lunedì 30 dicembre 2013
LA MIA PLAYLIST: CLASSIC ROCK 2013
1-GUY CLARK-My Favorite Picture Of You
My Favorite Picture Of You è l'intima pennellata di un songwriter dal passo lento, riflessivo, meticoloso che non ha mai sperperato le sue canzoni o registrato dischi inutili, nato per restare indelebile e far scuola, anche alle nuovissime generazioni di cantautori country/folk americani. Con gli acciacchi dell'età, qualche importante battaglia vinta sulla vita e la voce che si è fatta forse più stanca e segnata (gli spettri delle American Recordings cashiane ogni tanto fanno capolino) ma ancor meglio comunicatrice se incastrata dentro a undici canzoni che ho trovato perfette e già dei piccoli capolavori nella loro semplice, profonda, sofferta comunicatività e forza confessionale. [leggi tutto]
2-JASON ISBELL-Southeastern
Southeastern è il disco dell'autoanalisi solitaria, affrontata senza vergognarsi della nudità dell'anima ben esposta nello stendino, con tutte le cicatrici degli sbagli, delle debolezze, appese e lasciate, ben visibili a tutti, sul balcone del mondo a guarire sotto il sole caldo del sud. Anche se il sole in questo disco sembra nascondersi bene, c'è, aspetta solo di trovare gli spiragli d'entrata, perché alla fine la voglia di vivere prevale su tutto e quella di tornare a dividere la vita con una buona compagnia [leggi tutto]
3-THOM CHACON-Thom Chacon
Se cercate novità rivoluzionarie in campo musicale dalle canzoni di Thom Cachon, statene pure alla larga. Se invece amate la continuità di quel suono folk/rock americano, ombroso e ridotto all'osso, raccolto sotto l'ormai onnipresente termine Americana, che partendo da Dylan, tocca John Prine, arriva a Steve Earle, John Mellencamp, allo Springsteen acustico e minimalista, fino ai giorni nostri ben rappresentati dai defilati Chris Knight e Hayes Carll e dal più celebrato Ryan Bingham di Junky Star, allora sì, un ascolto al terzo disco di questo ragazzo nato a Sacramento, ma proveniente dalle montagne di Durango, Colorado, potete anche darlo... [leggi tutto]
4-WILLIE NILE-American Ride
Non vive più all'ombra di nessun paragone, avendo trovato la propria strada in quell'incrocio che unisce il folk del Greenwich Village con il punk metropolitano della sua amata New York di metà anni settanta ...da lì è partito e lì lo ritroviamo, con tanta vita vissuta nel bagaglio ma con la stessa urgenza comunicativa e la poetica urbana degli esordi. [leggi tutto]
5-JJ GREY & MOFRO-This River
Il quarantaseienne JJ Grey naviga il grande fiume (trattasi del St.John's River che scorre vicino alle sue terre, il più lungo della Florida) con il favore delle pigre correnti e con gli spettri dei Muscle Shoals Studio seduti di fianco tanto le dieci tracce scivolano viziose e ammorbanti, scaldate dal calore dei fiati e con la sicurezza dettata da una infanzia trascorsa tra l'abbraccio di una tipica famiglia del sud tutta duro lavoro e preghiere, dalla forte connessione con i luoghi che ama-e mai ha abbandonato- e una coscenziosa visione dell'introspezione umana che si riversano sulla sua buona scrittura [leggi tutto]
