SCOTT H. BIRAM The Bad Testament (Bloodshot Records, 2017)
Se il successo di un musicista si misurasse dal numero di ossa rotte in vita, il quarantaduenne Scott H. Biram sarebbe in cima alle classifiche. Sfortunatamente per le sue tasche sdrucite non è così, e il texano continua ad incidere dischi (questo è il decimo), con fierezza e rara passione, camminando e talvolta correndo troppo con il suo vecchio Ranchero 65 lungo quella linea zigzagante, poco trafficata ma pericolosa, che divide il bene dal male, il sacro dal profano, la redenzione dal peccato, e dove country, blues, punk e metal viaggiano allineati in contemporanea lungo le sei corde delle sue vecchie chitarre. Ossa spezzate in episodi marginali alla vita artistica ma capaci di inquadrare il personaggio: prima l’incidente stradale in Texas nel 2003 che gli lasciò intatto un arto su quattro ma non gli impedì, un paio di mesi dopo, di salire sul palco in sedia a rotelle con una flebo al seguito, poi in Francia nel 2009, quando scivolò nei pressi di una pompa di benzina. Cicatrici e protesi al titanio lo tengono unito. Uno scavezzacollo sporco e genuino, “ho imparato a sputare e menar pugni prima di imbracciare una chitarra”, che in giovane età, prima di essere conquistato dal blues (Doc Watson e ‘Vol.4’ dei Black Sabbath tra i suoi preferiti) e poi dal punk, accontentò pure la famiglia prendendo la sua meritevole laurea in arte che ora viene bene solamente per disegnare t-shirt con grande spirito DIY, lo stesso che gli bolle in corpo quando ha una chitarra in mano, quando sbuffa dentro un’armonica, batte il piede su una stomp box amplificata e sale sul palco a ringhiare. Tutto insieme. Un “The Dirty Old One Man Band” (anche titolo del suo miglior disco) capace di unire Leadbelly e Motorhead, Merle Haggard e Black Flag, incendiare fienili con litri di alcol etilico, sfidare la morte provocandola pericolosamente e pregare per ringraziare d’essere ancora su questa terra.
Nel precedente NOTHIN’ BUT BLOOD, uscito nel 2014, si era fatto ritrarre in un mare di sangue per quello che sembrava un nuovo battesimo, ma che in verità cambiava poco le carte nella sua disordinata tavola da garage dove prende forma il suo lavoro. Questa volta impugna il personale libro del cattivo testamento ma in verità continua a camminare tra peccato, redenzione e amori persi. Come sempre: “ho un piccolo lato spirituale e amo la musica gospel, dico preghiere e cose del genere, ma non so di chi diavolo sto parlando”, disse una volta. Registrato nel suo studio casalingo ad Austin, Texas, ancora una volta Biram mantiene fede al suo status di One Man band e registra tutti gli strumenti con le proprie mani. Cambia veramente pochissimo nella sua musica dove a prevalere sono sempre la pura genuinità e l’urgenza sia nei momenti country (‘Set Me Free’), negli oscuri folk (‘Still Around’, ‘Righteous Ways’), nelle tracce blues (‘Red Wine’, ‘Crippled & Crazy’ con l’hammond dietro), nell’ honk tonk che cavalca il vecchio west (‘Long Old Time’), nell’ assalto all’arma bianca di ‘Trainwrecker’ (l’unica concessione punk del disco), nel gospel solo cantato di ‘True Religion’, per concludere con tre strumentali con una slide rumorosa e l’armonica (‘Hit The River’,‘Pressin On’ e ‘What Doesn’t Kill You…’). Questa volta Biram sembra ringhiare meno del solito ma la partita la porta sempre a casa, anche facendo prevalere il lato country blues, più accomodante e addomesticato.
lunedì 23 gennaio 2017
mercoledì 18 gennaio 2017
RECENSIONE: CHRIS STALCUP & THE GRANGE (Downhearted Fools)
CHRIS STALCUP & THE GRANGE-Downhearted Fools (Dirtlegs Records, 2016)
Mi è entrato in casa solo ora, ma Downhearted Fools di CHRIS STALCUP con i suoi THE GRANGE, uscito nel 2016, mi ha fatto lo stesso effetto di Traveller di Chris Stapleton nel 2015: buono alla prima. Se osservate la foto di copertina che pare lo scarto di un quadro di Hopper, e liberate tutto il vostro immaginario legato all’America più nascosta, lavoratrice e silente, otterrete pure il contenuto. Aggiungete tutto quello che può starci dentro tra Gram Parsonsm i Drive-By Truckers, Steve Earle e Ryan Bingham e il gioco è quasi fatto. Un disco di storie ordinarie e di realtà di provincia poco eccitante, in bilico tra country e rock’n’roll, tra strade e amori finiti, tra la lentezza della malinconica quotidianità e gli scatti pigri ma repentini rivolti ad una promessa di futuro migliore ma solo immaginario nei fatti. Un disco che non rivoluzionerà un bel nulla ma che cattura morbosamente come farebbe l’insegna di quel Motel in copertina, quando, dopo aver viaggiato tutta la notte per le strade della Georgia, si è in cerca di un rifugio temporaneo, ma comunque sicuro. Almeno per una notte. Si mette la freccia, si spengono l’autoradio e le luci, e si parcheggia davanti all’entrata. Intanto un altro giorno è quasi passato. Nuovamente.
Mi è entrato in casa solo ora, ma Downhearted Fools di CHRIS STALCUP con i suoi THE GRANGE, uscito nel 2016, mi ha fatto lo stesso effetto di Traveller di Chris Stapleton nel 2015: buono alla prima. Se osservate la foto di copertina che pare lo scarto di un quadro di Hopper, e liberate tutto il vostro immaginario legato all’America più nascosta, lavoratrice e silente, otterrete pure il contenuto. Aggiungete tutto quello che può starci dentro tra Gram Parsonsm i Drive-By Truckers, Steve Earle e Ryan Bingham e il gioco è quasi fatto. Un disco di storie ordinarie e di realtà di provincia poco eccitante, in bilico tra country e rock’n’roll, tra strade e amori finiti, tra la lentezza della malinconica quotidianità e gli scatti pigri ma repentini rivolti ad una promessa di futuro migliore ma solo immaginario nei fatti. Un disco che non rivoluzionerà un bel nulla ma che cattura morbosamente come farebbe l’insegna di quel Motel in copertina, quando, dopo aver viaggiato tutta la notte per le strade della Georgia, si è in cerca di un rifugio temporaneo, ma comunque sicuro. Almeno per una notte. Si mette la freccia, si spengono l’autoradio e le luci, e si parcheggia davanti all’entrata. Intanto un altro giorno è quasi passato. Nuovamente.
domenica 8 gennaio 2017
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 27: DICKEY BETTS & GREAT SOUTHERN
DICKEY BETTS & GREAT SOUTHERN (1977)
La luce della foto in copertina, scattata al Parco Nazionale Ramble Mansion a Ellenton in Florida, sembra quella giusta dell’orario d’aperitivo. Dickey Betts e la sua nuova band GREAT SOUTHERN pasteggiano con chitarre e una bottiglia di Jack Daniel’s sul tavolo mentre sullo sfondo una donna con la gonna svolazzante gioca con dei bambini davanti al grande palazzo bianco in stile vittoriano. Dopo la morte di Duane Allman, il ruolo del chitarrista di West Palm Beach diventa basilare all’interno delle meccaniche degli Allman Brothers (culminate nell’epocale e diverso BROTHERS AND SISTERS), ma Betts tenta anche la carta della carriera solista per mettere in mostra le altre sfumature delle sue capacità come autore. Dopo l’esordio HIGHWAY CALL del 1974, incentrato attorno al violino di Vassar Clements e ad suono country bluegrass, con il secondo album le atmosfere virano verso un southern blues più vicino alla band madre, spesso accurate e fluenti, da viaggio al tramonto: più ritmate come l’apertura ‘Out To Get Me’ con la slide di Betts sempre in cattedra e la chitarra di Dangerous Dan Toler (passato a miglior vita nel 2013) e l’armonica dell'ospite Topper Price ad accompagnare, il boogie di ‘Run Gipsy Run', con ‘Nothing You Can Do’ dove le tastiere di Tom Broome sono maggiormente in evidenza o la più movimentata del lotto ‘California Blues’, a mettersi in mostra, qui, è la sezione ritmica formata da Ken Tibbets (basso), Doni Sharbono e Jerry Thompson (batteria).
