sabato 23 agosto 2025

RECENSIONE: KING WITCH (III)

 

KING WITCH   III (Listenable Records, 2025)





re e regina

Una delle poche cose  che mi hanno deluso del concerto d'addio di Ozzy Osbourne e Black Sabbath tenutosi a Birmingham il 5 Luglio scorso è stata l'assenza pressoché totale dei veri figli del suono creato da Tony Iommi e soci. Chessò non c'era nessun rappresentante di gruppi come Pentagram (più che figli quasi gemelli in questo caso), Trouble, Candlemass, Saint Vitus, Cathedral ma neppure della scena stoner degli anni novanta (Kyuss e derivati, Sleep). Certo, troppo di nicchia rispetto ai grandi nomi coinvolti. Tornando alle band dei nostri giorni, su quel palco, invece, ci avrei visto bene gli scozzesi (di Edimburgo) King Witch che a inizio estate sono usciti con III, loro terzo disco uscito a cinque anni dal secondo, che senza ombra di smentite li catapultata tra i grandi della scena doom metal odierna, anche se il genere va un po' stretto visto la loro capacità nell'inglobare certo hard blues di matrice seventies e folk anglosassone.

Nati nel 2015, la band guidata dalla straordinaria cantante Laura Donnelly, dal chitarrista Jamie Gilchriest e dal bassista Rory Lee, sembra aver trovato la propria via in un contesto che parte proprio dai Black Sabbath e via via sale su, inglobando la nuova ondata del metal inglese dei primi anni ottanta, il doom svedese dei Candlemass fino ad arrivare alle band Grunge più legate al metal come Alice In Chains e Soundgarden dei quali rifanno una versione stratosferica di 'Jesus Christ Pose', aggiunta come bonus track. Il tutto condito da liriche per nulla banali legate da un concept  sull'innata capacità di autodistruzione dell'uomo moderno e l'eventuale sua salvezza da cercare nella natura.

Che si tratti di cavalcate stoner doom come l'iniziale 'Suffer In Life' della più veloce e groovy 'Digging In The Dirt', di lente discese negli inferi del doom ('Sea If Lies'), delle più folkie e sognanti atmosfere di 'Little Witch' e 'Behind The Veil', o dei chiaro scuri di una canzone come 'Last Great Wilderness' che con i suoi contrasti tra esplosioni elettriche e melodia mi ha ricordato molto i nostrani Messa, i King Witch non deludono mai. Già, sono proprio i chiaro scuri, ben evidenziati dalla bella copertina a rappresentare, insieme alla duttile voce della Donnelly,  i punti di forza di una band che da ora in avanti può iniziare a fare la voce grossa.





sabato 9 agosto 2025

FANTASTIC NEGRITO live@Festa di Radio Onda D'Urto, Brescia, 8 Agosto 2025

 


Quanti di noi vorrebbero reinventarsi alla soglia dei cinquant'anni. A Xavier Dphrepaulezz la trasformazione in Fantastic Negrito è venuta assai bene e stasera abbiamo avuto l'ennesima testimonianza del suo carisma che oggi ha pochissimi rivali in giro. Concerto che per vari motivi mi è piaciuto più della prima volta quando lo vidi nel 2018, allora era addirittura senza bassista, oggi ne ha una brava e giovane, Lilly Stern, entrata da pochi mesi in formazione ma già inserita  magnificamente in una band schiacciasassi, e lui nelle presentazioni intona scherzosamente:  "abbiamo una ragazza nella band, abbiamo una ragazza". Una macchina da groove che fa del crossover il proprio punto di forza. 