6-STEVE EARLE-The Low Highway
Bellezza dei paesaggi americani che entra da un finestrino ed esce dall'altro, contrapposta alle comparse solitarie senza un tetto, quasi "invisibili" ma che, con la forza della dignità, popolano i vicoli abbandonati dalla grazia di Dio di ogni città americana. Una passeggiata salvifica."C'e un buco nella mia scarpa, ma non mi dispiace perchè mi tiene collegato alla terra..." canta appena attacca Invisible, cristallino esempio della vitalità ancora presente nella sua scrittura. [leggi tutto]
7-JOHN MURRY-The Graceless Age
...dietro a due occhi uguali ai cieli sopra alla sua Tupelo, il trentatreenne John Murry nasconde la sofferenza di un animo tormentato da demoni interni in perenne combutta per l'egemonia, e una classicità di scrittura da veterano del folk/rock... [da Classix! #37]
8-BUDDY GUY-Rhythm & Blues
Cosa succederà quando anche gli ultimi eroi del blues di Chicago ci lasceranno? Non ho avuto troppo tempo per pensare alla risposta, perché a 77 anni compiuti, Guy è ancora in grado di maneggiare bene quell'ago e filo che unì le maglie del blues a rock...[da Classix! #38]
9-NORTH MISSISSIPPI ALLSTAR-World Boogie Is Coming
Se hai un ospite come Robert Plant nelle prime due canzoni del disco, ma lo usi solamente a sbuffare dentro un'armonica, è perché sei già un fuoriclasse e puoi permettertelo. [da Classix! #38]
10-CAROLYNE MAS-Across The River
Un disco che emana calore umano e passione dalla prima all'ultima nota, avvolge e mi fa ritrovare quella bellezza in musica rimasta per troppo tempo sopita. Con il grande- e raro-pregio di quei dischi che ti fanno capire immediatamente quanta parte di cuore l'artista ci abbia lasciato dentro e quanta parte del nostro possiamo ritrovarci: in entrambi i casi, tanta. Fatevi un regalo. [leggi tutto]
BILLY BRAGG-Tooth & Nail [leggi recensione]
RY COODER-Live In San Francisco
PAUL McCARTNEY-New
SEASICK STEVE-Hubcap Music [leggi recensione]
DAVID BOWIE-The Next Day
NICK CAVE & THE BAD SEEDS-Push The Sky Away [leggi recensione]
KURT VILE-Walkin On a Pretty Daze [leggi recensione]
GREG TROOPER-Incident On Willow Street [leggi recensione]
JOE GRUSHECKY-Somewhere East Of Eden [leggi recensione]
ROD STEWART-Time [leggi recensione] /Rarities [leggi recensione]
DEL LORDS-Elvis Club [leggi recensione]
THE WHITE BUFFALO-Shadows, Greys & Evil Ways [leggi recensione]
ANDERS OSBORNE-Peace [leggi recensione]
JONATHAN WILSON-Fanfare
ELLIOTT MURPHY-It Takes A Worried Man [leggi recensione]
DAVE ARCARI & THE HELLSINKI HELLRAISERS-Whisky In My Blood [leggi recensione]
DEADSTRING BROTHERS-Cannery Row
THE WYNNTOWN MARSHALS- The Long Haul [leggi recensione]
BLACK JOE LEWIS-Electric Slave [leggi recensione]
THE RIDES-Can't Get Enough
TEDESCHI TRUCKS BAND-Made Up Mind [leggi recensione]
ELTON JOHN-The Diving Board
BOB DYLAN-The Bootleg Series Vol. 10 – Another Self Portrait
GOV'T MULE-Shout
TIM GRIMM-The Turning Point [leggi recensione]
KINGS OF LEON-Mechanical Bull [leggi recensione]
MAVES STAPLES-One True Vine
