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mercoledì 8 marzo 2023

BLACKBERRY SMOKE live@Alcatraz, Milano, 7 Marzo 2023




Qualche tempo fa scrissi un articolo sui Blackberry Smoke su una rivista, parlai bene del loro doppio disco dal vivo Leave A Scar. Giorni dopo un mio contatto di Facebook mi scrisse "sentiti responsabile per i soldi che ho buttato". Lasciando da parte quell'accusa che negli anni duemila suona quantomeno gratuita: "ascoltateli prima gratis, non siamo nel 1973" fu più o meno la mia risposta. Non gli erano piaciuti. Questo può anche starci. 
Ecco, però: per me è veramente difficile per chi ascolta rock’n’roll di stampo classico non farsi piacere un live di un gruppo onesto come lo sono i Blackberry Smoke, che non saranno dei fuoriclasse assoluti e da prima pagina, derivativi quanto si vuole, ma che sicuramente sanno come intrattenere un'audience con gusto e mestiere, senza piedistalli o mosse da poser. A Gregg Allman piacevano un sacco, ci si può sempre fidare di lui almeno. Potrei ripetere le stesse parole che usai per descrivere il loro concerto che vidi al Fabrique di Milano nel 2017. Poco è cambiato, Charlie Starr rimane ancora l'unico motore trainante di tutta la band: carisma, voce e chitarra guidano sostanzialmente il gruppo, ecco l'unica mancanza è non avere nella band almeno un altro elemento con lo stesso carisma che possa rivaleggiare ad armi pari e portare quella "sana" rivalità che il rock conosce bene. O porta distruzione o meraviglie, il rischio è dietro l'angolo. Forse i Blackberry Smoke amano poco i rischi. Forse questa è la loro natura. Però da quel 2017 in scaletta in più possono vantare un disco come l'ultimo You Hear Georgia che viene ben saccheggiato (mi è piaciuta particolarmente una 'Hey Delilah' pregna di umori sudisti) e che di fatto è uno dei loro migliori insieme a The Whippoorwill del 2012. Nel frattempo se ne sono andati anche maestri come Tom Petty e Gary Rossington, solo pochi giorni fa, omaggiati, il primo con un accenno di 'Don't Come Around Here No More'. 

Tre chitarre, basso, batteria e percussioni, uno fondale semplice e desertico e due ore di musica che hanno la forza di portarti per un attimo lontano dalla pigra quotidianità: 'Six Ways To Sundays', 'Waiting For The Thunder', 'Pretty Little Lie', 'The Whippoorwill', schitarrate e ballate si succedono che è una meraviglia. 
 Dei Blackberry Smoke ho sempre apprezzato l'onestà musicale, il gusto melodico, la capacità di unire chitarre (tre come piace al southern rock, ecco allora Paul Jackson e Benji Shanks) con quella melodia country pop cara a gruppi come Outlaws e Eagles. Concretezza e poche seghe strumentali anche se nelle loro capacità se solo osassero un po' di più. 
Ritornando all'inizio: per me sono sempre soldi spesi bene, e nemmeno troppi di questi tempi (meno di trenta euro). 






Setlist 

All Over the Road 
Let It Burn 
Six Ways to Sunday 
Live It Down 
Good One Comin' On 
Waiting for the Thunder 
Pretty Little Lie 
Living in the Song 
Hey Delilah 
Sleeping Dogs 
The Whippoorwill 
All Rise Again 
Ain't Gonna Wait 
Ain't the Same 
Ain't Got the Blues 
Run Away From It All 
Restless 
One Horse Town 
Old Scarecrow 
Flesh and Bone 
Ain't Much Left of Me



domenica 19 febbraio 2023

WILLIE NILE live@il Magazzino di Gilgamesh, Torino, 18 Febbraio 2023



Willie Nile è sempre (e ancora) una garanzia di ottima e trasudante passione rock’n’roll. Sia quando seduto al pianoforte (il suo primo grande amore  a cui ha dedicato un disco, il sempre troppo dimenticato If I Was A River), accompagnato dalla chitarra sempre ispirata e ricamata di Marco Limido ("sono fortunato ad avere Marco" ripete spesso Willie), esegue una intensa Across The River da quel debutto incorniciato e appeso tra i dischi della mia vita, sia quando nel finale omaggia i suoi vecchi amici Ramones con Sheena is Punk Rocker agganciata a California Sun accompagnato dai torinesi Wooden Brothers di Renato Tammi che in precedenza avevano aperto.la serata: la "one guitar" di venta la house of thousand guitars che si costruisce le fondamenta sul piccolo palco del Gilgamesh.

Poi per un attimo ho chiuso gli occhi e immaginato a cosa potessero essere i locali newyorchesi in quei fine anni settanta: stasera il Magazzino di Gilgamesh credo proprio sia stata quella cosa lì. Quella dimensione ideale piena di antiche vibrazioni che ti avvicina e non crea barriere. Willie è  lo stesso che divide il palco con Springsteen e Steve Earle ma che poi impegna il suo tempo a stringere mani, fare foto e firmare vecchi dischi mentre lo reclamano al banchetto del merchandising dove presumibilmente continuerà fare le stesse cose. Sempre un grande.




giovedì 12 gennaio 2023

LUCINDA WILLIAMS live@Teatro Lirico Giorgio Gaber, Milano, 10 Gennaio 2023

 


Quando parte 'Blessed', la prima canzone ma dopo poche parole Lucinda si ferma confusa in preda a chissà quali fantasmi, si capisce che sarà un concerto tutto in salita. Fortunatamente il caos mentale (oltre alla deambulazione sofferente lascito dell'ictus che l'ha colpita un paio di anni fa) dura circa un quarto d'ora  infarcito da colpi di tosse, soffiate di naso, strofe e attacchi  di canzoni sbagliate e così anche l'esecuzione della mia tanto attesa 'Drunken Angel' va a farsi "benedire". I suoi bravi musicisti con Doug Pettibone in prima fila cercano di metterci una pezza. A questo punto o va tutto in vacca, ciao e arrivederci, o ci si aggrappa a un miracolo. E qualcosa avviene veramente. Come quelle partite di calcio che si mettono subito male dopo il fischio d'inizio: dopo pochi minuti perdi due a zero e giochi pure in dieci perché un giocatore viene espulso. Ma con il cuore e la caparbietà a fine partita porti a casa un pareggio che vale come una vittoria. Lucinda Williams da metà concerto e soprattutto nel finale rinasce e pareggia ciò che ha fatto, o non  ha fatto all'inizio. La sua voce, a tratti straordinaria, e l'esecuzione di 'Essence', 'Copenhagen', 'Honey Bee' e 'Joy' pareggiano il conto. Dalla truffa al trionfo il passo è stato breve ma sudato. Un po' cone nella vita e stasera Lucinda ce l'ha messa tutta davanti agli occhi la sua vita, le sue debolezze, il suo fisico, il suo cervello e il suo cuore. 