Per diventare Fantastic Negrito ha però dovuto vivere altre diverse vite assai complicate, compreso il risveglio dal coma dopo un incidente, episodio determinante per l'avvio della sua carriera. Complicazioni che senza remore e tanta sincerità ha sempre sciorinato nei suoi testi andando ad incastrarsi con la storia della società vissuta in prima persona e  studiata nei libri di scuola. Basterebbero i suoi ultimi due album per capire il personaggio: in White Jesus Black Problems  del 2022, scavò indietro all' esplorazione delle sue origini, scoprendo che i suoi antenati di settima generazione, siamo nel 1750 in Virginia, furono una serva bianca di origini scozzesi e uno schiavo nero. I due contro ogni logica e legge dell'epoca si amarono. Da qui il concept antirazziale sull'amore universale,  sentimento che invece latita nel suo ultimo disco Son Of A Broken Man dell'anno scorso incentrato sulla sua difficile infanzia con un padre assente che quando aveva 12 anni smise di parlargli e lo cacciò di casa. Tutte cose che segnano. Fantastic Negrito è un performer incredibile: istrionico nelle sue movenze, predicatore quando lancia i suoi messaggi, aizzatore di folle quando coinvolge il pubblico, attore nelle sue messe in scena tra il serio e il comico (la scenetta d'amore con il chitarrista Clark Sims,  l'immancabile cibo italiano), ballerino con i suoi passi di danza, portavoce dei suoi antenati quando intona vecchi gospel. Tra note alte e basse, la sua voce potrebbe cantare qualsiasi cosa e così fa, unendo idealmente il blues nero con quello bianco, Stevie Wonder e i Led Zeppelin. Ricorda l'amico Chris Cornell con belle parole, salito troppo presto in cielo e uno dei primi a credere in lui. In un recente post su Facebook nell'anniversario della morte scrisse: "è stata la prima persona nell'industria musicale a riconoscere ciò che ho fatto. È stato Chris a portarmi in tre tour e a farmi conoscere il mondo. Gli sarò per sempre grato. Sei amato e mi manchi, fratello Chris Cornell". 


Cita musicalmente 'Stand' di Sly And The Family Stone e 'War Pigs' dei Black Sabbath. Unisce mondi sonori apparentemente distanti con una naturalezza disarmante, impartendo lezioni su come ci si deve comportare e muovere sopra a un palco. Gli riesce tutto decisamente facile ma forse solo perché la musica si è impossessata del suo esile corpo e di uscire non ne ha proprio voglia. A noi non  resta che goderne e ballare fino alla fine, perché sotto i colpi di funky ('Bullshit Anthem', 'California Loner'), Motown sound, blues ('Son Of A Broken Man'), rock’n’roll ('Plastic Hamburgers'), vecchi traditional ('In The Pines') è davvero difficile stare fermi e non lasciarsi contagiare. Dopo quasi due ore di musica ne vorresti ancora.

Ad aprire la serata CEK AND THE STOMPERS. Loro giocano in casa e il pubblico è quello delle grandi occasioni. Che si suoni al piccolo bar sotto casa o davanti al pubblico numeroso di un festival, al Cek, che ormai non ha bisogno di presentazioni, importa poco, perché il suo blues arriva sempre e comunque con sincerità e vigore e questa nuova formazione con la quale ha registrato l'ultimo album Mr.Red, gli consente di aggiungere nuove sfumature alle sue canzoni, ampliando la tavolozza del suo blues sempre ruspante, genuino e vero. Personaggio unico e non replicabile. 

Una serata a dir poco perfetta.





giovedì 7 agosto 2025

RECENSIONE: JOE BONAMASSA (Breakthrough)

 

JOE BONAMASSA  Breakthrough (J&R)






canzoni

Joe Bonamassa ha fatto un gran bel disco di canzoni, orbitanti intorno al blues ('I'll Take The Blame', 'Life After Dark' ): southern ('Breakthroug', 'Drive By The Exit Sign'), hard ('You Don't Own Me'), soul ('Broken Record'), funk ('Trigger Finger'), tenute insieme dalla melodia ('Shake This Ground', 'Pain's On Me'), suonate e cantate con gusto, con la chitarra sempre al servizio della canzone. Punto.

Serve altro alla musica? Certo ma a volte bastano le canzoni. Con buona pace dei puristi del blues con il manico sempre puntato per giudicare.

Dieci canzoni belle su dieci. Di questi tempi non è così scontato trovarle in un disco intero. Canzoni che non faranno la storia di nulla ma che rimetti su con piacere.

E non sono affatto un suo fan. A parte il progetto Black Country Communion ho solo un paio di suoi vecchi dischi. I primi. E di album ne ha fatti parecchi.

