giovedì 9 dicembre 2021

RECENSIONE: NEIL YOUNG & CRAZY HORSE (Barn)

NEIL YOUNG & CRAZY HORSE   Barn (Reprise, 2021)


too old to rock'n'roll, too young to die

Guardando spezzoni del documentario girato da Daryl Hannah che racconta come è nato Barn si è colti immediatamente da uno strano effetto di amarcord che sembra riportare indietro le lancette al retro copertina di Harvest: siamo nel 1972, la foto dai toni seppia scattata da Joel Bernstein ritrae Neil Young e i suoi musicisti, in quell'occasione erano gli Stray Gators, dentro al fienile del suo ranch dove il disco fu imbastito. Una rapida fuga nel presente ci mostra quattro ultra settantenni a colori (Neil Young 76, Billy Talbot e Ralph Molina 78, Nils Lofgren, il più giovane con i suoi 70) che invece di ritrovarsi dopocena al bar sotto casa per una briscola e un bianchetto, si ritrovano in una stalla dispersa tra le Montagne Rocciose del Colorado insieme al co-produttore Niko Bolas (che insieme a Young forma l'accoppiata Volume Dealers) per lasciarci l'ennesima testimonianza della loro consolidata unione artistica.

"Un fienile costruito per replicare il fienile del 1850 che era crollato esattamente nello stesso posto, in alto tra le montagne del Colorado. È una replica esatta dell'originale, costruita con pini Ponderosa da Ted Moews e dal suo grande equipaggio di artigiani” fa sapere un convinto e orgoglioso Neil Young. 

Sembrano divertirsi ancora tanto con gli strumenti in mano, suonando sotto l'influsso di una luna piena già alta e abbagliati dai tramonti da cartolina che appaiono all'orizzonte tra i lineamenti delle montagne. E poco importa se le grandi canzoni le hanno già scritte e suonate trent'anni fa, quaranta o anche di più, lo spirito sembra essere sempre lo stesso: il ciclo della natura che li circonda e la strana umanità che cerca di impossessarsene nei modi peggiori che ha a disposizione. 



"Questi sono tempi nuovi, con nuove canzoni e sentimenti dopo quello che il nostro mondo ha passato e continua ad affrontare. Questa musica la stiamo facendo per le nostre anime. È come l'acqua dolce in un deserto. La vita va avanti"racconta Young.


E non è passato molto tempo dal precedente Colorado, il primo disco con i Crazy Horse senza la chitarra di  Poncho Sampedro da molti anni (il vecchio Poncho ha dignitosamente scelto la pensione alle Hawaii), sostituito per l'occasione dal sempre duttile Nils Lofgren, un ritorno, quasi una staffetta, che però ha portato nuove soluzioni musicali all'interno della band. 

Nonostante il disco sembri rilasciare odore di paglia, sterco e fumo, lo sguardo di Neil Young è spesso proiettato fuori verso la strada, a questi due anni di pandemia. Nell'iniziale 'Song Of The Seasons' lo si capisce bene ("guardando attraverso questa finestra di vinile trasparente, la città e le sue luci, persone mascherate che camminano ovunque"), una canzone acustica rafforzata dalla fisarmonica di Lofgren e che troverebbe la sua collocazione ideale in album come Comes A Time o Harvest Moon. Invece è qui, testimonianza di una delle due facce musicali su cui Young ha costruito tutta la carriera. Quella acustica, replicata dalla finale 'Don' t Forget Love' al pianoforte e da un coro quasi sussurato e dal ciondolante country a ritmo di valzer 'They Might Be Lost', amara riflessione sul tempo che passa portandosi via dei pezzi importanti  e quella elettrica che qui culmina negli otto minuti di 'Welcome Back', palestra per tutta la band ma con le due chitarre a dialogare in un' atmosfera di costante tensione, quasi mistica, ma in tutta rilassatezza. Effetto delle pillole psichedeliche? 

Non sono da meno l'assalto rumoroso di 'Human Race', consueta e immancabile canzone ecologista, l' honky tonk sbilenco e zoppicante con fisarmonica e pianoforte di 'Change Ain't Never Gonna' e il garage rock di  'Canerican' dove Young sostiene con forza la sua seconda cittadinanza, quella statunitense, avuta alla faccia dell'allora odiato presidente Donald Trump. 

Ma ci sono anche cose più intime e personali come l'altro honky tonk blues 'Shape Of You', lettera d'amore rivolta alla compagna Daryl Hannah, il pianoforte saltellante che accompagna la vita che passa in 'Thumblin Thru The Years' e uno sguardo malinconico verso l'adolescenza cercando i "bei vecchi tempi" nascosto tra le sferraglianti chitarre di 'Heading West' "una canzone su di me e mia madre e quei tempi di crescita. È così bello ricordarla in questo modo!” e dove canta "ero quasi adolescente, mamma e papà si separarono, mio fratello rimase quando partimmo quel giorno, dirigendosi a ovest per trovare i bei vecchi tempi". 

Barn è un disco che non aggiunge nulla alla storia musicale di Neil Young  ma è una testimonianza vitale di un artista instancabile che vive con passione il presente, alla sua maniera, con semplicità, a volte con disarmante ingenuità, in maniera raffazzonata (molte canzoni sembrano tranciato sul più bello), immerso nella natura, circondato da animali, caminetti scoppiettanti (ricordate le sue suonate in pieno lockdown?) ma sempre proiettato nel futuro anche se i suoi infiniti archivi che ci sta donando a più riprese (in verità costosi per le tasche dei fan) potrebbero far pensare il contrario. 

Anche il 2021 passerà alla storia come un altro "anno del cavallo". E a noi, in fondo, va bene così, vero'? È sempre bello ritrovare un vecchio amico.







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