Ecco, io il finale non lo avrei regalato a Neil Young, ma sono particolari e Rockin' In The Free World sembra messa lì come atto simbolico e Lucinda Williams con la mano in alto e le dita a "v" di vittoria con il teatro in piedi è il fotogramma che mi porto a casa di una serata sofferente che verrà ricordata, non come una delle migliori ma una delle più umane certamente.

Setlist

Blessed

Protection

Right in Time

Stolen Moments

Drunken Angel

Lake Charles

Big Black Train

Born to Be Loved

Copenhagen

All I Want

Essence

Pray the Devil Back to Hell

Honey Bee

Joy

Righteously

Rockin' in the Free World



domenica 8 gennaio 2023

THE LU SILVER STRING BAND live@Blah Blah, Torino, 5 Gennaio 2023



Primo concerto del 2023 all'insegna del puro rock’n’roll. Un battesimo ben'augurante, speriamo, con una delle migliori band italiane del settore.

Lu Silver (Luca Donini), una carriera trentennale alla spalle, divisa tra gli Small Jackets che lasciò nel 2010 per intraprendere una carriera solista che a sua volta si divide in due facciate "ma della stessa medaglia" come dice lui. E ieri sera le ha presentate entrambe in un concerto diviso in due set.

La prima faccia, quella "soft rock" del suo album solista Luneliness, frutto del lockdown, è più intimista e legata al folk, al country e a un certo west coast sound anni settanta. Ad accompagnarlo i fidi El Xicano, flemmatico, al basso, il tarantolato Ale Tedesco alla chitarra e Riccardo Bufalini alla batteria. Una maniera diesel per scaldare il pubblico in attesa della seconda faccia rockista ed elettrica. Veloce cambio di batteria ed ecco arrivare la furia di Danny Savanas direttamente dagli Small Jackets.


Un set incendiario quello dei romagnoli che ripercorre l'ultimo album intitolato citando e rubando  dal canzoniere di Neil Young: Rock'N'Roll Is Here To Stay, uscito nel 2020 per la GoDown Records, è il loro secondo disco.

Lu Silver è carismatico e il boogie rock'n'roll che esce instancabile è un treno in corsa che ha poche soste, quando lo fa, si ferma nelle più calde stazioni rock popolate da Faces, Status Quo, Stones, Quireboys, Grand Funk e il caldo southern rock americano. Un set viscerale e vibrante con un pubblico partecipe e pure il sipario per una sorpresa "indigena" sul palco. Torino, "la Detroit d'Italia" come Lu Silver apostrafa la città, ha risposto alla grande.

In scaletta anche 'Hard Road' dell'australiano Stevie Wright "papà non accreditato" degli AcDc e una elettrica e sempre terremotante Ramblin' Rose degli MC 5 posta in chiusura.

Buon 2023!


venerdì 9 dicembre 2022

VOIVOD live@Bloom, Mezzago, 6 Dicembre 2022

 

"Siete leggenda", grida uno dietro di me a fine concerto quando i canadesi a centro palco distribuiscono strette di mano e ringraziamenti a un pubblico caloroso. Sono realmente commossi per l'accoglienza e per come è andata la serata. Lo si capisce dalle loro facce.

Perché i Voivod non frequentino i grandi palazzetti del rock rimane uno dei tanti misteri della musica pesante (e non). Ci sarebbero tante risposte per capire questo mistero ma guardandoli questa sera sul palco, divertirsi come dei ragazzini alle prime armi si capisce tutto, anche che a loro, pur con una carriera lunga quarant'anni piena di attestati di stima da parte di critica e pubblico, interessa solo stare lì davanti  e suonare. La storia e i loro dischi parlano per loro. Non  c'è bisogno d'altro.

E allora mi capita di osservare spesso Michel "Away" Langevin dietro alla sua batteria essenziale e pratica, sorridere in continuazione mentre suona, si diverte ancora una cifra, potrebbe tirarsela come la più celebre delle rockstar e invece puoi incontrarlo dentro ai cessi del Bloom, timido, pacato e riservato. Denis  "Snake" Belanger potrebbe invece essere il compagno di bevute ideale, il mattacchione della compagnia, con la battuta sempre pronta, le mosse da scemo e le smorfie pure, Daniel "Chewy" Mongrain (chitarra) e Dominique "Rocky" Laroche (basso) sono gli uomini affidabili su  cui puoi contare sempre, rispettosi dei ruoli che stanno coprendo e di chi è venuto prima di loro. Denis Piggy D'Amour è stato ricordato, come sempre.


I Voivod hanno sempre avuto uno strano destino, quasi maledetto, che però è sempre stato combattuto, avendone in cambio l'assoluta certezza di essere uno dei gruppi più inimitabili della scena rock. I Voivod hanno avuto il merito artistico di elevare il metal, portarlo in un altra dimensione, a volte troppo avanti ed "intelligenti"per essere capiti ma alla fine dei conti irrangiungibili ed inimitabili.