Sarà quell'aspetto da banchiere che passa le serate a suonare al pub sotto casa con gli amici, così poco rockstar maledetta, così poco bluesman del Delta, ma le ragioni per cui è così tanto odiato non l'ho mai capite e mi sembrano sempre un po' buttate lì a caso. Ma proprio l'odio in musica non l'ho mai concepito, casomai l'indifferenza, quella sì. Se passati i quaranta sei ancora lì a gridare il tuo odio per artisti e band, forse qualcosa è andato storto nella tua vita o forse sei rimasto fermo a quella fase post adolescenziale dove difendevi i tuoi ascolti esclusivi e di nicchia lontani da ciò che usciva dalle radio mainstream perché faceva figo non allinearsi troppo alla massa. Vorrai mica sporcarti? Poi certe cose dovrebbe passare. Perché se si arriva a odiare un artista di solito è perché lo si ritiene sopravvalutato (rispetto a chi?), o perché è troppo famoso o ha canzoni che escono da ogni parte. Joe Bonamassa ha l'unica colpa di fare tanti dischi ma è un music addicted (pure collezionista di strumenti), devoto fan di chi è arrivato prima di lui, come noi del resto. Uno che vive di musica ventiquattro ore su ventiquattro. Come noi del resto. Breakthrough è un bel disco.





sabato 2 agosto 2025

OZZY OSBOURNE: i DISCHI solisti dal migliore al peggiore


Ecco: se ascolto musica una parte di merito devo darla anche a quest'uomo. Perché se hai dieci anni e ti si para davanti l'assurda e pacchiana copertina di Speak Of The Devil un po' di curiosità nello scoprire cosa nasconda dentro ti assale. Da lì sbatti contro i Black Sabbath e tutto diventa una discesa...e poi, sinceramente, come si può voler male a "un ragazzino della classe operaia di Aston che ha lasciato il lavoro in fabbrica e ha cercato di spassarsela" come dice lui.

C'è chi porta avanti il neverending tour e chi in più di trent'anni ha annunciato tanti no more tour. Il primo nel 1991 fortunatamente non lo fu, fortunatamente anche per me visto che mi ha permesso di vederlo, anche se solo due volte: nel 1995 nel tour di Ozzmosis e nel 1998 con la reunion dei Black Sabbath. Certo avrei preferito stare sotto il palco nel 1973 e nel 1981 ma va bene così.

Mi sono divertito a stilare la classifica di merito dei suoi dodici album in studio. Siete invitati a dire la vostra. Se volete.


1- BLIZZARD OF OZZ (1980)

Gioca ad armi pari con i suoi ex compagni che puntano tutto su R. J. Dio e porta a casa un pareggio, forse pure qualcosa in più.

"Sparerei una stronzata se dicessi che durante le registrazioni di Blizzard non mi sentivo in competizione con i Black Sabbath..".

Il jolly lo pesca reclutando il giovane Randy Rhoads dai Quiet Riot. Da qui in avanti chiunque suoni pesante dovrà fare i conti con quel chitarrista. Nove canzoni perfette: da 'I Don' t Know' a 'Steal Away' passando da 'Crazy Train', 'Mr. Crowley', la discussa 'Suicide Solution' e la ballata 'Goodbye To Romance'.

2 - DIARY OF A MADMAN (1981)

Per me di poco sotto al debutto per il numero di canzoni da ricordare, ma Randy Rhoads nella lunga, intricata ed epica title track tira fuori tutte le sue influenze classiche ed è a livelli altissimi. Qualcuno preferisce questo al debutto, certamente la qualità e l'ispirazione sono immutate. Quelle del periodo d'oro che però sembra svanire in un solo colpo.

È il periodo della leggenda del pipistrello sul palco ma anche i giorni (il 19 Marzo 1982) che si portano via Randy Rhoads vittima di un assurdo incidente in volo. Sarà dura sostituirlo. "You Can't Kill Rock'n'Roll".

3 - NO MORE TEARS (1991)


Il disco della maturità anni novanta che alterna ballate (il grande successo di 'Mama, I' m Coming Home' passa anche attraverso Mtv) a momenti heavy come 'I Don' t Want To Change The World". "Cioè non puoi andare avanti ad oltranza con cose tipo sangue alla bocca…".

Melodia e chitarre. Zakk Wylde lascia il segno, Lemmy Kilmister la firma su alcuni brani. Il tour che seguì viene annunciato come l'ultimo della sua carriera. Naturalmente non fu così.