Non manca la distensione country da veranda in prima serata, appunto: la nostalgica rilassatezza di canzoni come ‘Sweet Virgina’ e della sognante ‘The Way Loves Gone’, fino ai sette minuti finali di ‘Bougainvillea’, scritta insieme al futuro Miami Vice, Don Johnson, con la sua partenza morbida e il finale jammato più vicino a quello che la band sapeva proporre dal vivo e ben immortalato nel live Rockpalast 1978.
La luce della foto in copertina, scattata al Parco Nazionale Ramble Mansion a Ellenton in Florida, sembra quella giusta dell’orario d’aperitivo. Dickey Betts e la sua nuova band GREAT SOUTHERN pasteggiano con chitarre e una bottiglia di Jack Daniel’s sul tavolo mentre sullo sfondo una donna con la gonna svolazzante gioca con dei bambini davanti al grande palazzo bianco in stile vittoriano. Dopo la morte di Duane Allman, il ruolo del chitarrista di West Palm Beach diventa basilare all’interno delle meccaniche degli Allman Brothers (culminate nell’epocale e diverso BROTHERS AND SISTERS), ma Betts tenta anche la carta della carriera solista per mettere in mostra le altre sfumature delle sue capacità come autore. Dopo l’esordio HIGHWAY CALL del 1974, incentrato attorno al violino di Vassar Clements e ad suono country bluegrass, con il secondo album le atmosfere virano verso un southern blues più vicino alla band madre, spesso accurate e fluenti, da viaggio al tramonto: più ritmate come l’apertura ‘Out To Get Me’ con la slide di Betts sempre in cattedra e la chitarra di Dangerous Dan Toler (passato a miglior vita nel 2013) e l’armonica dell'ospite Topper Price ad accompagnare, il boogie di ‘Run Gipsy Run', con ‘Nothing You Can Do’ dove le tastiere di Tom Broome sono maggiormente in evidenza o la più movimentata del lotto ‘California Blues’, a mettersi in mostra, qui, è la sezione ritmica formata da Ken Tibbets (basso), Doni Sharbono e Jerry Thompson (batteria).
Non manca la distensione country da veranda in prima serata, appunto: la nostalgica rilassatezza di canzoni come ‘Sweet Virgina’ e della sognante ‘The Way Loves Gone’, fino ai sette minuti finali di ‘Bougainvillea’, scritta insieme al futuro Miami Vice, Don Johnson, con la sua partenza morbida e il finale jammato più vicino a quello che la band sapeva proporre dal vivo e ben immortalato nel live Rockpalast 1978.
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 1: FRANCESCO DE GREGORI- Titanic (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #2: THE HOUSEMARTINS-London 0 Hull 4
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #3: THE NOTTING HILLBILLIES-Missing...Presumed Having A Good Time
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #4: EDDIE HINTON-Very Extremely Dangerous (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #5: BIG COUNTRY-Steeltown, 1984
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #6: TESLA-Five Man Acoustical Jam, 1990
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 7: PRIDE & GLORY-Pride & Glory (1994)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #8: TIN MACHINE-Tin Machine (1989)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #10: IZZY STRADLIN & THE JU JU HOUNDS (1992)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #11: WARRIOR SOUL-Drugs, God And The New Republic (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #12: IAN HUNTER-Short Black N' Sides (1981)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 13: THE DICTATORS-Go Girl Crazy! (1975)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 14: POINT BLANK-Second Season (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #15: TEMPLE OF THE DOG (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #16: NEIL YOUNG-Time Fades Away (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 17: JOHNNY WINTER-Nothin' But The Blues (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #2: THE HOUSEMARTINS-London 0 Hull 4
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #3: THE NOTTING HILLBILLIES-Missing...Presumed Having A Good Time
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #4: EDDIE HINTON-Very Extremely Dangerous (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #5: BIG COUNTRY-Steeltown, 1984
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #6: TESLA-Five Man Acoustical Jam, 1990
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 7: PRIDE & GLORY-Pride & Glory (1994)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #8: TIN MACHINE-Tin Machine (1989)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #10: IZZY STRADLIN & THE JU JU HOUNDS (1992)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #11: WARRIOR SOUL-Drugs, God And The New Republic (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #12: IAN HUNTER-Short Black N' Sides (1981)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 13: THE DICTATORS-Go Girl Crazy! (1975)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 14: POINT BLANK-Second Season (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #15: TEMPLE OF THE DOG (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #16: NEIL YOUNG-Time Fades Away (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 17: JOHNNY WINTER-Nothin' But The Blues (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #18: BOB DYLAN-Street Legal (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #19- CRAZY HORSE-Crazy Horse (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #20-TOM PETTY-Wildflowes/Echo (1994/1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #21-NICOLETTE LARSON-Nicolette (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #22-AMERICA-Silent Letter (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #23-ERIC ANDERSEN-Blue River (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #24-BADLANDS-Voodo Highway (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #25-GEORGE HARRISON-Living In The Material World (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA: DAVID CROSBY GRAHAM NASH-Wind On The Water (1975)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #19- CRAZY HORSE-Crazy Horse (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #20-TOM PETTY-Wildflowes/Echo (1994/1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #21-NICOLETTE LARSON-Nicolette (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #22-AMERICA-Silent Letter (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #23-ERIC ANDERSEN-Blue River (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #24-BADLANDS-Voodo Highway (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #25-GEORGE HARRISON-Living In The Material World (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA: DAVID CROSBY GRAHAM NASH-Wind On The Water (1975)
domenica 1 gennaio 2017
15 DISCHI 15 per il 2016
Non è una classifica, ma semplicemente i quindici dischi, usciti nel 2016, che hanno girato di più nel mio stereo.
ALEJANDRO ESCOVEDO-Burn Something Beautiful
Dopo il trittico di uscite con la produzione di Tony Visconti e l'aiuto di Chuck Prophet (l’ultimo fu il più sperimentale e coraggioso BIG STATION del 2012), ALEJANDRO ESCOVEDO ritorna con un disco dal carattere forte e deciso come si dice per certi liquori invecchiati bene, dove le chitarre prendono spesso possesso della scena durante le tredici canzoni: ora più affilate, aspre e taglienti (‘Horizontal’ scava nel passato punk dei Nuns, ‘Luna De Miel’, 'Heartbeat Smile' è un buon compromesso pop rock) ora glitterate (‘Shave The Cat’) sulla scia della polvere di stelle seminata da Marc Bolan, ora pigre, sonnacchiose e desertiche (‘Redemption Blues’, ‘Johnny Volume’ sembra rievocare gli spiriti dell'amato Lou Reed), poi ancora acustiche (‘Suit Of Lights’, ‘Beauty And The Buzz’, la bella 'Farewell To The Good Times'), pure ciondolanti verso un sound che rimanda a Phil Spector (‘I Don’t Want To Play Guitar Anymore’) [...] RECENSIONE COMPLETA
JON DOE-The Westerner
[...]il nuovo disco di John Doe, una carriera solista spezzettata ma che ha ormai doppiato (in anni) quella dei seminali X.