Hanno elevato il metal, l'hanno complicato così tanto che l'unico modo per presentarlo al pubblico è quello di svestirlo di certi luoghi comuni, di abbandonare certe pose da duri e puri e giocare tutto sulla spontaneità, la generosità e l'umiltà. Ai loro concerti ci si diverte. E poco importa se suonano la vecchissima e tirata Voivod, le nuove canzoni del loro ultimo album Synchro Anarchy (tra i dischi dell'anno come ogni anno che esce un loro disco) o quelle di album epocali come Nothingface, Dimension Atross, Angel Rat o Outer Limits, la loro carriera è sempre stata livellata sull'eccellenza. Non hanno scheletri da nascondere.

Ma poi, chi altri si è impossessato di una canzone dei Pink Floyd ( Astronomy Domine) così bene da farla propria?

Setlist

Experiment

The Unknown Knows

Tribal Convictions

Synchro Anarchy

Iconspiracy

The Prow

Holographic Thinking

Overreaction

Pre-Ignition

Sleeves Off

Astronomy Domine 

Voivod

Fix My Heart




domenica 27 novembre 2022

CLUTCH live@Fabrique, Milano, 26 Novembre 2022



Sono arrivato a casa prima di mezzanotte da un concerto milanese con un'ora e venti minuti di strada che mi separavano da casa. Ecco uno dei motivi per cui questo concerto verrà certamente ricordato. Saliti sul palco alle 20 e 40, scesi alle 22 e 10 e due band di supporto prima (i rimarchevoli londinesi Greenlung) che hanno praticamente suonato in orario di aperitivo, ma quello che dopo ne fai subito un altro perché è troppo presto per andare a cena. Queste sono le notti milanesi. E a una certa età va benissimo così anche se trattati da bambini a cui dopocena viene concesso un bel cartone animato prima di andare a nanna.

Poi ci sono i motivi musicali ma su quelli non avevo dubbi: i Clutch sono una macchina schiacciasassi, pachidermica, che lavora ininterrottamente da trent'anni con la stessa formazione guidata da Neil Fallon, un predicatore folle che celebra i suoi sermoni con voce profonda (a volte pare Screamin' Jay Hawkins) e gesti da vero ipnotizzatore e arringa folle. Difficile scampare al suo indice quando ti punta. Indemoniato canta da dio e non sbaglia un colpo. Niente trucchi e niente inganni però, uniche concessioni extra un campanaccio, una fisarmonica e il theremin usato per 'Skeletons On Mars'. Questa sera ho scoperto pure che beve molto e che dopo quasi ogni canzone cambia chewingum. Starà dentro a quel vasetto di gomme il suo segreto? 


Intorno a lui come due solidi pilastri, fermi e inamovibili, il bassista Dan Maines che sfoggia una t shirt dei Bad Brains e Tim Sult impassibile e perennemente chino sulla chitarra a macinare riff e assoli. Dietro la batteria di Jean-Paul Gaster.

In questo tour europeo la band del Maryland presenta il nuovo album  Sunrise On Slaughter Beach uscito quest'anno.

Che i Clutch non abbiano mai seguito mode durante la loro carriera lo dimostra la scaletta (sempre diversa ogni sera!), un su e giù dove stoner, hard rock, funk, psichedelia e pesante blues si alternano nel nome di un comune denominatore chiamato groove: ecco così 'Burning Beard', le sempre coinvolgenti '50.000 Unstoppable Watts' e 'Earth Rocker', una lontanissima 'Rats', datata 1993 vicina alle nuove 'Slaughter Beach' e 'Nosferatu Madre'. 

Il crossover dei novanta non è mai stato così vicino al blues come succede durante 'D.C Sound Attack!' e 'Electric Worry' proposte nel torrido finale.

Eclettici e credibili come pochi in un mondo dove l'apparire la fa da padone, con la loro semplice basicità emergono come dei giganti e il buon Fallon, impettito e carismatico, dall'alto della sua bassa statura un gigante lo è a tutti gli effetti. 

SETLIST:

Slaughter Beach

Burning Beard

Struck Down

Rats

Sucker for the Witch

H.B. Is in Control

Nosferatu Madre

Walking in the Great Shining Path of Monster Trucks

50,000 Unstoppable Watts

In Walks Barbarella

Skeletons on Mars

Green Buckets

Earth Rocker

The Elephant Riders

Abraham Lincoln

A Shogun Named Marcus

Ghoul Wrangler

D.C. Sound Attack!

Electric Worry

Impetus




mercoledì 2 novembre 2022

PM WARSON live@Blah Blah, Torino, 1 Novembre 2022

Ne ero certo: solo la musica poteva raddrizzare una giornata di festa grigia, oziosa, fredda il giusto e sostanzialmente inutile. Le strade d'asfalto questa sera sono deserte, la nebbia ha coperto tutto quello che poteva avvolgere ai lati per cercare di far apparire i contorni il più possibile uguali a quelli britannici. Mentre la Mole illuminata si staglia tra la nebbia e i portici di via Po quasi deserti, quando entro al Blah Blah, piccolo e intimo, percepisco già dall'atmosfera, dai 45 giri old school messi dal dj, che sarà una serata calda, avvolgente, intima, per me e per tutti quelli che hanno volutamente barattato ciabatte e divano per un paio di comode scarpe che li ha portati fino a qui. Manca solo il fumo delle sigarette come una volta ma di quello se ne fa volentieri a meno. 
PM Warson è un giovane londinese armato di Fender, aspetto da universitario che ne sa, la gavetta dietro e le idee ben chiare su quello che vuole fare: il suo è un r&b, soul che affonda le radici negli anni 50 e 60, che guarda ai grandi classici ma con la testa ben salda nel presente suonando con piglio, raffinatezza e pulizia. Non disdegnando trame blues, rock'n'roll, swing, jazz e surf. Un esordio, True Story (2021) che oltremanica ha fatto gridare al miracolo tutti gli appassionati di northern soul e poi Dig Deep Repeat un seguito che non ha atteso troppo per uscire in questi mesi. La fama poi è accresciuta quando un noto brand d'abbigliamento ha scelto '(Don't) Hold Me Down' per uno spot pubblicitario. Niente di cui montarsi la testa ma si sa le voci girano veloci e tutto fa brodo per far girare il nome. 