JAKE BUGG-Shangri La [leggi recensione]
SLAID CLAVES-Still Fighting The War
STEPHEN STILLS-Carry On
JOE NOLAN-Tornado
EELS-Wonderful, Glorious [leggi recensione]
SHOOTER JENNINGS- The Other Life [leggi recensione]
CHET O'KEEFE-Because Of You [leggi recensione]
JOHNNY FLYNN- Country Mile [leggi recensione]
SLIM CESSNA'S AUTO CLUB-An Introduction for young and old Europe
MARK LANEGAN & DUKE GARWOOD-Black Pudding [leggi recensione]
NEIL YOUNG-Live At Cellar Door [leggi recensione]
ERIC CLAPTON-Old Sock
THE LONE BELLOW-The Lone Bellow [leggi recensione]
ISRAEL NASH'S-Rain Plans
LOW-The Invisible Way
JOHN MELLENCAMP/T BONE BURNETT/STEPHEN KING-Ghost Brothers Of Darland County [leggi recensione]
JOHN GRANT-Pale Greeg Ghosts
AVETT BROTHERS-Magpie and the Dandelion
STEVE MARTIN & EDIE BRICKELL-Love Has Come For You [leggi recensione]
HARPER SIMON-Division Street [leggi recensione]
JIMMY BUFFETT-Songs From St. Nowhere
RECKLESS KELLY-Long Night Moon
JIMI HENDRIX-People, Hell And Angels
THE BAND OF HEATHENS-Sunday Morning Record
BOZ SCAGGS-Memphis
DEVON ALLMAN- Turquoise
vedi anche LA MIA PLAYLIST: DISCHI ITALIANI 2013
vedi anche LA MIA PLAYLIST: ALTRI ASCOLTI (ALT/HARD/HEAVY) 2013
vedi anche LA MIA PLAYLIST: TOP 20 CLASSIC ROCK 2012
vedi anche LA MIA PLAYLIST: TOP DISCHICLASSIC ROCK 2011
vedi anche LA MIA PLAYLIST: TOP 20 CLASSIC ROCK 2010
giovedì 26 dicembre 2013
LA MIA PLAYLIST: ALTRI ASCOLTI (ALT/HARD/HEAVY) 2013
1-CLUTCH-Earth Rocker
Dalle parti di Germantown nel Maryland hanno sempre dato importanza a strumenti e amplificatori, e Earth Rocker non si sposta di una virgola dal terroso humus da cui nascono le loro canzoni e da dove sono spuntati e cresciuti i loro devoti fan, soprattutto in patria. E' sempre stato difficile etichettare la loro proposta: si è spesso scomodato lo stoner rock, ma un semplice e vetusto termine come "rock blues" lo trovo meno limitante e più aperto a contenere le numerose radici musicali che riescono a seminare con disordinata cura ma anche a strappare con forza bruta quando necessario [leggi tutto]
2-TOM KEIFER-The Way Life Goes
Tom Keifer ha ritrovato la voce. Potrebbe titolare così il quotidiano che da troppi anni è in fase di stampa in attesa del giusto giorno d'uscita. Quel giorno è finalmente arrivato, a dieci anni dall'annuncio che qualcosa bolliva in pentola, a ben diciannove dall'ultimo disco in studio registrato dal cantante con i suoi Cinderella, quel Still Climbing (1994) dimenticato in mezzo al ciclone grunge-ma da riscoprire-che sancì in qualche modo la fine della prima vera parte di carriera del gruppo (un vero scioglimento non c'è mai stato) che continuerà con sporadiche date live/tour, ma che simboleggiò anche la continuazione del triste calvario di Keifer con la sua preziosa ugola, iniziato già qualche anno prima [leggi tutto]
3-VOIVOD-Target Heart
