venerdì 16 novembre 2018

RECENSIONE: RED DRAGON CARTEL (Patina)

RED DRAGON CARTEL   Patina (Frontiers Records, 2018)





 Chissà quanto deve essere stato pesante per uno come Jake E. Lee prendere il posto dell'amatissimo Randy Rhoads nella band di Ozzy Osbourne? Un sodalizio che durò poco più di tre anni, il tempo di cavarsela bene e incidere due dischi (Bark At Moon nel 1983 e The Ultimate Sin del 1986) e poi la rottura, ancora avv...olta nel mistero anche se il famigerato telegramma di licenziamento ha un mandante ben preciso: Sharon Osbourne. Poco male perché il chitarrista di Norfolk, Virginia, ebbe modo di inseguire la sua voodoo highway con il supergruppo Badlands insieme al mai troppo compianto cantante Ray Gillen, un talento durato troppo poco. Un gruppo che in due dischi, più uno postumo, lasciò impronte di genuino hard southern blues, anticipando il revival seventies che prese piede negli anni novanta. Da lì in avanti le mosse di Jake E. Lee si fanno sempre più rade tanto che la polvere del tempo ne ha coperto le impronte principali. Solo nel 2014 sembra ricomparire timidamente con un nuovo progetto: i RED DRAGON CARTEL. Se il debutto era ancora confuso, costruito su vecchie canzoni scritte in precedenza, e vedeva impegnati diversi cantanti e tanti ospiti, con il secondo PATINA, la band inizia ad avere una personalità ben precisa, a lavorare in squadra. Sono della partita oltre al chitarrista: il cantante Darren Smith, il batterista Phil Varone (Saigon Kick) e il bassista Anthony Esposito (Lynch Mob). Un album vario, anche se la produzione perfetta e moderna toglie un po’di calore, dove ai momenti più heavy che ricordano l'epoca grunge (‘Speedbag’, ‘Crooked Man’) si contrappongono i momenti più bluesy: se ‘Havana’ si candida come canzone dal riff più groovy e accattivante dell’anno, ‘The Luxury Of Breathing’ e ‘‘My Beautiful Mes’ contengono fumosi semi psichedelici, mentre ‘A Painted Heart’ è una semi ballad in grado di spostare l’ago della bilancia verso il segno positivo. Così come la finale ‘Ink And Water’ che lo stesso chitarrista dichiara essere influenzata da David Bowie.
“Per questo album, sono tornato alle mie radici. Mentre scrivevo l'album stavo ascoltando un sacco di Bowie, e un sacco di cose con cui sono cresciuto da ascoltatore, cose che hanno avuto un impatto enorme su di me”.
Peccato per una copertina non troppo accattivante che attira poco e mal rappresenta il disco. Bentornato Jake.









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