La band che lo segue in questa ultima data italiana delle sei fissate, è composta da basso (Pete Thomas), batteria, tastiere (Jack McGaughey), il sax di Meridyth Dickson e la seconda, spesso prima voce femminile della brava Denver Cuss. Viaggiano spediti, precisi, puliti, senza disdegnare del sano divertimento quando si lasciano andare in accelerazioni, in brevi botta e risposta strumentali e accenni free. È in questi momenti che si percepisce il vero divertimento dalle loro espressioni. Tutti bravi, tutti giovanissimi. In mezzo ai pezzi dei due album tra cui spiccano 'Leaving Here', 'Matter Of Time' e 'Nowhere To Go', 'Dig Deep', 'Out Of Mind', ecco anche le cover 'To Be Alone With You' di Bob Dylan, da Nashville Skyline, e 'I Don't Need No Doctor', un classico del R&B portato al successo da Ray Charles, ma io ricordo pure la versione heavy degli WASP. 
Si balla volentieri, si applaude e si vorrebbe che il concerto, delizioso, andasse avanti ancora un po', notte e giorno proprio come 'Every Day (Every Night)', l' ultimo singolo, e canzone che conclude il set e ci congeda nelle mani della nebbia che nel frattempo, là fuori, si è fatta ancora più fitta.






mercoledì 26 ottobre 2022

THE AFGHAN WHIGS live@Santeria, Milano, 25 Ottobre 2022


Gli Afghan Whigs di Greg Dulli sono uno di quei rari esempi di band che dopo la reunion hanno mantenuto lo stesso peso specifico degli anni d'oro. Basta scorrere la scaletta: ben quattordici brani sono estrapolati dagli ultimi tre dischi post reunion. (In Spades rimane il mio preferito). Tanti: non si vive solo aggrappati al passato, benché canzoni come la triade 'What Jail Is Like', 'Gentlemen' e 'Fountain And Fairfax' estrapolate da Gentlemen, disco prossimo ai trent'anni, stasera sono state accolte con entusiasmo. Ci mancherebbe! Che il presente sia importante lo si capisce subito dall'uno due iniziale: 'Jyja' e 'I'll Make  You See God'  (una botta stoner ) dall'ultimo e ancora fresco How Do You Burn? hanno la forza e il potere di stendere e mettere subito in chiaro le cose. Da qui in avanti sarà tutto in discesa con Greg Dulli, presenza sempre "importante", in grande forma vocale (lo disturbano solo i flash "fate tutte le foto che volete ma senza") la chitarra del "Blind Melon" Christopher Thorn sempre ficcante e ispiratissima, il rullo compressore di Patrick Keeler alla batteria, la fedele compostezza unita alla solidità di John Curley al basso e la preziosa presenza di Rick G.Nelson terza chitarra, violino e pianoforte all'occorrenza. 

Gli Afghan Whigs dal vivo non deludono mai e il concerto non ha soste e per intensità ha pochi eguali sulla piazza tra le band loro coetanee. Una botta di adrenalina che spezza la settimana e carica per ciò che resta.

Piace anche la sana voglia di giocare con la musica, calandosi nella mischia della storia da fan del rock'n'roll. Ecco così arrivare omaggi a Bo Diddley ('Who Do You Love?'), Rolling Stones ('Angie'),  una 'Heaven on Their Minds' da Jesus Christ Superstar di Andrew Lloyd Webber  e  l'ntensa e palpabile 'There Is a Light That Never Goes Out' degli Smiths degna conclusione (senza bis, uscite e rientri) di una serata  dove  il loro  'wall of sound" è stato composto e distrutto all'occorrenza seguendo intensità , luci e ombre dei testi scritti da Dulli. Dove  chitarre  ciniche e spietate hanno amoreggiato con  il calore soul. Ipnotici, compatti, cupi ed esaltanti, romantici e spietati come la migliore delle vite. Tutto in una sola serata d'amore.




setlist:

Jyja

I'll Make You See God

Matamoros

Light as a Feather

Oriole

Toy Automatic

Gentlemen

What Jail Is Like

Who Do You Love?(Bo Diddley)

Fountain and Fairfax

Angie (The Rolling Stones)

Algiers

Catch a Colt

I Am Fire

Heaven on Their Minds (Andrew Lloyd Webber)

Somethin' Hot

Please, Baby, Please

It Kills

Demon In Profile

A Line of Shots

John the Baptist

Summer's Kiss

Into the Floor

There Is a Light That Never Goes Out (The Smiths)



domenica 16 ottobre 2022

THE BLACK CROWES live@Alcatraz, Milano, 13 Ottobre 2002

No, Rich Robinson non sorride mai. Lo posso confermare dopo averlo visto davanti a me a pochi metri per un'ora e mezza. Qualche smorfia e qualche occhiata al tecnico del suono. Basta. Nemmeno dopo aver ricevuto i bisbigliati complimenti e una pacca sulla spalla del fratello Chris che gli ha lasciato il microfono per una versione di Oh! Sweet Nuthin dei Velvet Underground che si piazza certamente tra i vertici della serata. Niente. Imperturbabile. A mosse, passi di danza, sorrisi e ammiccamenti ci pensa quindi Chris Robinson, in buona forma e reduce da un non ancora svelato malanno che due giorni fa ha fatto saltare la data di Amburgo poche ore prima dell'evento. Mistero: attendiamo ancora il comunicato ufficiale che mai arriverà.


C'era quindi timore per la data milanese. Timore spazzato via immediatamente dall'inconfondibile schitarrata che mette a tacere James Brown (non si dovrebbe mai fare in effetti) e da inizio a Twice As Hard. 

Devo confessare che i concerti celebrativi per un album mi piacciono poco, tolgono un po' di sorpresa e phatos alla serata. Sai già quel che arriva e quando arriva. Se però quel che arriva si chiamano Seeing Things (altro punto altissimo del concerto) e Thick 'n Thin, che mettono in mostra le due anime della band, allora lo si accetta di buon grado e poi Shake Your Money Maker è un disco perfetto dall'inizio alla fine. Un debutto che pochi possono vantare. Anche se poi il meglio la band l'ha dato nei dischi successivi. Di quel che è venuto dopo però stasera c'è solo un piccolo assaggio: Thorn In My Pride e Remedy da The Southern Harmony and Musical Companion e Wiser Time da Amorica, una inaspettata e divertita Soul Singing (qui si balla come su Hard To Handle) che Chris Robinson deve aver inserito all'ultimo momento visto che prima di suonarla va a parlare in un orecchio a tutti i musicisti e una Good Morning Captain da Before The Frost...Until The Breeze posta in chiusura come bis, in verità poco generoso. Però potrebbe essere un segno di continuità per il futuro...chissà?