Angel Rat, anno 1991, è l’ultimo disco che la formazione storica dei Voivod registrò. Un piccolo capolavoro. Dopo due anni arrivò anche The Outer Limits ma il bassista Blacky era già fuori squadra. Il nuovo album Target Earth riprende la storia da quegli anni, non che il periodo con Eric Forrest e l'ultimo decennio con i dischi costruiti un po’ meccanicamente con i lasciti del compianto chitarrista e fondatore Denis "Piggy" D’Amour siano da cancellare, tutt’altro-i Voivod non hanno mai sbagliato un’uscita discografica pur combattendo (e vincendo) con un destino spesso avverso- ma solo ora, dopo l’assimilazione dell’importante perdita, in primis affettiva e poi artistica ("Piggy è lo "spirito" dei Voivod "come scrivono tra le note dei ringraziamenti) ed un periodo di giusta riflessione sul futuro della band, i canadesi sembrano ritrovare gli elementi vitali per il loro sound [leggi tutto]
4-BLACK SABBATH-13
Se la storia dei Black Sabbath aveva bisogno di un degno disco per i titoli di coda-il già citato Forbidden non lo era- il piatto è servito. Non mi aspettavo nulla di più e mi accontento dei Black Sabbath che suonano come i Black Sabbath. Un "classico" come commiato è quello che ci voleva. Is this the end of beginning or the beginning of the end? Grazie di tutto.[leggi tutto]
5-THE QUIREBOYS-Beautiful Curse
Ci sono band che non hanno bisogno di uscite "alternative" di sicurezza. Ai Quireboys sono sempre bastati i marciapiedi lungo i docks londinesi, i locali fumosi con i banconi appiccicaticci che raccontavano di serate bagorde dove sesso e romanticismo stringevano patti che duravano notti intere. Le loro storie le hanno raccolte tutte lì, lungo quei metri d'asfalto disseminati di mozziconi di sigarette, vetri infranti e romantici petali di rose rosse gettati in pasto al vento, fin dal loro esordio con l'incredibile successo di A Bit Of What You Fancy (1990) che li fece diventare re del rock'n'roll per una sola notte [leggi tutto]
6-WOLF PEOPLE-Fain
Su tutto il disco aleggia sempre e comunque una misteriosa (Answer) sospensione atemporale tra sogno ( Empty Vessels) e malinconica realtà, chiaro-scuri costruiti con meticolosa perizia strumentale atti a raggiungere sempre e comunque la crescente tensione e creare phatos. [leggi tutto]
7-MOTORHEAD-Aftershock
Caro Lemmy, una volta ascoltavo i Motörhead. Ora anche. Sai perché? Perché nella vita ci si aggrappa anche alle certezze. Con le unghie consumate e i polpastrelli sanguinanti ma con la forza e la passione che non ti fanno crollare giù. Perché, quando so che arriva il momento di un nuovo disco (regolarmente ogni due anni, questa volta tre)- lo so che arriva, lo so, anche se questa estate hai spaventato tutti cancellando alcune date per motivi di salute-mi catapulto indietro ad ascoltare i vecchi dischi, anche quelli più recenti, quelli riusciti e quelli così così [leggi tutto]
8-ARBOURETUM-Coming Out Of The Fog
I desolati paesaggi dove perdersi continuano ad essere gli stessi, a cambiare è il loro approccio, sempre in continuo movimento e diccifile da acciuffare. Quaranta minuti che avvolgono con passo lento, quasi pigro ma deciso e vincente. Se non potete permettervi costosi viaggi per uscire dalla freneticità quotidiana, gli Arbouretum vi promettono il miglior comfort spazio/temporale sulla piazza.
