lunedì 24 ottobre 2016

RECENSIONE:CONOR OBERST (Ruminations)

CONOR OBERST-Ruminations (Nonesuch Records, 2016)
☆☆☆☆☆





Ci sono dischi che entrano in circolo subito, senza chiedere permesso. Che prendono fuoco all’istante. Bruciano. Rendono gli occhi luminosi. RUMINATIONS di Conor Oberst è uno di questi, nonostante l’ascolto preveda un buon impegno e la situazione adatta. La mia parentesi di vita è la situazione adatta. È stato scritto e registrato da Oberst in pochi giorni durante un auto esilio in pieno inverno (quello del 2015) rinchiuso nella sua casa ad Omaha in Nebraska. Rifugio sicuro per fuggire dal mondo e riprendersi dalle batoste della vita (dalle pesanti accuse di violenza carnale piombatigli addosso all’improvviso, poi smentite e ritirate, alla diagnosi di una ciste al cervello, ad una depressione sempre dietro l’angolo). Un disco nato per caso, durante le ore della notte, mentre la legna alimentava il fuoco e la neve faceva scomparire il paesaggio fuori, cancellando le ultime orme di vita prima del lungo letargo. Un pianoforte, una chitarra acustica, un’armonica e testi personalissimi che compongono un autoritratto crudo e sincero, a tratti persino disturbante. Minimale. Folk. In giro si leggono già paragoni pesanti e ingombranti: il Nebraska di Conor Oberst, il Blood On The Tracks di Conor Oberst. Semplicemente il Ruminations di Conor Oberst. Bellissimo (preso a piccole dosi durante la giornata).




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