Una batteria troppo invadente (certo Steve Gorman manca tanto) e suoni a volumi troppo elevati, chissà forse per compiacere Isaiah Mitchell, seconda chitarra, già abituato negli Earthless, tolgono un po' di fascino alla componente soul del gruppo, rinforzata da due coriste che spesso sono inghiottite dal tutto. Un peccato.


Una parola per gli olandesi DeWolff è d'obbligo. Concerto di apertura sontuoso il loro, tanto che io sarei già andato a casa dopo i loro 45 minuti di hard blues che si fanno bastare un Hammond, una batteria e una chitarra. Da rivedere assolutamente se capiterà.

Sì, l'unica nota negativa se la becca autostrade italiane che mi chiude tutte uscite verso casa: a Milano trovare l'imbocco per Torino è impossibile (di notte c'è chi lavora) e io insieme a tanti giriamo in una gimcana per una buona mezz'ora. In A4 anche la chiusura dell'uscita Carisio mi costringe ad attraversare le risaie vercellesi nel buio più pesto. Solo l'adrenalina post concerto mi è stata d'aiuto. Potere salvifico della musica.



setlist

Twice As Hard

Jealous Again                                             

Sister Luck

Could I've Been So Blind

Seeing Things

Hard To Handle

Thick 'n Thin

She Talks To Angels

Struttin Blues

Stare It Cold

Soul Singing

Oh! Sweet Nothin'

Wiser Time

Thorn In My Pride

Remedy

Good Morning Captain





mercoledì 17 agosto 2022

NEBULA: disco (Transmission From Mother Earth) e concerto Live@Blah Blah, Torino, 4 Agosto 2022

 

NEBULA  Transmission From Mother Earth (Heavy Pych Sounds, 2022)

Transmission From Mother Earth è il settimo album dei californiani NEBULA, il secondo dopo la reunion del 2019. Registrato nel deserto del Mojave, la band guidata da Eddie Glass sembra aver ritrovato l'antica forma. Certo, meno irruenza rispetto agli anni d'oro di To The Center (disco imprescindibile dello stoner anni novanta) ma tutta la maturità che permette di costruire canzoni stratificate, cangianti ('Transmission from the Mothership' alterna riff giganteschi alla melodia) che fluttuano tra psichedelia ('Wilted Flowers'), space rock ('Highwired') e stoner blues ('Existential Blues'), pure rileggendo a modo loro lo spaghetti western (la conclusiva 'The Four Horseman') con l'apice raggiunto nei sette minuti di 'Warzone Speedwulf' che riassume lo status operandi dei Nebula annata 2022, alternanza tra scosse elettriche cariche di fuzz e morbidi trip sopra a tappeti psych che volano alti da terra. Stooges meets Hawkwind. Tra i migliori viaggi lisergici di questa torrida estate (forse dell'anno, chissà chi farà meglio?) che lì vedrà protagonisti in Italia tra pochi giorni per una serie di date certamente da non perdere.


CONCERTO: NEBULA live@Blah Blah, Torino, 4 Agosto 2022

Eddie Glass si presenta sul palco con occhiali da sole e kefiah tirata su fino al naso, come se stesse surfando di notte attraverso la terra e la sabbia del suo deserto del Mojave in California, una tazza di the sul pavimento fa bella mostra di sé accanto alla pedaliera, il batterista Mike Amster indossa la stessa t shirt di Paranoid dei Black Sabbath vista proprio qui quando accompagnò i Mondo Generator di Nick Oliveri e picchia sempre come un fabbro sul ferro, mentre Tom Davies è imponente come il suo basso.

Siamo invece in pieno centro a Torino città, il caldo interminabile di questi mesi è stemperato dall'aria condizionata e dentro al Blah Blah, nonostante le piccole dimensioni, si sta sempre da dio. Ci ho visto tanti concerti in questi mesi. Un set che dura poco più di un'ora per dimostrare quanto l'ultimo album fresco di pochi giorni Transmission From Mother Earth, abbia ridato al gruppo californiano quella centralità che compete loro tra le band stoner più legate al blues psichedelico dei seventies. La copertina del loro primo disco To The Center, invece, in venticinque anni ha guadagnato la vetrina della storia. Difficile scalzarla o solo dimenticarla.

Poche parole, il cantato di Glass non è certamente la loro arma forte, a parlare è sempre la musica. 

Glass guida sempre le danze, la ritmica lo segue con fedeltà anche nelle improvvisazioni e divagazioni.


Si intrecciano riff pesanti, carichi di fuzz e si ondeggia con la testa, con divagazioni space psichedeliche, fumose, acide, si chiudono gli occhi cercando di immaginarsi con una kefiah sulla bocca, surfando tra la sabbia, le rocce, il cielo blu e le stelle sopra. Blue Cheer, Black Sabbath, Hawkwind, Jimi Hendrix e Stooges giocano la loro partita a poker. Glass incassa. 