Questo nono disco arriva a cinque anni dal precedente ma ne conferma lo status di songwriter di altissimo livello. Il disco è stato registrato a Tucson negli studi di Howe Gelb (Giant Sand) e proprio durante i primi giorni di registrazione è avvenuto l’episodio che ha influito sensibilmente sul percorso musicale e concettuale del disco: la morte dell’amico scrittore, sceneggiatore e regista Michael Blake, conosciuto per essere l’autore del romanzo Balla Coi Lupi, da cui fu tratto il film. [...]
Un disco che sembra andare oltre la musica, perfettamente in bilico tra border ballads e scatti elettrici (la finale ‘Rising Sun’), per avvicinarsi sensibilmente all’anima [...] RECENSIONE COMPLETA
GRANT-LEE PHILLIPS-The Narrows
[...] I tempi dei Grant Lee Buffalo e dei loro dischi più rappresentativi FUZZY (1993) e MIGHTY JOE MOON (1994) sembrano un lontano ricordo da raccontare a figli e nipoti. La carriera solista, giunta all’ottavo disco, si è invece trascinata tra alti e bassi per troppo tempo ma questa volta Grant-Lee Phillips decide di spingersi ancora più indietro per rinascere artisticamente: riparte da Nashville, lì ha scelto di vivere dopo anni trascorsi a L.A., per ritrovare il suo passato e quello remoto dei suoi antenati pellerossa Cherokee. Ne esce uno dei migliori dischi in carriera dove gli ultimi diventano i primi, dove si riflette in modo amaro sulla morte (il disco è dedicato al padre scomparso tre anni fa) e sull’importanza di luoghi (‘Tennesse Rain’) e radici (‘Mocassin Creek’) [...] RECENSIONE COMPLETA
DRIVE-BY TRUCKERS-American Band
Una copertina che non ti aspetti dopo i disegni che hanno campeggiato per vent’anni. Ma il disco, l’undicesimo in carriera, sembra richiederla. Qui la band di Athens (Georgia), guidata da Patterson Hood e Mike Cooley, va giù duro e fotografa uno dei più delicati momenti storici degli Stati Uniti d’America: a Ottobre il popolo è chiamato alle urne e le prospettive all’orizzonte non sono mai apparse così incerte. I pregiudizi e le paure sembravano poter influenzare l’esito finale e per la band, che crede in certi valori (“l’America è sempre stata una terra di immigrati e di ideali”) sarebbe stata una grave sconfitta. “Questi sono tempi pazzi e abbiamo fatto un disco immerso in questo momento della storia che stiamo vivendo in prima persona. Ci siamo sempre considerati un gruppo politico, anche quando quell'aspetto sembrava essere nascosto…”. Purtroppo è stata una sconfitta. Trump ha trionfato, ma i Drive-By Truckers anche e il disco funziona alla grande. Trump passerà (speriamo presto). I Drive-By Truckers resteranno.
MARC FORD and The NEPTUNE BLUES CLUB-The Vultures
Ultimamente ripasso spesso da qui
l'ho già detto che Marc Ford ha fatto un grande disco? Credo di sì! Per me: una delle migliori uscite dell'anno."Se Holy Ghost era la domenica mattina, The Vulture è il sabato sera", così lo stesso Ford presenta la sua nuova opera, diversissima dal precedente riflessivo e solitario disco (comunque bellissimo). Un disco che spazia dal Southern rock, al blues, al soul. Tanta carne al fuoco, ma cotta molto bene. Peccato non ci sia ancora nessuna traccia fisica in giro...
MICHAEL KIWANUKA-Love & Hate
Quando puoi permetterti di aprire, con coraggio, il secondo disco in carriera con ‘Cold Little Heart’, canzone lunga dieci minuti dalle forti suggestioni pinkfloydiane, hai già vinto in partenza. Il singolo “importante” ‘Black Man In A White World’ ribadisce e conferma lo status di grazia dell’ancora giovane Kiwanuka.I suoni e la voce... del fortunato debutto HOME AGAIN, ci avevano riportano ai tempi "verdi" di Otis Redding, Bill Withers, Marvin Gaye, ma anche il Van Morrison di Astral Weeks e perchè no, il sempre dimenticato John Martin erano presenti in qualche forma. Kiwanuka, lo si capisce vedendolo (nella sua prima apparizione italiana ai Magazzini Generali nel 2012) e ascoltandolo, è un personaggio vero e genuino. Come vera sembra essere la parabola che lo ha portato alla musica: genitori nativi dell'Uganda, lui nato e cresciuto nel quartiere di Muswell Hill a Londra, dove mamma e papà si sono trasferiti per sfuggire al violento e sanguinario regime imposto da Amin Dada. Lì dove gli si è aperto un mondo, dopo il folgorante ascolto di Bob Dylan, Hendrix e poi Otis Redding. Scoperte in musica che nella sua adolescenza è stata totalmente assente per un lungo periodo. Poi lo studio della chitarra, i primi concerti accompagnando altri artisti fino a trovare se stesso e le sue confessioni di spirito, mature e sincere. LOVE & HATE è la conferma che si aspettava, anzi qualcosa in più. Il disco che conferma Kiwanuka come uno dei pochi in grado di far rinascere l’interesse per il soul nero, ancorato per troppo tempo al suo importante e ingombrante passato. Produce, con estrema cura, Danger Mouse.
PAUL SIMON-Stranger To Stranger
[...] Simon è ancora un folk singer con l’accento pop marcato (che voce!) certamente tra i più atipici, (‘Insomniac’s Lullaby’, solo chitarra e voce che chiude il disco ma è stata anche la prima canzone scritta per l’album, ce lo dimostra) a cui piace ancora avventurarsi in giro per il mondo e saltellare avanti e indietro nel tempo, raccontare di omicidi consumati in famiglie benestanti in quel di Milwaukee (‘The Werewof’), di campioni di baseball “velocissimi” degli anni ’30 (‘Cool Papa Bell’), di veterani di guerre mica troppo lontane da noi (‘The Riverbank’), homeless visionari (‘Street Angel’) e guaritori brasiliani (‘la stupenda’Proof Of Love’) . Di amore. Sopra alla sua valigia non mancano, anche questa volta, adesivi stampati nella lontana Africa, in Sud America, in Spagna (c’è tanto Flamenco) e pure in Italia. Il coraggio di non rinnegare il presente, ma viverlo [...] RECENSIONE COMPLETA
DEVON ALLMAN-Ride Or Die
RIDE OR DIE, terzo disco solista per Devon Allman. Il migliore fino a qui. Si prende tutta la libertà possibile di spaziare tra i suoni con cui è cresciuto: dalla pesante eredità southern lasciata da papà e zio al soul bianco, con tutto quello che ci gira in mezzo e intorno. Non è più solo “ il figlio di Gregg Allman”: l’etichetta inizia ad andargli stretta stretta. Un musicista completo. Disco perfetto per un volante, quattro ruote e una lunga striscia d’asfalto.