[leggi tutto]
9-THE WINERY DOGS-The Winery Dogs
Affiatamento pazzesco che supera ogni più rosea aspettativa. Un power trio con gli attributi e le canzoni; sperando che, visti i buoni risultati, non si debba presto affiancare il loro nome a quei supergruppi che se ne vanno troppo in fretta. Se il supergruppo diventasse band? [leggi tutto]
10-QUEENS OF THE STONE AGE-...Like Clockwork
...Like Clockwork mostra un insperato segno di ripresa, battendo altre strade musicali-qui si ritorna almeno all'imprevedibilità, all'ispirazione-certamente più mature, melodiche, arrivando a completare la visione totalitaria sul pianeta musica, e fortemente influenzate, nelle liriche, dai problemi di depressione passati e superati del chitarrista: "se la vita non è altro che un sogno, allora svegliatemi" canta in Keep Your Eyes Peeled, sinistro brano blues che apre il disco [leggi tutto]
11-ALICE IN CHAINS-The Devil Put Dinosaurs Here [leggi recensione]
12-THE ANSWER-New Horizon
13-CARCASS-Surgical Steel
14-DREGEN-Dregen
15-DROPKICK MURPHYS-Signed and Sealed In Blood [leggi recensione]
16-PEARL JAM-Lightning Bolt
17-SCORPION CHILD-Scorpion Child [leggi recensione]
18-SAXON-Sacrifice
19-DEPECHE MODE-Delta Machine[leggi recensione]
20-SUICIDAL TENDENCIES-13 [leggi recensione]
21-HOGJAW-If It Ain't Broke... [leggi recensione]
22-VOLBEAT-Outlaw Gentlemen And Shady Ladies [leggi recensione]
23-IGGY POP and the STOOGES-Ready To Die
24-STATUS QUO-Bula Quo! [leggi recensione]
25-DEEP PURPLE-Now What
26-EXTREMA-The Seed Of Foolishness [leggi recensione]
27-ALTERBRIDGE-Fortress
28-MEGADETH-Super Collider
29-ROB ZOMBIE-Venemous Rat Regeneration Vendor
30-KADAVAR-Abra Kadavar
vedi anche LA MIA PLAYLIST: CLASSIC ROCK 2013
vedi anche LA MIA PLAYLIST: DISCHI ITALIANI 2013
vedi anche LA MIA PLAYLIST: TOP 10 DISCHI HARD/HEAVY 2012
vedi anche PLAYLIST: TOP DISCHI ALT/HARD/HEAVY 2011
vedi anche PLAYLIST: TOP 20 DISCHI ALT/HARD/HEAVY 2010
lunedì 23 dicembre 2013
LA MIA PLAYLIST: DISCHI ITALIANI 2013
1-CESARE CARUGI-Pontchartrain
Carugi questa volta sembra preferire il gioco delle sfumature e lo si capisce quando con una magistrale prova vocale ci fa immergere dentro alle atmosfere soul/blues, fumose, notturne e sudaticce di My Drunken Valentine-già elevata a mia preferita-che fin dal titolo ci promette un giro tra il romanticismo e la decadenza metropolitana di piccoli club malfamati e vicoli sempre troppo stretti, gli stessi frequentati dal giovanissimo Tom Waits o dal miglior Billy Joel di ritorno nella grande mela di metà anni settanta, con i tasti del pianoforte di Jacopo Creatini a battere l'atmosfera giusta ed il testo che recita una storyboard fascinosamente intrigante... [leggi tutto]
2-W.I.N.D.-Temporary Happiness
Appena parte Temporary Happiness (la canzone) si capisce quanto l'amore per il soul, il R & B, il funk di New Orleans coltivato negli anni, giochi un ruolo importante nella loro camminata verso nuove direzioni. Trombe, tromboni e sax... [leggi tutto]
3-DANIELE TENCA-Wake Up Nation
Il pregio più grande di Tenca è quello di riuscire ad unire così bene l'America musicale del blues, del blue-collar e dei folksingers con il suo vissuto: l'impegno civile, il presente della sua vita quotidiana, l'attualità stantia della sua/nostra nazione. Amata nazione. Solo chi ama il luogo in cui vive può permettersi di denunciare la (quasi) scomparsa di quella classe operaia-con i suoi diritti calpestati-, motore del paese che fu, come fatto nel precedente disco... [leggi tutto]