Forse dieci minuti in più avrebbero fatto la felicità di tutti ma agli artisti va sempre l'ultima parola. Il banchetto del merchandise è ricco, i prezzi ragionevoli (il nuovo disco in cd a dieci euro): si paga anche per uscire, anche se dentro, tra fresco e musica, si sta molto meglio. Però realizzo che domani è venerdì, ed è pure l'ultimo giorno prima delle ferie...




domenica 26 giugno 2022

NASHVILLE PUSSY live@Blah Blah, Torino, 24 Giugno 2022


In una Torino affollatissima e blindatissima intenta a festeggiare il proprio patrono San Giovanni a suon di fuochi d'artificio in Piazza Vittorio, nel piccolo locale di via Po, a pochi passi dall'inferno di un caldo sabato sera, i Nashville Pussy  hanno celebrato l'ennesimo rito rock'n'roll alla loro consueta maniera. Nessun effetto speciale in aria ma solo strumenti, carne e sudore. Persa per strada la componente visiva più sporca e "sessuale" degli esordi (la copertina del debutto Let Them Eat Pussy, 1998, rimarrà negli annali) all'epoca ben rappresentata dalla ex bassista Corey Banks, alla band di Atlanta è rimasto il rock’n’roll che dal vivo, rispetto ai dischi, è ancora una faccenda ruvida, grezza e molto punk. Guidati dalla coppia di fatto formata da Blane Cartwright e Ruyter Suys, i Nashville Pussy continuano a non avere peli sulla lingua, sì insomma per dirla alla loro maniera: Pussy's Not A Dirty Word.

Blane è il solito "zio d'America", poco raccomandabile compagno di bevute e di sbronze, pancia da trucker alcolizzato, voce passata sotto un foglio di carta vetrata, cappellaccio in testa a coprire la pelata che comunque mostra con "orgoglio" e disinvoltura ogni tanto e numeri da monello di terza media in gita: quando toglie le sue sudicie Converse per rimanere scalzo, quando gioca con l'asta del microfono, quando rovescia due bottiglie di Beck's nel cappellaccio da cowboy per poi tracannare il contenuto tutto d'un fiato. Il seno di Ruyter Suys, invece, rimane sempre ben in vista ma schiacciato sotto alla fiammeggiante chitarra, incontrollabile manico della perversione che tanto la trasforma in un indemoniato Angus Young in reggiseno. A completare la formazione la base ritmica formata dalla bassista Bonnie Buitrago, solida e piazzata, un continuo headbanging il suo e dal batterista Dusty Watson, nuovo entrato in formazione, simpatico e metronomo indispensabile per gli altri tre e con un lungo curriculum alle spalle (Dick Dale, Agent Orange, Sonics, Supersuckers, Lita Ford, Rhino Bucket, Concrete Blonde, The Bellrays).


Il concerto è un treno in corsa, tirato e scalciante dove hard rock, punk e una certa attitudine southern si mischiano a sudore, birra di quart'ordine, doppi sensi, allusioni e riff di chitarra. I loro inni perversi li impari in pochi secondi come quando da piccoli si viene attratti dalla parolacce ('Come On, Come On', 'Struttin Cock', 'Gone Home And Die') e dal cadenzato blues "da barbecue" in stile Ac Dc di 'Til the Meat Falls Off the Bone' al veloce punk 'Go Motherfucker Go', il loro inno storico che chiude la serata, il passo è brevissimo. La Suys strappa tutte le corde della sua chitarra e le dona al pubblico. Due piccole bimbe sono davanti al palco, il loro papà ha pensato che stasera un concerto rock'n'roll fosse per loro più interessante dei fuochi d'artificio in onore del patrono che stanno scoppiando nei cieli sopra Torino. E chi li ha solo sentiti? La band apprezza. Le due bimbe torneranno a casa cariche di doni: plettri, bacchette, corde. Per vedere i fuochi d'artificio hanno tutta la vita davanti.





martedì 21 giugno 2022

BLACK LABEL SOCIETY live@Alcatraz, Milano, 19 Giugno 2022




Tanti segni della croce come fosse una lunga processione, dito puntato al cielo quando parte l'immancabile 'In This River' al pianoforte dedicata agli sfortunati fratelli Abbott (che si materializzano sul palco con due gigantografie), barba che non taglia da quel di, kilt d'ordinanza, muscoli in evidenza , pose e rituali da vichingo del New Jersey che fanno contenti i telefonini di tutti (ho visto tanti genitori con figli al seguito. Bene!), cambio di chitarra ad ogni canzone, generosità infinita a fine concerto con doni di ogni sorta lanciati al pubblico. Ecco: forse gli asciugamani neri con i quali  Zakk Wylde si asciuga la fronte per poi darli in pasto ai fan potevano essere evitati in periodi ancora così incerti e con il covid ancora lì alla porta. 



Insomma, un rito che i BLS (John "JD" DeServio al basso, Dario Lorina alla chitarra e Jeff Fabb alla  batteria) officiano senza indugi e senza soste dall'inizio alla fine. Come sempre. L'ultimo album Doom Crew Inc., il più Sabbathiano della carriera e tra le loro migliori cose di sempre, viene presentato con tre brani tra cui quella 'Set You Free', attesa da molti, che pare già un classico fin dall'introduzione alla pari di 'Suicide Messiah' e 'Stillborn' che chiudono la serata. E poi quella 'Whole Lotta Sabbath' che invece introduce il concerto, in grado di dare sempre bene e in modo chiaro le coordinate dell'infinito amore che Zakk Wylde nutre per la musica, anche da inguaribile fan romantico.

E nell'estate dei miei concerti "ignoranti" questo raggiunge il podio un po' come fa Zakk quando sale in piedi sul pianoforte e inizia a suonare la chitarra tenendola dietro al collo, a centro palco Lorina gli tiene testa allo stesso modo. Il duello: il clou della tamarraggine rock.



E poi, fatemelo dire: ma quanto sono belli e più vivibili i concerti estivi con 40 gradi esterni quando si svolgono all'interno di un locale perfetto per la musica live come l'Alcatraz di Milano (il suono, il suono è importante, la vista del palco pure). Condizionatori accesi e la guerra tenuta ben fuori, alla faccia delle prediche di Mario Draghi. 






