicolette (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #22-AMERICA-Silent Letter (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #23-ERIC ANDERSEN-Blue River (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #24-BADLANDS-Voodo Highway (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #25-GEORGE HARRISON-Living In The Material World (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA#26: DAVID CROSBY GRAHAM NASH-Wind On The Water (1975)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #27: DICKEY BETTS & GREAT SOUTHERN (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #28: JUNKYARD-Junkyard (1989)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #29: STEPHEN STILLS (1970)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #30: RITMO TRIBALE-Bahamas (1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #31: SUZI QUATRO-Suzi Quatro (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #32: BADFINGER (1970)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #33:RONNIE LANE'S SLIM CHANCE    One For The Road (1976)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #34: EDOARDO BENNATO- Edo Rinnegato (1990)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #35: GENE CLARK-White Light (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #36: JOHNNY WINTER-Second Winter (1969)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #37: CAPTAIN BEYOND-Captain Beyond (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #38: ROD STEWART-Every Picture Tells a Story (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #39: GEORGE THOROGOOD & DESTROYERS-Bad To The Bone (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #40: THE ROLLING STONES-Their Satanic Majesties Request (1967)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #41: ALBERTO FORTIS (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #42: NOMADI-Gente Come Noi (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #43: CROSBY, STILLS & NASH-Daylight Again (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #44: TERRY REID (River)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #45: JACKSON BROWNE-Running On Empty (1977)

 

domenica 17 settembre 2017

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 45 :JACKSON BROWNE (Running On Empty)


JACKSON BROWNE  Running On Empty (Asylum Records, 1977)






C’è ancora tanta magia da scoprire lungo i solchi di RUNNING ON EMPTY. Anche se i solchi friggono, la puntina a volte salta e ti viene voglia di mettere su il CD, e l’immagine di copertina sul cartone lascia sempre più intravedere la forma circolare del vinile. Tutto mi parla di vita, di anni passati (e sono quaranta!), di tempi all’apparenza sbiaditi ma ancora scalpitanti, di una celebrazione (il concerto) che non ha ancora perso il suo fascino. Della vita che si trasforma in un lungo tour che sai quando inizia ma non quando finisce. Un neverending tour (Dylan la sa lunga!). Ci sono le strade e le grandi città, le stanze d’albergo e i tour bus, ci sono alberghi da tre stelle e motel pessimi, ci sono i palchi e i backstage, ci sono il sole accecante del giorno e l’oscurità silente della notte, ci sono la famiglia e le groupie, ci sono i sogni e le illusioni, ci sono il divertimento e la noia. C’è Jackson  Brown e che registra uno dei dischi live più potenti del rock senza bisogno di chitarre elettriche a palla e pubblico esaltato davanti. Un live fuori dall’ordinario, che prende vita ai margini del palco, nato per strada che racconta la strada, quella principale fatta di serate e pubblico ma soprattutto di strade secondarie, quelle meno battute dove si incontrano le storie più belle ma anche quelle più disperate. è la vita che presenta le sue due facciate, quella pubblica e quella privata. Qui ci sono entrambe. Jackson Browne è democratico nel dare spazio a sue composizioni: l’apertura con l’autobiografica ‘Running On Empty’, un classico all’istante, una folle corsa nel vuoto e nell’incertezza del futuro, il sesso facile in ‘Rosie’, una ballata al pianoforte, poi ancora ‘You Love The Thunder’, The Load-Out’, e brani scritti da amici tra cui spicca ‘The Road’ di Danny O’Keefe guidata dal violino di David Lindley, un inno che non ha ancora perso efficacia, una intima ‘Cocaine’ del Reverendo Gary Davis registrata nella stanza 124 di un Holyday Inn nell’Illinois in un caldo agosto del 1977 con quella sniffata finale che è più potente di un assolo, così come ‘Shaky Town’ di Danny Kortchmar che apre il lato B e l’ariosa ‘Love Needs A Heart’ scritta con l’amico Lowell George. Con ‘Stay’, cover datata 1960 di Maurice Williams And The Zodiacs si chiude il disco, e il falsetto di David Lindley le canta chiare: un invito al pubblico a restare, la vita mica finisce al calar del sipario… E’ la vita on the road di un cantautore ma è anche la mia, la tua, la nostra su questa terra. “Running On Empty/running blind/running Into The Sun/but I’m Running behind”