THE RECORD COMPANY-Give It Back To You
ia la loro vera attitudine. Qualcuno li avrà anche visti lo scorso autunno a Milano in apertura per i southern rockers Blackberry Smoke. Il loro primo album è appena uscito: un sentiero sonoro lungo dieci tracce per quaranta minuti che lascia pochi dubbi sui dischi che hanno girato nei loro piatti dopo le serate stonate al pub: tanto blues di casa Chess Records (Muddy Waters, Bo Diddley), di conseguenza Canned Heat (‘On The Move’), Stones e Led Zeppelin (‘Hard Day Coming Down’), il vecchio rockabilly (‘Don’t Let Me Get Lonely’), soul (‘This Crooked City’ con le voci femminili di Maesa e Rosa Pullman), coralità contagiante ('Feels So Good') a cui si aggiunge la sporca urgenza della Detroit rock a cavallo tra i 60 e i 70 (la finale ‘In The Mood For You’ fa tanto Stooges). [...] RECENSIONE COMPLETA
STURGILL SIMPSON- A Sailor’s Guide To Earth
Salutato come il salvatore del country americana dopo l’uscita dei precedenti HIGH TOP MOUNTAIN (2013), il debutto, e il più sorprendente METAMODERN SOUNDS IN COUNTRY MUSIC (2014), Sturgill Simpson mette la freccia a sinistra e supera tutti in volata. Va da altre parti, spiazzando e convincendo ancora di più. Vola sopra a tutto, fregandosene delle etichette. Se tutti gli album avessero questa gioiosa voglia di giocare con i generi musicali, il mondo (musicale) sarebbe anche meno brutto di quanto appaia ad un primo sguardo. Ambizioso ma rispettoso di certe tradizioni. E di bello e gioioso non c’è molto dentro alle sue liriche, anche se spesso viene usata l’ironia come metodo per convincere. Le nove canzoni sono una lettera aperta, intima e personalissima, cantata con una voce che fa la differenza e indirizzata al piccolo figlio di due anni per avviarlo sulle strade del mondo nel modo più giusto e meno traumatico possibile, un avviso al futuro navigante [...] RECENSIONE COMPLETA
PARKER MILLSAP-The Very Last Day
[...]Un disco intenso che lancia direttamente il ventitreenne nell'olimpo dei songwriter (in erba) che contano, perché Millsap non ha paura di mettere in discussione la sua infanzia, ancora troppo vicina e lì dietro l'angolo vista la faccia ancora così pulita, trascorsa a Purcell, un piccolo paese di seimila anime dell' Oklahoma, un angolo tra i più conservatori degli States. "Non c'è molto da fare a Purcell. Se ti regalano una chitarra quando sei abbastanza giovane, scrivere musica è un buon modo per passare il tempo".
Pur crescendo in una comunità evangelica a diretto contatto con la chiesa Pentacostale, continua a raccogliere buoni spunti di osservazione sulla religione, mettendola in discussione, e pescandone pregi e difetti, come fatto nel precedente e apprezzato disco PARKER MILLSAP (2014), e come fa, immedesimandosi in un ragazzo omosessuale alle prese con un padre predicatore, in 'Heaven Sent'. Pezzo di punta che sa conquistare e commuovere fin dal primo ascolto grazie al suo crescendo emozionale.[...] RECENSIONE COMPLETA
GRAHAM NASH-This Path Tonight
THIS PATH TONIGHT (splendida la title track), uscito dopo quattordici anni di assenza discografica da solista, guarda al passato (Golden Days) ma sa affrontare bene il presente (Myself At Last) e il futuro, segnati fortemente dal matrimonio naufragato dopo 38 anni con Susan Sennett e dalla nuova relazione con Amy Grantham, una donna molto più giovane che sembra aver fatto bene anche al lato artistico di Nash. L'ispirato e vivace THIS PATH TONIGHT, è il sentiero di un uomo che, a settantaquattro anni, sta ancora correndo, a piedi rigorosamente scalzi, verso nuove mete di vita.
NEIL YOUNG-Peace Trail
[...] comunque sia, Neil Young sempre meglio di me sarà. Anche quando butta giù un album in pochi giorni nello studio di registrazione di uno dei produttori più acclamati degli ultimi trent’anni senza badare alla perfezione (buona la prima, ottima la seconda!), con un giornale aperto ad ispirargli i testi o scovando notizie e personaggi che nessuno mette in prima pagina, due session man che lo seguono, e una copertina fatta in casa ma con i testi stampati in un gigantesco poster.
Uno dei pochi vecchi rocker a metterci ancora la faccia nelle battaglie in musica, con tutta la libertà compositiva che può giustamente permettersi. A volte zoppica ma rimane sempre in piedi. Un forte urlo politico e sociale con quella romantica ingenuità che non è mai mancata in cinquant' anni di carriera e che spesso fa la differenza. [...] RECENSIONE COMPLETA
Uno dei pochi vecchi rocker a metterci ancora la faccia nelle battaglie in musica, con tutta la libertà compositiva che può giustamente permettersi. A volte zoppica ma rimane sempre in piedi. Un forte urlo politico e sociale con quella romantica ingenuità che non è mai mancata in cinquant' anni di carriera e che spesso fa la differenza. [...] RECENSIONE COMPLETA
CONOR OBERST-Ruminations
Ci sono dischi che entrano in circolo subito, senza chiedere permesso. Che prendono fuoco all’istante. Bruciano. Rendono gli occhi luminosi. RUMINATIONS di Conor Oberst è uno di questi, nonostante l’ascolto preveda un buon impegno e la situazione adatta. La mia parentesi di vita è la situazione adatta. È stato scritto e registrato da Oberst in pochi giorni durante un auto esilio in pieno inverno (quello del 2015) rinchiuso nella sua casa ad Omaha in Nebraska. Rifugio sicuro per fuggire dal mondo e riprendersi dalle batoste della vita (dalle pesanti accuse di violenza carnale piombatigli addosso all’improvviso, poi smentite e ritirate, alla diagnosi di una ciste al cervello, ad una depressione sempre dietro l’angolo). Un disco nato per caso, durante le ore della notte, mentre la legna alimentava il fuoco e la neve faceva scomparire il paesaggio fuori, cancellando le ultime orme di vita prima del lungo letargo. Un pianoforte, una chitarra acustica, un’armonica e testi personalissimi [...] RECENSIONE COMPLETA
HOWE GELB Future Standards
DISCHI DEI LETTORI 2016
I MIEI DISCHI 2010
I MIEI DISCHI 2011
I MIEI DISCHI 2012
I MIEI DISCHI 2013
I MIEI DISCHI e PLAYLIST LETTORI 2014
I MIEI DISCHI ITALIANI 2015
I MIEI DISCHI 2015
DISCHI DEI LETTORI 2015
I MIEI DISCHI 2010
I MIEI DISCHI 2011
I MIEI DISCHI 2012
I MIEI DISCHI 2013
I MIEI DISCHI e PLAYLIST LETTORI 2014
I MIEI DISCHI ITALIANI 2015
I MIEI DISCHI 2015
DISCHI DEI LETTORI 2015
mercoledì 28 dicembre 2016
DISCHI DEI LETTORI 2016
1-THE ROLLING STONES Blue & Lonesome 14 voti (25%)
2-DRIVE-BY TRUCKERS-American Band 13 (23%)