4-GENERAL STRATOCUSTER & THE MARSHALS-Double Trouble
un concentrato di sana passione, con le diverse carriere musicali dei componenti che trovano la via comune nell'amore viscerale, raccontato a cuore aperto, per il sano hard rock/blues dei '70, quello inglese (Free, Jeff Beck Group, Led Zeppelin, Cream, Humble Pie, Stones) con ampie spruzzate di polveroso american roots, suonato con la professionalità e l'esperienza che meriterebbero le più quotate piazze internazionali [leggi tutto]
5-HERNANDEZ & SAMPEDRO-Happy Island
Il duo dopo aver calpestato la spessa sabbia dei deserti stoner con la band Stoned Machine, ne ha setacciato la ruvidezza rock. Ciò che è rimasto è finissima sabbia dorata che si posa melodicamente su canzoni elettro/acustiche emozionali ed evocative dall'incedere pigro, come The Sky, The Water And Me che pare uscita dal prolifico "raccolto" dell'annata 1972 di Neil Young... [leggi tutto]
6-MASSIMO PRIVIERO-Ali di Libertà
In Ali Di Libertà ci sono tutte le tracce della carriera di un cantautore coerente, passionale, onesto che è andato sempre diritto per la sua strada- con relative cadute e passi falsi (Priviero del 1998 non l'ho mai digerito)- seguendo le orme dei grandi modelli americani ma riuscendo a creare il solco per una propria via al rock, con il tempo diventata riconoscibilissima, mai asservita a facili e illusorie scorciatoie per arrivare al grande pubblico-come meriterebbe... [leggi tutto]
7-MASSIMO VOLUME-Aspettando I Barbari
Chi credeva che il buonissimo ritorno (Cattive Abitudini del 2011) della creatura di Emidio Clementi fosse solo una nostalgica rimpatriata dovrà ricredersi, ascoltando uno dei loro migliori lavori in carriera. Freddi, incisivi, penetranti come sempre, con il recitato di Clementi che riesce a trovare nuove vie di espressione come succede in Dimaxion Song...
8-LUCA MILANI-Lost For Rock'n'Roll
Milani riprende in mano la chitarra elettrica che ha segnato i suoi esordi nel gruppo File, e seppur lasci l'apertura del disco alla sommessa intimità folk urbana di On A Saturday Night, amara e greve riflessione sul trascorrere del tempo (qui, tra le tante cose, richiede indietro un concerto dei The Clash, a proposito di sogni di R'n'R), si lancia in fulminanti affreschi di blue-collar rock chitarristici, sudati e fumanti, nati ai margini della città (la sua Milano)... [leggi tutto]
9-MOJO FILTER-The Roadkill Songs
I Mojo Filter guardano il rock diritto negli occhi. Ne seguono i rapidi movimenti, rincorrono i percorsi zigzaganti delle rosse vene dei capillari in evidenza, quelle che assomigliano alle forti radici di un albero secolare. Sangue e terra: elementi vitali, basilari e concreti. Anche se questa volta maggiori momenti di soul/psichedelia-comunque presenti anche nei precedenti dischi- potrebbero invogliare ad alzare le gambe dal suolo, prendere il volo e viaggiare con la mente, come succede durante la lunga jam che accompagna l'Hard/Blues di Closer To The Line [leggi tutto]
10-GIUDA-Let's Do It Again
All'estero sono già sdoganati, tanto che i migliori magazine internazionali, da a Mojo a Rolling Stone, ne hanno tessuto le lodi, da noi rimangono ancora per pochi, ma la bomba, in casa dei romani, sta per scoppiare. Football e roller skate, Denim & Leather, Rock'n'Roll e cori semplici e sfacciati. Tra i jeans sdruciti di Eddie And The Hot Rods e Dictators, l'hard/boogie degli Ac/Dc era Bon Scott, la sfacciataggine dei primissimi Kiss e il luccichio abbagliante del british glam '70...
