Ci sono concerti che vorresti non finissero mai e quello di Elliott Murphy con la sua Murphyland Band composta dall'inseparabile e bravissimo Olivier Durand alla chitarra acustica ma che ferisce come un'elettrica, la dolce Melissa Cox al violino e Alan Fatras al solo Cajun e scarne percussioni ma che sembra avere davanti un set completo , è uno di quelli, seppur di suo sia durato quasi due ore e mezza. Il Druso di Bergamo è pieno (oltre che accogliente e intimo), perché uno come Murphy lo merita come è pure vero che anche la sua carriera avrebbe meritato il "pieno" e in generale più attenzione di quanto ne abbia avuta e ricevuta. Chi conosce i suoi dischi sa che difficilmente ha deluso (soprattutto i suoi anni settanta non sono inferiori a nessuno) e stasera è qui a presentarci l'ultimo Infinity che ha pochissimi mesi di vita ('Makin' It Real' e 'Baby Boomer Lament' quelle suonate più il nuovo video in bianco e nero di 'Night Surfing' proiettato prima del concerto).
È un viaggio coinvolgente e trascinante con il sorriso sempre pronto e la voglia di divertire e divertirsi (cosa che traspare dai volti dei musicisti), un giro completo intorno alla sua Murphyland che ci ha portato dalla Cadillac di Elvis a Lou Reed ("c'è il tuo amico Louis al telefono" gli diceva sua madre storpiando il nome. Cose da newyorchesi), dal suo primo sbarco in Italia nel 1971 a Roma dove ebbe un piccolo ruolo con Fellini al suo amico Springsteen del quale fa l'imitazione e nei bis propone 'Better Days'. Tutto il pre concerto è stato dedicato alla visione del breve film sulla crociera "springsteeniana" Born To Cruise svoltasi in primavera a cui lo stesso Murphy ha partecipato.
Da angelo biondo e ribelle di Long Island ad antico e saggio troubadour dei tempi moderni. Partito dalla New York degli anni '70 e arrivato in Europa nel 1989, non se n'è più andato, conquistato da Parigi, costruendosi un seguito di fan affezionati e devoti. Amore contraccambiato con l'assegnazione a Murphy della prestigiosa Medaille de Vermeil de la Ville de Paris da parte del primo cittadino parigino. Dopo Parigi è l'Italia la sua terza casa.
Murphy ha storie da raccontare con ironia e tanta autoironia (scherza sul trascorrere del tempo: "una volta nel backstage c'era di tutto e di più, alcol e groupie, ora integratori, defibrillatori e viagra") e in musica ha una manciata di canzoni da knock out disseminate lungo più di cinquant'anni di carriera che cerca di sintetizzare toccando vari punti della sua discografia, dall'iniziale 'Drive All Night' condotta in solitaria con Durand ad accompagnarlo alla finale 'Rock Ballad,' passando dalla tittle track dell'omonimo Just A Story From America (1977), le canzoni dello splendido Night Lights (1976) con 'Deco Dance' e 'You Never Know What You're In For', disco che non aveva nulla da invidiare a Born To Run, fino ad arrivare a 'Sonny' da Beauregard (1998), una splendida 'Green River', una sempre toccante 'On Elvis Presley's Birthday da 12' (1990) e le più recenti 'Alone In My Chair' da Prodigal Son (2017), 'Consequential' e 'Sunlight Keeps Falling' da Wonder (2022).
Murphy, rimane ancora un cantautore d'altri tempi, un dandy del rock che fa ancora della poesia in musica un vanto ed una ragione di vita, lontano dai grandi circuiti che contano ma sempre più vicino ai cuori e all'anima. La partecipazione del pubblico e la forte empatia creata hanno detto tutto. Durante il festaiolo medley finale nessuno è rimasto fermo.
Allora è stato bello chiudere fuori questo brutto mondo per un paio di ore e rifugiarsi dentro a Murphyland," il posto dove tutti vorremmo stare" e dove "Louis Armstrong canta Hello Dolly" come cantava, il luogo dove poter realizzare i propri sogni, il posto da perseguire fin dalla giovane età, superando gli ostacoli e gli incontri "sbagliati" o salvifici della vita. Lo ha creato Elliott Murphy. Ieri sera eravamo tutti invitati e credo nessuno sia uscito deluso. Intanto all'uscita ci aspettava la pioggia.
"A Hard Rain's A-Gonna Fall" cantava Dylan ma stasera si torna a casa in tutta leggerezza.