3-DAVID BOWIE-Blackstar 12 (21%)
4-NEIL YOUNG-Peace Trail 11 (19%) recensione
LUCINDA WILLIAMS-The Ghosts Of Highway 20 11 (19%) recensione
5-MUDCRUTCH 2 9 (16%)
ALEJANDRO ESCOVEDO-Burn Something Beautiful 9 (16%) recensione
6-BILLY BRAGG & JOE HENRY-Shine A Light 8 (14%)
7-GRANT LEE PHILLIPS-The Narrows 7 (12%) recensione
JOHN DOE-The Westerner 7 (12%) recensione
8-LEONARD COHEN-You Want It Darker 6 (10%)
NICK CAVE-Skeleton Tree 6 (10%)
DAVID CROSBY-Lighthouse 6 (10%)
9-PJ HARVEY-The Hope Six Demolition Project 5 (8%)
THE RECORD COMPANY-Give It Back To You 5 (8%) recensione
10-BOB DYLAN-Fallen Angels 4 (7%)
THE MARCUS KING BAND 4 (7%)
STURGILL SIMPSON-A Sailor's Guide To Earth 4 (7%) recensione
11-BLACKBERRY SMOKE-Like An Arrow 3 (5%) reccensione
BOB MOULD-Patch The Sky 3 (5%)
VAN MORRISON-Keep Me Singing 3 (5%)
WILLIE NILE-World World Willie 3 (5%) recensione
WHISKEY MYERS-Mud 3 (5%) recensione
RAY LAMONTAGNE-Ouroboros 3 (5%) recensione
12-MICHAEL KIWANUKA-Love & Hate 2 (3%)
IAN HUNTER-Fingers Crossed 2 (3%) recensione
BEN HARPER-Call It What It Is 2 (3%)
DEVON ALLMAN-Ride Or Die 2 (3%)
MAVIS STAPLES-Livin' On A High Note 2 (3%)
ZAKK WYLDE-Book Of Shadow II 2 (3%) recensione
HOWE GELB-Future Standards 2 (3%) recensione
TEDESCHI TRUCKS BAND-Let Me Get By 2 (3%)
13-RADIOHEAD-A Moon Shaped Pool 1 (1%)
GRAHAM NASH-This Path Tonight 1 (1%)
THE CHRIS ROBINSON BROTHERHOOD-Aniway... 1 (1%) recensione
BON IVER-22, A Million 1 (1%)
RICHMOND FONTAINE 1 (1%)
NEUROSIS-Fires Within Fires 1 (1%)
DISCHI 2015 dei LETTORI
CLASSIFICA DEI LETTORI e miei DISCHI 2014
lunedì 19 dicembre 2016
REPORT/LIVE: MOLLY HATCHET live @ Circolo Colony, Brescia, 17 Dicembre 2016
Brescia accoglie i Molly Hatchet sotto una fredda coltre di nebbia, così fitta che perfino trovare il Circolo Colony, situato nella periferia industriale, diventa una'ardua impresa. E forse sono proprio la nebbia e il freddo a tenere lontano il grande pubblico dall'unica tappa italiana della storica band di Jacksonville: certamente non quello delle grandi occasioni ma abbastanza rumoroso per accogliere Bobby Ingram e soci nel migliore dei modi. Di una cosa si è comunque sicuri: la nebbia ha influito nell'anticipo degli orari per permettere alla band di guadagnare un po' di tempo per lo spostamento notturno che li porterà verso la prossima tappa fuori dall'Italia, è così che mi perdo il primo gruppo di spalla, gli italiani Electric Swan, mentre del secondo, i Smokey Fingers, riesco a vedere, ma apprezzare, solamente tre pezzi.
I Molley Hatchet mancavano dall'Italia dal 2012, anno in cui aprirono per gli amici e concittadini Lynyrd Skynyrd a Vigevano. La formazione che sale sul palco del Colony è la stessa che ha inciso l'ultimo album in studio JUSTICE (ormai vecchio di sei anni, escludendo il disco di cover Regrinding The Axes del 2012), manca solo la seconda chitarra del più anziano Dave Hlubek, rimasto a casa, l'unico superstite della primissima formazione attiva tra il 1978 e il 1982. Il cantante Phil McCormack, che pur non avendo la presenza di Danny Joe Brown è ormai un veterano della band, entra in scena con un cappello calato in testa, un lungo cappotto scuro da guerra di secessione, t shirt nera del gruppo con la copertina di FLIRTIN' WITH DISASTER (disegnata da Frank Frazetta naturalmente) in bella evidenza e una pancia che esce prepotente da sotto, Bobby Ingram, colui che è rimasto l'unico depositario del nome del gruppo rimane così l'unica chitarra con il più difficile dei compiti da svolgere: fare da ritmica e liberarsi durante i solo. E qui, apro e chiudo subito la parentesi per quello che rimane l'unico lato negativo della serata: la mancanza di una seconda chitarra si fa sentire, e per un gruppo nato con tre chitarristi diventa un duro boccone da digerire. Un plauso quindi a Ingram che tiene in piedi la baracca, sera dopo sera, con grande mestiere, ma l'introduzione di un sesto elemento gioverebbe a tutti.
Ciò non toglie nulla alla bravura del bassista Tim Lindsey, simpatico ed elegante, sicuramente il più in forma fisicamente insieme al batterista Shawn Beamer, di cui è difficile non notare i lunghi capelli in perenne rotazione durante l'intero concerto, grazie agli sbuffi d'aria artificiale che fuoriescono dalla batteria, e del tastierista John Galvin, il componente con la militanza più lunga nel gruppo, la sua entrata risale al1983. Il concerto non delude le aspettative: i Molly Hatchet hanno sempre caricato di pesantezza hard e heavy il loro southern rock e così fanno stasera, proponendo una sorta di greatest hits dove non mancano le storiche Whiskey Man (che apre le danze con l'armonica suonata da McCormack), Bounty Hunter, Gator Country, Beatin' The Odds e la parentesi dedicata alle due epiche ballad Edge Of Sundown e Fall Of The Peacemakers, unite in un medley. Escludendo una parte centrale del concerto in cui i nostri gigioneggiano un po' troppo per le lunghe con vari assoli (batteria, chitarra e tastiere), piazzati tatticamente per tirare il fiato, il finale con Dreams I'll Never See della Allman Brothers Band e con l'immancabile Flirtin' with Disaster è comunque da ricordare e portarsi a casa durante il tragitto di ritorno, affrontato sotto la stessa nebbia dell'andata. Finito il concerto, la band, confermando simpatia e disponibilità da veri signori del sud, si è presentata al banco merchandise per stringere mani e firmare autografi. Infinito rispetto.
SETLIST: Here I Go Again (Intro)/ Whiskey Man /Bounty Hunter/ Gator Country/One Man's Pleasure/Edge of Sundown / Fall of the Peacemakers/Devil's Canyon/Drum Solo/Beatin' the Odds/The Creeper/Jukin' City/Dreams I'll Never See (The Allman Brothers Band cover)/The Journey/ Flirtin' With Disaster
venerdì 16 dicembre 2016
NEIL YOUNG: gli ANNI 2000
SILVER &GOLD (2000)
Neil Young entra nel nuovo millennio a passi morbidi con un disco di ballate acustiche che pare un seguito di HARVEST MOON, uscito ormai otto anni prima. Prodotto da Ben Keith (Jack Nitzsche si rifiuterà di produrlo dopo aver ascoltato alcuni brani), le dieci canzoni indagano perlopiù sull’aspetto intimo e famigliare (‘Daddy Went Walkin’), sull’amore (‘Razor Love’), con qualche nostalgico sguardo al passato musicale (‘Buffalo Springfield Again’). Uscirà dopo LOOKING FORWARD, il tanto atteso ma deludente ritorno di CSN&Y, a cui Young regalerà alcune buone tracce: ‘Slowpoke’ che doveva finire qui.