11-LUCA ROVINI-Avanzi E Guai [leggi recensione]
12-STEFANO GALLI BAND-Play It Loud [leggi recensione]
13-I LUF-Mat e Famat [leggi recensione]
14-EVASIO MURARO-Scontro Tempo [leggi recensione]
15-NANDHA BLUES BAND-Black Strawberry Mama
16-THOMAS GUIDUCCI & THE B-FOLK GUYS-The Heart and The Black Spider [leggi recensione]
17-IL VOCIFERO-Amorte [leggi recensione]
18-TEX MEX-The Best Has Yet To Come [leggi recensione]
19-VIA DEL BLUES-World Out There [leggi Recensione]
20-GREEN LIKE JULY-Build A Fire [leggi recensione]
21-PAOLO BONFANTI-Exile On Backstreets
22-MODENA CITY RAMBLERS-Niente di Nuovo sul fronte Occidentale [leggi recensione]
23-ME PEK E BARBA-Live 2003/2013 [leggi recensione]
24-BACHI DA PIETRA-Quintale [leggi recensione]
25-MASSIMO BUBOLA-In Alto i Cuori
26-SUGAR RAY DOGS-Sick Love Affair
27-MINISTRI-Per Un Passato Migliore
28-REGO SLENTA-La Notte è A Suo Agio [leggi recensione]
29-NERA LUCE-Ad Occhi Chiusi [leggi recensione]
30-MARLENE KUNTZ-Nella tua Luce
vedi anche LA MIA PLAYLIST: CLASSIC ROCK 2013
vedi anche LA MIA PLAYLIST: ALTRI ASCOLTI (ALT/HARD/HEAVY) 2013
vedi anche LA MIA PLAYLIST: DISCHI ITALIANI 2010
vedi anche LA MIA PLAYLIST: DISCHI ITALIANI 2011
vedi anche LA MIA PLAYLIST: DISCHI ITALIANI 2012
mercoledì 18 dicembre 2013
RECENSIONE: ME PEK E BARBA (Mé, Pék e Barba 2003-2013)
ME PEK E BARBA Mé, Pék e Barba 2003-2013 (autoproduzione, 2013)
La "scatola magica" dei parmensi Me Pek e Barba è quasi senza fondo. A poco più di un anno dall'uscita del precedente disco, ritornano con un bel progetto per festeggiare i dieci anni di attività. Un CD e un DVD registrati durante il concerto tenuto al "mitico" locale della bassa reggiana, il Fuori Orario di Taneto di Gattico (RE), il 16 marzo del 2013.
"Quindici anni fa, uno dei miei sogni era poter essere su un palco come quello del Fuori Orario in un sabato sera e sognavo che dall'altra parte ci fosse tanta gente, la prima parte si avvererà, perché sul palco noi ci saremo, speriamo che si avveri anche la seconda parte" così diceva il cantante del gruppo Sandro Pezzarossa prima dell'avvenimento. Dalle immagini del docufilm e dalle canzoni del Cd sembra che anche la seconda parte si sia avverata. Il loro è un sogno folk semplice e appassionato. Un progetto audio-visivo che riesce ancora ad emanare la buona e sana passione per la musica-tra Pogues e Modena City Ramblers- che ha consolidato l'amicizia di tutta una vita. Quando l'irish folk irlandese incontra le storie della "bassa" sospese tra la terra e il cielo, il passato si mischia al presente dell'Emilia, il dialetto dialoga con l'italiano, up tempo sfrenati si alternano a mistiche e sognanti ballate, nascono canzoni senza tempo, buone per ballare tutta la notte con boccali di Pills in mano (l'alticcia danza irish La Festa Di San Luppolo contagia), saltare al ritmo del combat folk che si dilegua nel reggae (Voodoo Padano), ricordare le proprie radici con quadretti di quotidianità che non hanno date di scadenza (La Piasa), ascoltare e sognare con le storie dondolanti tra realtà e leggenda di Striament, Aloisa, e Solstizio D'Estate dove è l'antico suono della ghironda a rubare la scena.
