domenica 30 giugno 2024

RECENSIONE: STEVE CONTE (The Concrete Jangle)

 

STEVE CONTE  The Concrete Jangle (Wicked Cool Records, 2024)


rock'n'roll solo rock'n'roll


Sarebbe veramente un delitto lasciar passare questo 2024 senza nominare uno dei migliori dischi di schietto e spavaldo rock'n'roll usciti in questi mesi. Sappiate che Ian Hunter che partecipa ai cori in una canzone scrive nello sticker che accompagna la copertina:"grandi voci, armonie, arrangiamenti, produzione e chitarre", sembra tutto perfetto per il vecchio Ian! Steve Conte, con una mamma jazzista e battezzato in giovanissima età da un concerto di Chuck Berry, non ha bisogno di troppe presentazioni: chitarra nella seconda vita dei New York Dolls, dell'attuale band di Michael Monroe e di altre decine di artisti con i quali ha collaborato e suonato. In questo disco che esce per la Wicked Cool Records di Steve Van Zandt (anche questa è una garanzia visto i gusti "vintage" del piccolo Steven) che inizialmente fu anche il primo prescelto come produttore ma alla fine ha fatto tutto Conte. Ma le sorprese non finiscono visto che il disco si divide in due facciate abbastanza distinte. Un lato A che vede la partecipazione di Andy Partridge degli XTC come co-autore nelle cinque canzoni che battono la strada del rock'n'roll stradaiolo ('Fourth Of July', 'Hey, Hey, Hey (Aren't You The One)'), del glam dal chorus contagioso ('We Like It'), del power pop ('Shoot Out The Stars') e delle strade più ardite come in 'One Last Bell' con la tromba di Chris Anderson a disegnare traiettorie. La collaborazione con Partridge sembra un sogno che di avvera per Steve Conte, da sempre fan degli XTC: "Andy è il mio eroe del rock 'n' roll e del cantautorato".

Il lato B si apre con uno scatenato omaggio alla musica uscita dalla città di Detroit ('Motor City Love Machine'), una 'Girl With No Name' omaggio al r&b sixties, la melodica 'All Tied Up' sembra uscire dalla migliore stagione del Jersey Sound caro a Little Steven e al suo "capo", ma poi a prevalere sono due esercizi beatlesiani come 'I Dream Her' e 'Decomposing A Song For You' con i suoi fiati che soffiano vento british.

Peccato siano solo 34 minuti perché di sano e vecchio rock'n'roll così non ci si stufa mai. Ottimo disco.






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