4 - THE ULTIMATE SIN (1986)

Ozzy, in quel periodo perso tra mille paranoie personali e cause legali (il suicidio di un ragazzo legato a 'Suicide Solution' più Bob Daisley e Lee Kerslake che pretendevano i loro soldi), non lo cita nemmeno nella sua biografia ma The Ultimate Sin è un disco di canzoni heavy, snelle e perfettamente incastrate in quegli anni ottanta segnati dai capelli cotonati. Secondo disco con il chitarrista Jake E. Lee e con un paio di canzoni da ricordare come 'Shot In The Dark' e 'Killer Of Giants'.

5 - OZZMOSIS (1995)

Un disco scuro e dark, pieno di ottime canzoni: 'Perry Mason', 'Thunder Underground', 'See On The Other Side', 'Old LA Tonight'. In formazione anche il vecchio amico Geezer Butler al basso, preludio alla prima vera reunion dei Black Sabbath dopo il Live Aid del 1985.

6 - BARK AT THE MOON (1983)

Il difficile compito di sostituire il povero Randy Rhoads spetta a Jake E. Lee ma rimanere ai livelli dei primi due dischi è difficile. Più melodico ma con la title track che da qui in avanti non mancherà nelle Setlist live. Già, proprio il seguente tour con i giovanissimi e affamati Mötley Crue lo vedrà protagonista di ogni possibile eccesso.

7 - NO REST FOR THE WICKED (1988)

Il fiuto di Ozzy tira fuori dal cilindro un altro guitar hero: Zakk Wylde. Un biondo chitarrista amante del southern rock e dai suoni pesanti. Manca l'ispirazione migliore ma 'Miracle Man' non le manda a dire. Ozzy entra in un periodo nero di riabilitazione dal "demone alcol".

"Avevo 40 anni e il mio organismo cominciava a perdere colpi".

8 - PATIENT NUMBER 9 (2022)

Ozzy ci canta e ci annuncia la sua fine da almeno trent'anni salvo poi dirci che è "immortale" come canta in in questo ultimo disco, uscito a due anni di distanza da Ordinary Man, che già era stato annunciato come ultimo disco. Quindi, regola numero uno: Ozzy, fottiti, io non ti credo più. Regola numero due: in qualunque condizioni abbia registrato queste ultime canzoni (tanti aiuti alla voce presumo) godetevele. Più heavy, moderno e compatto del precedente Ordinary Man, che giocava con il pop. In produzione (ma anche musicista presentissimo) sempre Andrew Watt che secondo me si diverte un mondo. Tanti gli ospiti tra cui spiccano Eric Clapton, Tony Iommi e Jeff Beck.

9 - DOWN TO EARTH (2001)

Il seguito di Ozzmosis, suoni pesanti e dietro una superba band con Mike Bordin (Faith No More) alla batteria, Robert Trujllo (Suicidal Tendencies) al basso e l'immancabile Wylde. È il momento della serie TV "The Osbournes". Ozzy diventa quasi una macchietta ma la sua popolarità travalica i confini musicali.

10 - ORDINARY MAN (2020)

Un "all right now" gridato come ai vecchi tempi, poi la sua inconfondibile risata malefica. Ordinary Man, a dieci anni dall'ultimo disco, inizia nel segno della tradizione. Tanti richiami al passato ('Under The Graveyard') e la commovente title track che sa di testamento, una ballata al pianoforte che da Ozzy Osbourne abbiamo già sentito tante altre volte. La grande differenza qui la fanno il pianoforte e la voce dell'ospite sir Elton John e l'assolo di chitarra lasciato da Slash.

11 - BLACK RAIN (2007)

Un disco di mestiere che arriva a sei anni dal precedente e con la fama all'apice grazie agli Osbournes. A parte i testi che sembrano gettare lo sguardo su quello che sta succedendo nel mondo, guerre, inquinamento, ecologia in testa, suona tutto troppo perfetto e a parte 'I Don' t Wanna Stop' difficile ricordare altre canzoni memorabili.

12 - SCREAM (2010)

Per dieci lunghi anni è rimasto l'ultimo suo album. Con il chitarrista greco Gus G al comando e l'aiuto di Kevin Churko in fase di composizione. Mestiere, modernità e qualche acuto ('Let Me Hear You Scream'). Rimane il disco che ho ascoltato di meno. Chissà, in attesa di essere rivalutato un giorno.


Ph: Paul Natkin