Setlist

Intro: Whole Lotta Sabbath                                        


Bleed for Me

Demise of Sanity

Destroy & Conquer

Heart of Darkness

A Love Unreal

You Made Me Want to Live

The Blessed Hellride

Spoke in the Wheel

In This River

Trampled Down Below

Set You Free

Fire It Up

Suicide Messiah

Stillborn





mercoledì 11 dicembre 2019

appunti veloci dal WEEKEND. Il disco: THE WHO (Who). Il concerto: MICHAEL KIWANUKA live@Fabrique, Milano, 7 Dicembre 2019

THE WHO  Who  (Universal, 2019)




Eccolo qua: un disco che non troverete nelle classifiche di fine anno compilate troppo frettolosamente. Un po' perché uscire ai primi di Dicembre ti taglia già fuori, si sa, un po' perché, se avete ascoltato tanti dischi avrete trovato sicuramente di meglio. Non lo meriterebbe. Io però la butto lì: i migliori Who dal lontano 1981? (Roger Daltrey in una intervista si è spinto indietro fino al 1973). Non che ci volesse molto, visto che in mezzo ci sono solo It's Hard e Endless Wire, i fanalini di coda della loro discografia. Però non male per un gruppo nato nell'anno in cui in Italia venne inaugurata l'autostrada del sole. Lo stesso anno in cui incontrarono l'artista pop Sir Peter Blake che creò la copertina di Faces Dances qualche anno dopo e pure questa.
La coppia formata da Roger Daltrey e Pete Townshend di strade ne ha percorse così tante che mettere in fila undici canzoni (tre in più nella versione deluxe), senza un tema portante ma in completa libertà, è puro mestiere: uno sa ancora ruggire quando vuole e ho ancora in testa il bel disco con Wilko Johnson ('Ball And Chain' si prende a cuore le condizioni dei carcerati a Guantanamo riprendendo una vecchia canzone di Townshend), l'altro schitarra ancora con fervore ('All This Music Must Fade') e si prende la scena nella sorniona e orchestrale 'I' ll Be Back', uno sguardo indietro ai tempi andati. Certo, quelle vecchie strade vengono percorse un po' tutte: ci sono gli anni sessanta, i settanta, gli ottanta, i synth con i loro pregi e tanti difetti, cori e voci al vocoder abbastanza orribili (e evitabili), la schiettezza pop, e il deja vu è di casa quasi all'angolo di ogni traccia. Le mie favorite sono la leggera ''Break The News', una folk song sostenuta dal sapore molto British e radio friendly e la cangiante 'Rockin' In Rage' un rock teatrale il giusto.
Molto probabilmente questo disco ha la parola fine incisa nell'ultimo solco dell'ultima canzone.
E pensare che il disco si apre con queste sarcastiche parole :"I don’t care, I know you’re going to hate this song”. Bentornati comunque.







MICHAEL KIWANUKA live@Fabrique, Milano, 7 Dicembre 2019

Che crescita Michael Kiwanuka! Ricordo il suo timido e acerbo talento con quegli occhi da cerbiatto davanti al pubblico curioso dei Magazzini Generali nel 2012 ai tempi del suo acclamato debutto, lo ritrovo leone stasera, sette anni dopo, con altri due album pazzeschi nelle tasche, capace di mettere in piedi un concerto incredibile per intensità, bravura, ritmo e scaletta dove il passato della black music amoreggia con ...il presente, con il rock, la psichedelia e nemmeno te ne accorgi, con l'umiltà di chi sa dove arrivare, conquistando lo strabordante pubblico del Fabrique. Il ragazzo è pronto per i palazzetti.
Ecco, se devo trovare un difetto alla serata, il buon Kiwanuka non c'entra nulla: un concerto lo vivi bene quando l'organizzazione ti mette nelle condizioni per farlo.
Sì l'ho vissuto male.
Stasera il locale era invivibile, stipato in ogni buco della sua superficie ben oltre la capienza, tanto che le piazze piene di sardine di questi giorni ci facevano un baffo. Non oso immaginare un possibile piano di evacuazione in caso di emergenza in una simile occasione.
Vabbè, poi c'è il vergognoso contorno tutto italico: prezzi bevande da ristorante cinque stelle, parcheggiatori abusivi delle grandi occasioni che chiedevano 10 euro (10 euro!) per trovarti un posto macchina in zona industriale (mandati prontamente a cagare) e bagarini che continuano la loro opera come il più normale dei mestieri. Ma questi basta ignorarli.
Fortunatamente esiste la musica. Però rispettiamola cazzo!


 

giovedì 28 novembre 2019

An Evening With MANUEL AGNELLI feat. Rodrigo D'Erasmo live @Teatro Display, Brescia, 23 Novembre 2019




An Evening With MANUEL AGNELLI feat. Rodrigo D'Erasmo live @Teatro Display, Brescia, 23
Novembre 2019

metti una serata con Manuel Agnelli
Più di trenta anni di carriera sulle spalle e spesso sento parlare di lui in tv ancora come “nuova musica italiana”. Ha scritto almeno uno degli album fondamentali del rock alternativo italiano, volenti o nolenti, sfido chiunque a ripetere un album di quella intensità (anni novanta ma anche di sempre: Hai Paura Del Buio?), anche se credo che la discografia degli Afterhours almeno fino a Ballate Per Piccole Iene non abbia punti deboli.
Ha suonato negli States accompagnando gente come Greg Dulli e Mark Lanegan ottenendo il loro rispetto (e non è il solito rocker pecoreccio che fuori dai confini italiani non conta nulla), va in TV in un canale di stato a fare cover di Springsteen, Van Morrison, Jackson Browne/Nico, Lou Reed, Nick Drake, Beatles, Radiohead, Pixies, Suicide e qualcuno riesce ancora a trattarlo come l’ultimo arrivato. Lo so che ci siete, vi ho letto qualche tempo fa quando in TV c'era il suo programma Ossigeno.
Passa spesso per antipatico, forse perché è un artista determinato e con una forte personalità, viscerale, che fa scelte, che si sbatte per la musica mettendoci la faccia. Che sia mettere in piede un festival come il Tora! Tora! (ricordate?) o fare il giudice a X Factor.
Uno che divide: o lo ami o lo odi. Però non si può riconoscergli o fare finta di nulla davanti alla sua importanza nel rock italiano degli anni 90, 2000.
Ora sta portando in giro questo spettacolo (An Evening With Manuel Agnelli) intimo, caldo, avvolgente e coinvolgente, fatto di tante canzoni ma anche di poesia, letteratura, aneddoti, accompagnato sul palco dal solo Rodrigo D'Erasmo e da un semplice quando accattivante gioco di luci.
Agnelli sfodera la sua potenza vocale, mai così in luce e in primo piano, il suo bagaglio musicale e il suo essere musicista a tutto tondo: dalle sue canzoni ai Joy Division, da una 'Lost in The Flood' che nemmeno più Springsteen fa così al pianoforte, a un "tributo" a Nick Cave con una toccante 'Skeleton Tree', 'Berlin' di Lou Reed (seguita dai ricordi delle sue disavventure giovanili in Germania) , 'True Love Will Find You In The End' omaggio a Daniel Johnston, passando da Battisti a Lana Del Rey (captata dagli ascolti della figlia). Pochi saprebbero affrontare certi repertori così vari, uscendone vincenti.
E non meno importante: esce la sua simpatia che tocca l'apice nell'aneddoto sul viaggio con Emidio Clementi in India. Già, proprio così.
Se amate la musica è uno spettacolo assolutamente da non perdere (una delle cose più belle viste quest'anno) e forse chissà: se siete tra coloro che non lo hanno mai sopportato potreste anche cambiare la vostra visuale. Non è forse questo il bello della musica? Sorprendere.




