giovedì 20 ottobre 2016

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 20:TOM PETTY (Wildflowers, Echo)

 TOM PETTY-Wildflowers (Warner Bros, 1994)



Il GREATEST HITS uscito nel 1993 oltre a diventare, con il tempo, un campione di vendite, sancì la fine della collaborazione con l’etichetta MCA. Ma proprio nel fondo di quella raccolta brillavano due brani inediti (‘Mary Jane’s Last Dance’ e la cover ‘ Something In The Air’) che scrivevano il nuovo presente e il prossimo futuro di TOM PETTY & The HEARTBREAKERS: la collaborazione con il produttore Rick Rubin e il passaggio alla Warner Bros. La precedente, ricca e colorata produzione di Jeff Lynne viene accantonata, favorendo la semplicità (‘Only A Broken Heart’, i ’60 di ‘A Higher Place’, la stupenda’ It’s Good To Be King’), l’immediatezza folk (‘Wildflowers’, ‘To Find A Friend’ con Ringo Starr alla batteria),ma anche quella ruvidezza (‘Honey Bee’, ‘You Wreck Me’) che tanto spopola in quei primi anni novanta a Seattle e dintorni. Il risultato è immediato: WILDFLOWERS si gioca il podio della sua produzione con DAMN THE TORPEDOES. Un album solido e coeso pur mettendo in luce tutte le influenze musicali di una carriera, lo zenit assoluto di Petty che rincorre il tempo con ottimismo, raggiungendo la maturità assoluta al traguardo. Pur uscendo senza il monicker degli HEARTBREAKERS in copertina, i fidi compagni di sempre ci sono eccome e a Mike Campbell spetta il compito di collaborare anche in produzione. Tra i miei dischi fondamentali degli anni ’90 (e oltre). Aspettando All The Rest…ossia tutto quello che è
rimasto nei cassetti.





TOM PETTY and THE HEARTBREAKERS- Echo (Warner Bros, 1999)



Spesso dimenticato, nonostante vendite rispettose e buone critiche, ECHO rimane uno dei dischi più personali, amari e sinceri di Tom Petty, anche se portato a termine in fretta e furia per rispettare alcuni impegni già presi. Un disco di cicatrici e adii. Il capolavoro nascosto che pure l’autore ha rinnegato per troppo tempo, salvo poi rivalutare quando le acque iniziarono a calmarsi, gli orizzonti ritornarono ad essere ben a fuoco e le cicatrici diventare dei brutti segni da guardare con rispetto. Troppo tardi per rimediare a certe cose (nessun video, nessun singolo traino, poche canzoni vennero eseguite nei tour in seguito), ma mai per apprezzarlo come merita. Certo: arrivare dopo un capolavoro come WILDFLOWERS (1994) (in mezzo la colonna sonora di SHE’S THE ONE), un’anonima, sfocata e triste copertina in bianco e nero, la separazione dalla moglie Jane Benyo dopo vent’anni di matrimonio (Petty attacca il disco con ‘Room At The Top’ dove recita “I wish I could feel you tonight, little one.You're so far away. I want to reach out and touch your heart. Yeah like they do in those things on TV, I love you. Please love me, I’m not so bad , And I love you so”, anche ‘Lonesome Sundown’, ‘Free Girl Now’, ‘Echo’ parlano di questo), le condizioni di salute del bassista Howie Epstein-nemmeno presente nello scatto di copertina- sempre più trascinato in basso dalla droga che lo portò nel baratro senza uscita dell’overdose nel 2003, non aiutarono la promozione del disco ma furono una buona fonte d’ispirazione per ben quindici canzoni (forse troppe? Ma tutte dannatamente buone), in bilico tra vero malessere e velata ironia, che lo stesso Petty non esiterà a definire le più oscure della sua carriera.
Tutte nate dopo un periodo di forte depressione: “ho preso dei duri colpi, mi sono ritirato dal mondo per vivere nella mia piccola capanna. Non ho visto gente per un sacco di tempo. Non ero felice, e non volevo farmi vedere. Anche quando ero in pubblico, non volevo essere lì. È una sensazione terribile. Mi ci è voluto un po' per ritrovare la voglia di tornare." Racconterà Petty a USA Today.
Rick Rubin aiuta ancora in produzione, per la seconda e ultima volta. Un disco che si divide tra ballate e rock'n'roll con pochi fronzoli, eseguito con l’antico e ruvido piglio da garage band. Negli Heartbreakers c’è da segnalare l’entrata in pianta stabile del polistrumentista Scott Thurston (Iggy And The Stooges, Jackson Browne e tanti altri nel suo curriculum). Un buon giro in giostra per assaporare gli umori di ECHO potrebbe essere l’ascolto, a metà disco, dell’accoppiata ‘I Don’t Wanna Fight’ cantata, straordinariamente, da Mike Campbell (straordinario pure il suo lavoro chitarristico in tutto il disco) e ‘This One’s For Me’ dove escono tutte le inconfondibili influenze Byrdsiane di sempre.








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