domenica 7 gennaio 2024

RECENSIONE: UNCLE LUCIUS (Like It's The Last One Left)

 

UNCLE LUCIUS  Like It's The Last One Left (Boo Clap Records/Thirty Tigers, 2023)



l'ambizione che porta lontano


Non ci sono limiti questa volta, stiamo esplorando diverse aree della musica roots americana, e lo stiamo facendo a modo nostro. C'è una nuova prospettiva che deriva dall'allontanarsi da qualcosa per un po' e poi ritornarci. Puoi vederlo con occhi nuovi." Così Kevin Galloway, chitarra e voce,  racconta il ritorno degli Uncle Lucius.


Nati oltre vent'anni fa in Texas, con quattro dischi in carriera, cinque anni fa gli Uncle Lucius annunciarono lo scioglimento. Ma si sa, le cose buone sono difficili da distruggere, capita così che la loro carriera venga riportata in superficie e rilanciata da una serie TV come Yellowstone che usa una loro canzone nella colonna sonora e al giorno d'oggi le serie tv dettano legge anche nel mercato discografico. Il risultato sta tutto qui, in questo splendido disco del ritorno che vede la band alle prese con delle canzoni di rinnovata speranza e un suono mai così compatto ma allo stesso tempo vario. Nel frattempo il vecchio bassista Hal Vorpahl si chiama fuori pur essendo ben presente come produttore, musicista e in fase di scrittura, mentre la band viene rimpolpata con un nuovo bassista e un nuovo chitarrista.

Kevin Galloway che nel frattempo ha fatto uscire lavori solisti, guida la band con la sua voce greve e soul tra  territori americani amici (le antiche lezioni di CCR, The Band e Little Feat non sono disimparate) e oggi come oggi poche band posseggono la capacità di passare con disinvtura dal soul stile Muscle Shoals dell'apertura 'Keep Singing Along' alle esplosioni chitarristiche del southern rock di 'Trace My Soul' o all' hard rock’n’roll di squadra con inflessioni gospel di 'Holy Roller' con percussioni (Josh Greco), Hammond (Jon Grossman) e la chitarra di Mike Carpenter in primo piano.

Se 'Civilized Anxiety' batte territori bayou cari a quel genio di John Fogerty, 'I'm Happy' è una border song che avanza sorniona a ritmo di valzer e 'All The Angelenos' una festosa disamina sull'invasione dei californiani nel loro Texas con il violino ospite di Cody Braun dei Reckless Kelly, a stupire è il suono ampio e maestoso di canzoni come 'Heart Over Mind' e 'Tuscaloosa Rain' che con i loro arrangiamenti d'archi costruiscono un suono non distante da quanto insegnato da maestri di architettura sonora quali Burt Bacharach e Glen Campbell.

Il disco certamente più ambizioso della loro carriera che però  continua a mantenere le vecchie radici degli esordi senza disdegnare nuove interessanti strade per il futuro.





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