mercoledì 11 settembre 2019

ALICE COOPER live@PalaAlpitour, Torino, 10 Settembre 2019



Anche se lo spettacolo horror, i trucchi e le trovate sceniche da luna park sono le stesse di quarant'anni fa adattate al trascorrere del tempo-l'unica novità è quella "normale"divisa azzurra della nazionale italiana di calcio (con il numero 18 e la scriita Cooper sulla schiena)  indossata fieramente nel finale, nonostante si sia sempre professato un fan dichiarato di baseball e golf-non si può certo dire che Alice Cooper abbia portato avanti la sua carriera sedendosi sull'ingombrante passato. In qualche modo ha sempre gestito e cavalcato le mode a suo modo (qualcuna l'ha pure inventata eh): dai primissimi dischi zappiani, al rock di Detroit e il glam dei primi anni settanta, escludendo la brutta parentesi dominata dall'amico/nemico alcol, la rinascita a fine anni ottanta facendo le scarpe all'hair metal losangelino ('Poison' e 'Bed Of Nails' da Trash le più cantate naturalmente), gli anni novanta e duemila cavalcando in sella ai suoni più duri e industrial fino all'ultimo Paranormal da cui estrapolerà la sola 'Fallen In Love'. Uno dei più singolari interpreti del rock che spesso viene sottodimensionato nei quartieri alti del rock'n'roll.
Per questa unica data italiana del tour Ol' Black Eyes Is Back al PalaAlpitour di Torino ci ha dato la prova di tutto questo, ripercorrendo la carriera da cima a fondo anche se i due dischi più saccheggiati rimangono i vecchi Welcome To My Nightmare e Billion Dollar Babies con quattro canzoni a testa. Ad accompagnarlo: il vecchio amico Chuck Garric, un vero rocker quasi d'altri tempi, a torso nudo e con le lunghe basette, le tre chitarre soliste di Ryan Roxie, Tommy Henriksen e Nita Strauss che Alice Cooper presenta come "la miglior chitarrista donna della terra" (finalmente una donna in una band di uomini che non suona il basso e si prende tutta la scena, a volte fin troppo) e la batteria del funambolico Glen Sobel, un prestigiatore delle bacchette. Per tutti loro c'è stato un momento di gloria.
Un'ora e mezza di rock'n'roll alla vecchia maniera e se i primi minuti sulle note di 'Feed My Frenkenstein' mi avevano spaventato, la voce di Alice Cooper non era pervenuta, sistemato il problema tecnico, per il vecchio Vincent Furnier (71 anni) è stato un gioco da ragazzi portare a termine il concerto, facendo cantare e sorridere, provocando, insieme alle tante comparse che animano il castello della scenografia-i suoi eterogenei fan-o lo ami alla follia o lo detesti-formati da vecchi rocker con figli al seguito. Ho visto tanti occhi truccati e pure un boa constrinctor peluche a grandezza naturale avvolto intorno al collo di una ragazza.
Professionalità e mestiere ad altissimi livelli, nessun cedimento armeggiando pugnali, frustini, stampelle e cambiando continuamente abiti di scena. Dollari volanti, bolle di fumo, palloncini colorati sono parte integrante dello spettacolo. Roba da insegnare alle generazioni più giovani di artisti. E poi tanta intelligenza e autoironia. Ecco come si costruisce uno spettacolo rock riuscendo a dare una visione sempre grottesca della società che è poi la stessa di quando iniziò. Nulla è cambiato. Ne guarderei uno a settimana di show come questi.
Naturalmente il momento clou della teatralità si ha su 'Steven' quando la ghigliottina compie il suo rituale di sempre e nel grande finale su 'School Out' che si trasforma in 'Another Brick On The Wall'. La scuola è finita: andata in pace. Spero che tutti abbiano preso appunti. Un altro Alice Cooper non nascerà più.
Una parola anche per i non più giovani (ormai) Black Stone Cherry, band del Kentucky che suona un southern rock ipervitaminico. Coinvolgenti e dinamici anche se ho sempre pensato che non abbiano le "canzoni".
Nota divertente a margine: i Black Stone Cherry davanti a me aprono di potenza con il loro southern metal il concerto di Alice Cooper. Ma la cosa più divertente succede dietro di me. Il chitarrista Ben Wells, zazzera bionda e fazzoletto rosso al collo alla Tom Petty ha una t shirt con un altro faccione biondo stampato sopra. Il tizio dietro di me:"ha la maglia con Nino D'angelo". Naturalmente era la faccia di Tom Petty.
Alla prossima: ritenta, sarai più fortunato.

Setlist: Feed My Frankenstein/No More Mr. Nice Guy/Bed of Nails/Raped and Freezin'/Fallen in Love/Muscle of Love/I'm Eighteen/Billion Dollar Babies/Poison/Roses on White Lace/My Stars/ Devil's Food/Black Widow Jam/Steven/Dead Babies/I Love the Dead/Escape/Teenage Frankenstein/ Under My Wheels School's Out