ARE YOU PASSIONATE? (2002)
Il disco nasce sotto l’ombra tragica e nera dell’undici settembre (2001) e proprio da un episodio accaduto all’interno di uno degli aerei dirottati (il Flight 43) prende forma quella ‘Let’s Roll’, il cui testo mal interpretato farà tanto discutere. Le canzoni registrate prevalentemente con Booker T. & The MG’s veleggiano su un R&B mai troppo incisivo ma piacevole, seguendo le orme del più riuscito THIS NOTE’S FOR YOU. ‘Goin’ Home’, registrata con i Crazy Horse è l’unica canzone a smarcarsi nettamente dal mood imperante.
GREENDALE (2003)
Uno degli album più ambiziosi di tutta la carriera di Young che questa volta si inventa una città fantastica, completa di cartina, personaggi, istituzioni e comparse, che diventa metafora della politica e della società americana. Un attacco diretto e beffardo che diventerà anche un film. I testi vengono però narrati su un tappeto rock blues, in generale, poco entusiasmante, ma diretto e sincero.
PRAIRE WIND (2005)
Il disco nasce dopo i problemi di salute causati da un delicato intervento per un aneurisma celebrale che per poco rischia di essergli fatale dopo una ricaduta post operazione. Young si rimette a tempo record e finisce questo album già programmato. “ La cosa migliore sarebbe stata fare musica, così prenotammo uno studio a Nashville. Cominciai a scrivere un nuovo album. Sentivo che mi avrebbe tenuto occupato fino a quando sarei entrato in ospedale”. Un disco dai testi personali, drammatici e intimi, spalmati su un piacevole country rock senza grandi picchi ma anche senza cadute di tono. Un disco salvifico e di mestiere.
LIVING WITH WAR (2006)
Che Neil Young si sia ripreso alla grande lo dimostra questo istant record barricadero registrato con rabbia in pochissimo tempo insieme ad una band essenziale composta solamente dal batterista Chad Cromwell, il bassista Rick Rosas e dalla tromba di Tommy Bray che compare qua e là, a cui però si aggiungono i sontuosi cori di circa cento elementi. Un hard rock folk potente e diretto, stemperato solamente dagli onnipresenti, a volte invadenti, cori. Lo spunto per tutto ciò arriva dopo la dichiarazione di guerra al Medio Oriente da parte di Bush, che verrà maltrattato in lungo e in largo (‘Let’s Impeach The President’ guida la fila). “Forse era il gruppo di canzoni palesemente più esagerate che avessi mai scritto, ma abbiamo fatto quello che andava fatto, dunque non mi pento”.
CHROME DREAMS II (2007)
Riprendendo il titolo, e non solo, di uno dei tanti album registrati e mai usciti (il vero CHROME DREAMS sarebbe dovuto uscire nel 1977), è una raccolta di canzoni apparentemente poco omogenea (canzoni nuove e vecchie ripescate), dove si passa dal country di ‘Beautiful Bluebird’ al rock di ‘Spirit Road’, che invece pare funzionare molto bene, pur ruotando intorno alle due lunghissime ‘Ordinary People’ (diciotto minuti) e ‘No Hidden Path’ (quattordici).
FORK IN THE ROAD (2008)
Altro disco di pancia. "Fork In The Road" esce a sorpresa anticipato da alcuni strani video postati sul suo sito Myspace. Canzoni elettriche come la tiletrack, la canzone di apertura ‘When worlds collide’, ‘Johnny Magic’, ‘Hit the Road’. Canzoni dalle chitarre metalliche (‘Fuel line’) , blues (‘Get behind the wheel’), country come la splendida ‘Light a Candle’. Tutte pero' con un denominatore in comune: i testi. Neil Young prendendo spunto dalla storia della Lincvolt Continental inizia a lavorare ad un personale progetto dedicato alle care automobili: costruire una centrale elettrica che possa fornire energia alternativa al funzionamento delle auto. "Scrivevo ed eseguivo un sacco di canzoni sulla Lincvolt e sull'argomento delle auto alimentate a elettricità. L'album Fork In The Road fu pubblicato nel 2009. Un sacco di gente s'incazzò perchè avevo fatto un album su questo argomento e ricevetti delle pessime recensioni, ma era ciò che avevo in testa e so che posso essere ossessivo. essere ossessivo non è poi così male per la creatività".
LE NOISE (2010)
Le Noise va ascoltato di notte, quando il buio si impossessa della vista e rimaniamo solitari con i nostri dubbi e pensieri. Ci voleva la mano di un produttore di grido come Daniel Lanois per dare, ancora una volta, una sterzata alla carriera di Young. Questo sarà un disco che verrà ricordato alla pari dei suoi migliori lavori. Così credo. Neil Young da solo e la sua chitarra, acustica ed elettrica. Tutti qua gli ingredienti su cui Lanois ha lavorato. Registrato nella casa del produttore, questo è un disco chitarristico al cento per cento, tutto ciò che si sente è stato prodotto dalla chitarra di Young: riverberi, note basse, rumori ed effetti che costruiscono canzoni su cui si stagliano i testi di Young. Canzoni per buona parte nate acustiche e trasformate in elettriche, un esperimento che ha dato buoni frutti. Le otto canzoni di Le noise saranno accompagnate da altrettanti video , in bianco e nero e suggestivi , girati dal regista Adam Vollick e che sembrano rappresentare alla meglio le canzoni in immagini. “Lo chiamai Le Noise, per Dan. Era uno scherzo in franco-canadese, un modo molto inglese per pronunciare Lanois”.
AMERICANA (2012)
Non pago di sguazzare in mezzo a nastri e bobine delle sue composizioni archiviate nel fantomatico museo personale che è il suo Broken Arrow Ranch, Young ha pensato di dare una spolverata anche agli archivi del musichiere della tradizione americana, lui nato a Toronto in Canada. Per dare più sale ad un'altra delle sue bizzarre idee, ha richiamato in studio i Crazy Horse al completo, cosa che non accadeva dall'incisione di Broken Arrow(1996). Neil Young come un ragazzino alle prime armi si butta brutalmente su standard della musica americana con spietata irruenza (‘Oh Susanna’, ‘Clementine’, ‘Jesus Charlot’), avvicinandosi in alcuni frangenti all'intemperanza di Ragged Glory (1990) e continuando a portare avanti la sua idea di catturare l'immediato e darlo in pasto a tutti.