© Joel Bernstein, 1977


UNTATE PRECEDENTI
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #18: BOB DYLAN-Street Legal (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #19- CRAZY HORSE-Crazy Horse (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #20-TOM PETTY-Wildflowes/Echo (1994/1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #21-NICOLETTE LARSON-Nicolette (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #22-AMERICA-Silent Letter (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #23-ERIC ANDERSEN-Blue River (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #24-BADLANDS-Voodo Highway (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #25-GEORGE HARRISON-Living In The Material World (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA#26: DAVID CROSBY GRAHAM NASH-Wind On The Water (1975)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #27: DICKEY BETTS & GREAT SOUTHERN (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #28: JUNKYARD-Junkyard (1989)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #29: STEPHEN STILLS (1970)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #30: RITMO TRIBALE-Bahamas (1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #31: SUZI QUATRO-Suzi Quatro (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #32: BADFINGER (1970)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #33:RONNIE LANE'S SLIM CHANCE    One For The Road (1976)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #34: EDOARDO BENNATO- Edo Rinnegato (1990)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #35: GENE CLARK-White Light (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #36: JOHNNY WINTER-Second Winter (1969)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #37: CAPTAIN BEYOND-Captain Beyond (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #38: ROD STEWART-Every Picture Tells a Story (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #39: GEORGE THOROGOOD & DESTROYERS-Bad To The Bone (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #40: THE ROLLING STONES-Their Satanic Majesties Request (1967)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #41: ALBERTO FORTIS (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #42: NOMADI-Gente Come Noi (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #43: CROSBY, STILLS & NASH-Daylight Again (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #44: TERRY REID (River)




lunedì 11 settembre 2017

RECENSIONE: MOTÖRHEAD (Under Cöver)

MOTÖRHEAD   Under Cöver (Motörhead Music, 2017)
 
 
 
 
 
Qui dentro non c'è nessuna grande novità, almeno per chi ha sempre seguito la band di Lemmy. Undici cover recuperate e raccolte tra quelle realizzate dalla formazione più longeva a partire dal 1992 fino alla morte di Lemmy avvenuta il 28 Dicembre del 2015, solo pochi mesi dopo la pubblicazione dell’ultimo disco BAD MAGIC. Tutte canzoni che hanno trovato posto nei dischi ufficiali, in compilation e tributi vari. Tutte recuperabili facilmente. La nota negativa sta tutta qui: è il primo disco postumo, si poteva scavare di più tra gli inediti, ma ne sono certo, arriverà presto molto altro.
Tutte canzoni già edite meno una: ‘Heroes’ di David Bowie, l’unico vera novità mai ascoltata prima, una delle ultime registrazioni di Lemmy, Phil Campbell e Mikkey Dee, canzone che Lemmy adorava. Un’omaggio a Bowie che, ironia della sorte, morirà due settimane dopo Lemmy.
Così tra ‘Breaking The Law’ dei Judas Priest, ‘Cat Scratch Fever’ di Ted Nugent, c'è  pure quella ‘Hellraiser’ scritta da Lemmy insieme a Ozzy Osbourne e Zakk Wylde che insieme ad un’altra manciata di canzoni finì nell’album NO MORE TEARS di Ozzy “Feci più soldi scrivendo quelle quattro canzoni per Ozzy che in quindici anni di Motorhead” scriverà Lemmy nell’autobiografia La Sottile Linea Bianca. E poi ancora l’omaggio al primo punk inglese dei Sex Pistols (‘God Save The Queen’) e americano dei Ramones (‘Rockaway Beach’) anche se a riguardo Lemmy aveva le idee chiare “Sex Pistols furono una grande rock’n’roll band ma non molto più di questo. Tra l’altro diedi io delle lezioni di basso a Sid Vicious”. Si pesca tra gli amati Rolling Stones, presenti  con ben due canzoni (‘Jumpin’ Jack Flash’ e ‘Sympathy For The Devil’), un pensiero all'amico Dio con ‘Startruck’ dei Rainbow per l’occasione cantata da Biff Byford dei Saxon, ‘Shoot ‘Em Down’ dei Twisted Sister e una infuocata versione di ‘Whiplash’ dei Metallica (quando i Metallica facevano ancora i Motorhead).
Il disco scorre via in un batter d’occhio così come è sempre successo con i loro dischi. Lemmy scrisse:”Molti mi dicono:’Una volta ascoltavo i Motorhead’, con il sottointeso che, crescendo, non si può più. Bè sono felice che lo dicano perché non voglio dei fottuti adulti tra il mio pubblico. Sono sempre gli adulti che mandano tutto a puttane”. Quindi scegliete voi da che parte stare. Io mi sento ancora (relativamente) giovane.