giovedì 30 aprile 2020

RECENSIONE: WITCHCRAFT (Black Metal)


WITCHCRAFT  Black Metal (Nuclear Blast, 2020)






soundtrack del periodo.handle with care

Con un titolo che potrebbe far scappare chi potrebbe apprezzare veramente il disco e avvicinare chi forse alla fine non gradirà, tornano gli svedesi Witchcraft, la creatura vintage di Magnus Pelander, che mai come in questo Black Metal è la sua creatura, visto che c'è solo lui dietro alle sette canzoni. Una provocazione quel titolo (no niente Venom qui dentro) meglio concentrarsi sul candore della copertina per trovare la chiave di lettura di queste sette composizioni minimaliste, ripulite di ogni traccia elettrica, ogni fuzz, che abbandonano doom, hard rock, stoner e psichedelia per abbracciare in toto il folk con litanie acustiche che sprofondano con garbo nella tristezza più assoluta, nei rimpianti, nella solitudine pur suonando grezze e poco lavorate in studio quasi per dare più autenticità al messaggio di disperazione. Dimentichiamo tutto ciò che era il suono della band nei dischi precedenti (l'ultimo uscito quattro anni fa), perché questa volta Pelander posiziona la sua emotività tarata in basso nelle corde di una chitarra acustica, nei tasti di un pianoforte appena accennati ('Sad Dog') e della sua comunque incredibile voce, profonda, pura, cristallina, a tratti soffusa per poi richiamare in memoria Jim Morrison ('Sad People'), Robert Plant (il manifesto del disco 'Elegantly Expressed Depression'), Nick Drake ('Grow'). Allungare una mano all'America nella brevissima 'A Boy And Girl'.

 "Giuro di aver visto la morte in piedi nella mia stanza/gettare la sua ombra nera sul mio muro bianco/puzzavo di morte all'interno della mia anima/non avrei mai pensato di perderti per un capriccio" su questi toni inizia il disco con 'Elegantly Expressed Depression' e così finisce con 'Take Him Away' dopo poco più di mezz'ora.

È sicuramente un diversivo, certo straniante e inaspettato, a tratti pure monocorde nella sua lenta e costante velocità di crociera da requiem senza fine ('Free Country'). Certamente più vicino alle sue prove soliste (e qui la domanda: perché non è uscito a suo nome?), che spiazzerà ma che sembra adagiarsi perfettamente come neve fresca alle pieghe monotone di questi strani giorni segnati anche da tristezza e da una scalciante depressione. Certo, se state vivendo male questi giorni di lockdown non è il disco migliore per risollevare il morale. Avvertiti.








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