PSYCHEDELIC PILL (2012)
Dopo l’aperitivo AMERICANA, arriva Psychedelic Pill, con un titolo che sembra rimandare inevitabilmente ai periodi "stonati" di Tonight's The Night(1975), si presenta subito in modo sontuoso ed estremo, incutendo pure un po' di timore reverenziale: 2 CD (o 3 LP) con solamente otto tracce (più una bonus track) tra cui spiccano immediatamente all'occhio i 28 minuti di ‘Driftin'Back’ e i 16 di ‘Ramada In’n e ‘Walk Like A Giant’. Dentro, tutto quello che il connubio con i Crazy Horse ci ha regalato negli anni: lunghe jam chitarristiche, assalti ruvidi, cavalcate, feedback, ma anche folk e nostalgiche melodie '50. Prodotto da John Hanlon e Mark Humphreys e registrato nello studio Audio Casablanca come il precedente Americana. A proposito di Crazy Horse: “Facendo i nuovi album Americana e Psychedelic Pill, ho scoperto che con l’andare del tempo questa potenza cosmica non solo è diminuita ma è cresciuta”.
A LETTER HOME (2014)
L’intento sembrava pure nobile e originale: registrare canzoni come si faceva nel dopoguerra per mandare messaggi ai famigliari, proprio come fa Neil Young in apertura del disco. “Hey Mamma, il mio amico Jack ha questa scatola dalla quale si può parlare!”. Jack White fornisce la sua cabina sforna 45 giri al Third Man Records Store. Neil Young ci mette chitarra acustica e un repertorio di cover che potrebbe pure essere interessante se il suono non fosse così scadente e quasi inascoltabile. Dylan, Springsteen, Phil Ochs, Willie Nelson. Tim Hardin tra i prescelti. Ma visto che lo scopo era proprio quello: l’esperimento si può dire riuscito.
STORYTONE (2014)
C’è l'amore per le automobili, ben rappresentato dall'acquerello in copertina e nei disegni che illustreranno la seconda parte di biografia Special Deluxe: A Memoir of Life & Cars, c'è la continua ricerca del posto ideale dove poter vivere serenamente, luogo che nella sua testa esiste già ed è dipinto di ecologico verde; c'è il tormentato amore che dopo 36 anni di matrimonio con Pegi Young ha imboccato la strada che porta verso una nuova fiamma, l'attrice Daryl Hannah che condivide con lui l'impegno ambientalista; c'è la voglia di mettersi continuamente alla prova come artista. Altro doppio come Psychedelic Pill (dieci canzoni acustiche e dieci canzoni, le stesse, risuonate con l'orchestra) altro ambizioso progetto ma interessantissimo per poter saggiarne lo stato della vena creativa (buona) e vedere lo sviluppo delle canzoni, dieci buone canzoni.
THE MONSANTO YEARS (2015)
Se volete bene a Neil Young accetterete di buon grado anche questo disco, nato sì d’istinto, ma incentrato su tematiche care al canadese da più di quarant’anni, fin da quei versi “guarda Madre Natura in fuga” inclusi in After The Gold Rush del 1970, proseguite poi negli anni 80 con i concerti Farm Aid, messi in piedi con John Mellencamp e Willie Nelson in difesa degli agricoltori, e ribadite con forza anche durante l’ultimo tour con i Crazy Horse. L’attacco alla multinazionale agrochimica Monsanto, rea di mettere in commercio sementi OGM, è duro, liricamente ingenuo, ma non fa sconti. I figli di Willie Nelson, Lukas e Micah con i loro Promise Of The Real, accompagnano l’amico di papà come farebbero dei giovani cavalli pazzi alle prime armi con qualche pausa per tirare il fiato come nella sbilenca ballata country ‘Wolf Moon’ che si riallaccia ad HARVEST MOON.
PEACE TRAIL (2016)
Un istant record di protesta come altri della sua discografia recente (LIVING WITH WAR, FORK IN THE ROAD, THE MONSANTO YEARS), registrato agli Shangri-La Studios di Rick Rubin in una sola settimana, per dare sfogo alle innumerevoli battaglie che sta combattendo. Un disco di pancia che sacrifica la bellezza per il messaggio. Ora sta a voi scegliere da che parte stare. Le dieci canzoni non fanno altro che rimarcare il forte impegno ambientalista che ha tenuto banco in tutte le recenti mosse con i Crazy Horse e con i Promise Of The Real: la battaglia-poi vinta- dei nativi americani contro l’oleodotto che minacciava le loro terre in North Dakota in 'Indian Givers'-da qui è partito tutto- la storia del contadino 'John Oaks', il mago dell'irrigazione che ha difeso il suo lavoro fino alla morte come ci narra la discorsiva 'John Oaks', aggiungendo qualche altra stoccata alla politica, allo sfrenato consumismo, e pure qualche vetro rotto più intimo e personale (la folkie ‘Glass Accident’) . Un bollettino pieno di notizie e qualche buona speranza come canta nella title track: "continuerò a piantare semi finchè qualcosa è in crescita". Nulla di nuovo quindi? No. Qualcosa di nuovo c'è: PEACE TRAIL è un disco totalmente acustico, scarno ed essenziale, ma incatalogabile, che suona quasi raffazzonato ad un primo ascolto ma diverso da qualunque cosa fatta prima, dove la base ritmica composta dalla batteria in grande evidenza del veterano Jim Keltner (splendido il suo lavoro percussivo e tribale lungo tutto il percorso) e dal basso di Paul Bushnell sembrano spesso fare da sottofondo alle incontenibili parole di Neil Young, cercando di inseguirlo, ma Young è un fiume in piena che va diritto per la sua strada, e quasi non si fa prendere.
vedi anche:
RECENSIONE: NEIL YOUNG-A Treasure (2011)
RECENSIONE: NEIL YOUNG & CRAZY HORSE- Americana (2012)
RECENSIONE: NEIL YOUNG & CRAZY HORSE-Psychedelic Pill (2012)
RECENSIONE: NEIL YOUNG-Live At The Cellar Door (2013)
RECENSIONE: NEIL YOUNG-Storytone (2014)
NEIL YOUNG & CRAZY HORSE live @ Barolo, 21 Luglio 2014
RECENSIONE: NEIL YOUNG + PROMISE OF THE REAL-The Monsanto Years (2015)
RECENSIONE: NEIL YOUNG-Bluenote Cafè (2015)
RECENSIONE: NEIL YOUNG+PROMISE OF THE REAL-Earth (2016)
RECENSIONE: NEIL YOUNG-Peace Trail (2016)
giovedì 15 dicembre 2016
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 26: DAVID CROSBY GRAHAM NASH (Wind On The Water)
DAVID CROSBY GRAHAM NASH Wind On The Water (1975)
Il tour 2016 di Graham Nash che ha toccato Como, ha rimesso in moto le pale eoliche che trasformano il vento della West Coast in energia vitale per il mio corpo. Naturale, quindi, ritirare fuori questo disco. Ho sempre avuto l’impressione, però, che i dischi del duo Crosby/Nash siano stati dimenticati in fretta, o comunque sottovalutati con il passare del tempo. Ma non fu proprio così: WIND ON THE WATER, il secondo disco uscito nel 1975 dopo il debutto in coppia del 1972, fu premiato da buone vendite all’uscita, arrivando al sesto posto nelle classifiche americane. Un punto fermo degli anni settanta dei nostri, dove Crosby e Nash portano al culmine compositivo la loro intesa musicale, lavorando in perfetta armonia, vivendo e scrivendo insieme in un bungalow a Chateau Marmont appena fuori Sunset Blv, West Hollywood, proprio dove venne trovato il corpo senza vita di John Belushi qualche anno dopo. Dalla perfetta combinazione delle voci, alle parti musicali mai così varie tra country, folk, blues e qualche fuga psichedelica, fino ai temi trattati: autobiografici (l’apertura ‘Carry Me’ scritta da Crosby), ecologisti (‘Wind On Water’ scritta da Nash e anticipata da ‘The Last Whale…A Critical Mass’, un canto a cappella di Crosby), nazionalisti (‘Cowboy Of Dreams’), mentre ‘Take The Money And Run’ che dice tutto nel titolo si rivela una pesante accusa verso chi organizzò il famoso tour reunion di CSN &Y dell’anno prima, prese di posizione sociali (‘Fieldworker’ si schierava a favore degli agricoltori sfruttati di Santa Cruz), ai rapporti umani (‘Mama Lion’ è ancora per Joni Mitchell, un amore che Nash fatica a dimenticare). “Realizzare l’album WIND ON THE WATER fu un piacere dall’inizio alla fine. Fu uno dei nostri lavori migliori. David era in eccellente forma da seduta di incisione e la band era composta da professionisti esperti…” racconta Nash. Già, vi parteciparono tra gli altri: Carole King, Jackson Browne, James Taylor, Levon Helm e i Jitters, la band che li accompagnò in quel periodo. Soffia vento soffia…
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 1: FRANCESCO DE GREGORI- Titanic (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #2: THE HOUSEMARTINS-London 0 Hull 4
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #3: THE NOTTING HILLBILLIES-Missing...Presumed Having A Good Time
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #4: EDDIE HINTON-Very Extremely Dangerous (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #5: BIG COUNTRY-Steeltown, 1984
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #6: TESLA-Five Man Acoustical Jam, 1990
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 7: PRIDE & GLORY-Pride & Glory (1994)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #8: TIN MACHINE-Tin Machine (1989)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #10: IZZY STRADLIN & THE JU JU HOUNDS (1992)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #11: WARRIOR SOUL-Drugs, God And The New Republic (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #12: IAN HUNTER-Short Black N' Sides (1981)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 13: THE DICTATORS-Go Girl Crazy! (1975)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 14: POINT BLANK-Second Season (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #15: TEMPLE OF THE DOG (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #16: NEIL YOUNG-Time Fades Away (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 17: JOHNNY WINTER-Nothin' But The Blues (1977)
Il tour 2016 di Graham Nash che ha toccato Como, ha rimesso in moto le pale eoliche che trasformano il vento della West Coast in energia vitale per il mio corpo. Naturale, quindi, ritirare fuori questo disco. Ho sempre avuto l’impressione, però, che i dischi del duo Crosby/Nash siano stati dimenticati in fretta, o comunque sottovalutati con il passare del tempo. Ma non fu proprio così: WIND ON THE WATER, il secondo disco uscito nel 1975 dopo il debutto in coppia del 1972, fu premiato da buone vendite all’uscita, arrivando al sesto posto nelle classifiche americane. Un punto fermo degli anni settanta dei nostri, dove Crosby e Nash portano al culmine compositivo la loro intesa musicale, lavorando in perfetta armonia, vivendo e scrivendo insieme in un bungalow a Chateau Marmont appena fuori Sunset Blv, West Hollywood, proprio dove venne trovato il corpo senza vita di John Belushi qualche anno dopo. Dalla perfetta combinazione delle voci, alle parti musicali mai così varie tra country, folk, blues e qualche fuga psichedelica, fino ai temi trattati: autobiografici (l’apertura ‘Carry Me’ scritta da Crosby), ecologisti (‘Wind On Water’ scritta da Nash e anticipata da ‘The Last Whale…A Critical Mass’, un canto a cappella di Crosby), nazionalisti (‘Cowboy Of Dreams’), mentre ‘Take The Money And Run’ che dice tutto nel titolo si rivela una pesante accusa verso chi organizzò il famoso tour reunion di CSN &Y dell’anno prima, prese di posizione sociali (‘Fieldworker’ si schierava a favore degli agricoltori sfruttati di Santa Cruz), ai rapporti umani (‘Mama Lion’ è ancora per Joni Mitchell, un amore che Nash fatica a dimenticare). “Realizzare l’album WIND ON THE WATER fu un piacere dall’inizio alla fine. Fu uno dei nostri lavori migliori. David era in eccellente forma da seduta di incisione e la band era composta da professionisti esperti…” racconta Nash. Già, vi parteciparono tra gli altri: Carole King, Jackson Browne, James Taylor, Levon Helm e i Jitters, la band che li accompagnò in quel periodo. Soffia vento soffia…
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 1: FRANCESCO DE GREGORI- Titanic (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #2: THE HOUSEMARTINS-London 0 Hull 4
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #3: THE NOTTING HILLBILLIES-Missing...Presumed Having A Good Time
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #4: EDDIE HINTON-Very Extremely Dangerous (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #5: BIG COUNTRY-Steeltown, 1984
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #6: TESLA-Five Man Acoustical Jam, 1990
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 7: PRIDE & GLORY-Pride & Glory (1994)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #8: TIN MACHINE-Tin Machine (1989)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #10: IZZY STRADLIN & THE JU JU HOUNDS (1992)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #11: WARRIOR SOUL-Drugs, God And The New Republic (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #12: IAN HUNTER-Short Black N' Sides (1981)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 13: THE DICTATORS-Go Girl Crazy! (1975)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 14: POINT BLANK-Second Season (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #15: TEMPLE OF THE DOG (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #16: NEIL YOUNG-Time Fades Away (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 17: JOHNNY WINTER-Nothin' But The Blues (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #18: BOB DYLAN-Street Legal (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #19- CRAZY HORSE-Crazy Horse (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #20-TOM PETTY-Wildflowes/Echo (1994/1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #21-NICOLETTE LARSON-Nicolette (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #22-AMERICA-Silent Letter (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #23-ERIC ANDERSEN-Blue River (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #24-BADLANDS-Voodo Highway (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #25-GEORGE HARRISON-Living In The Material World (1973)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #19- CRAZY HORSE-Crazy Horse (1971)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #20-TOM PETTY-Wildflowes/Echo (1994/1999)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #21-NICOLETTE LARSON-Nicolette (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #22-AMERICA-Silent Letter (1979)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #23-ERIC ANDERSEN-Blue River (1972)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #24-BADLANDS-Voodo Highway (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #25-GEORGE HARRISON-Living In The Material World (1973)
domenica 11 dicembre 2016
VOTA IL DISCO 2016
VOTA IL DISCO 2016
Vuoi giocare al gioco da "musicofilo" più abusato, amato e odiato di fine anno? La famigerata classifica dei dischi? Anche quest'anno il mio blog ci riprova, dopo il trionfo di Lucinda Williams nel 2014 e Warren Haynes dell'anno scorso. E' tutto molto semplice: guarda alla destra dello schermo mentre sei nel mio blog (versione web), in qualunque pagina o post, troverai un elenco di dischi (sono stati scelti da me, e rappresentano un campione dei miei ascolti, se proprio non trovi il "tuo disco dell'anno"-ed è molto probabile, lo spazio è quello che è, il tempo meno ancora, i gusti sono molto personali- puoi lasciarlo scritto nei commenti di questo post), spunta il disco (o i dischi, si possono mettere più preferenze) e clicca sul tasto "voto". Fatto? Bene. Ti stanno sul cazzo queste inutili classifiche di fine anno? Bene. Hai tempo fino al 28/12/2015 per cambiare idea. Poi tutto sarà finito, ancora una volta, giuro! Buon voto, buone feste in anticipo!
DISCHI LETTORI 2014
DISCHI LETTORI 2015
Iscriviti a:
Post (Atom)