Il docufilm girato dal regista Andrea Rossi ci racconta, invece, la preparazione dell'avvenimento e ci presenta i numerosi protagonisti con le loro stesse autopresentazioni: Sandro "se non ci fosse lui, saremmo disorganizzati...è maturato molto come leader, come animale da palcoscenico"; Stefano "detto il toro del Salento...è un bravo arrangiatore", Federico "l'anima poetica del gruppo", Davide "è pazzo... eclettico...vive delle forti passioni", Filippo "un musicista vero...che fa la differenza", Nicola "il saggio del gruppo", Michela "è uno spettacolo...presenza scenica stupenda", Simone "ci ha fatto fare un salto di qualità", Roberto "è il chierichetto, il più spirituale del gruppo", Fede due "una persona portata in modo incredibile per la musica", il Dido "persona entusiasta per qualsiasi cosa", e con la partecipazione straordinaria, durante il live, di Gigi Cavalli Cocchi alle percussioni (già produttore del precedente La Scatola Magica), Franco Giordani al mandolino che ha scritto la melodia di Polvere e Brina, ispirata da un'intervista a Mauro Corona, "quell'alpinista pazzoide che vedete in mezzo alla neve in maniche corte" e infine la banda G.Verdi di Busseto "è una figata!", ospitata nei loggioni del locale e gran protagonista nella sfrenata Il Fojonco.
Un concerto intenso e riuscito, con le immagini che riescono a trasmettere bene il calore che permeava il Fuori Orario, gremito di giovani e anziani coinvolti in balli sfrenati, abbracci e sana condivisione. Uno zoccolo duro di fan locali che spero possa espandersi e valicare presto i confini regionali per i festeggiamenti del prossimo ventennale.
vedi anche RECENSIONE: ME PEK E BARBA-La Scatola Magica (2012)
La "scatola magica" dei parmensi Me Pek e Barba è quasi senza fondo. A poco più di un anno dall'uscita del precedente disco, ritornano con un bel progetto per festeggiare i dieci anni di attività. Un CD e un DVD registrati durante il concerto tenuto al "mitico" locale della bassa reggiana, il Fuori Orario di Taneto di Gattico (RE), il 16 marzo del 2013.
"Quindici anni fa, uno dei miei sogni era poter essere su un palco come quello del Fuori Orario in un sabato sera e sognavo che dall'altra parte ci fosse tanta gente, la prima parte si avvererà, perché sul palco noi ci saremo, speriamo che si avveri anche la seconda parte" così diceva il cantante del gruppo Sandro Pezzarossa prima dell'avvenimento. Dalle immagini del docufilm e dalle canzoni del Cd sembra che anche la seconda parte si sia avverata. Il loro è un sogno folk semplice e appassionato. Un progetto audio-visivo che riesce ancora ad emanare la buona e sana passione per la musica-tra Pogues e Modena City Ramblers- che ha consolidato l'amicizia di tutta una vita. Quando l'irish folk irlandese incontra le storie della "bassa" sospese tra la terra e il cielo, il passato si mischia al presente dell'Emilia, il dialetto dialoga con l'italiano, up tempo sfrenati si alternano a mistiche e sognanti ballate, nascono canzoni senza tempo, buone per ballare tutta la notte con boccali di Pills in mano (l'alticcia danza irish La Festa Di San Luppolo contagia), saltare al ritmo del combat folk che si dilegua nel reggae (Voodoo Padano), ricordare le proprie radici con quadretti di quotidianità che non hanno date di scadenza (La Piasa), ascoltare e sognare con le storie dondolanti tra realtà e leggenda di Striament, Aloisa, e Solstizio D'Estate dove è l'antico suono della ghironda a rubare la scena.
Il docufilm girato dal regista Andrea Rossi ci racconta, invece, la preparazione dell'avvenimento e ci presenta i numerosi protagonisti con le loro stesse autopresentazioni: Sandro "se non ci fosse lui, saremmo disorganizzati...è maturato molto come leader, come animale da palcoscenico"; Stefano "detto il toro del Salento...è un bravo arrangiatore", Federico "l'anima poetica del gruppo", Davide "è pazzo... eclettico...vive delle forti passioni", Filippo "un musicista vero...che fa la differenza", Nicola "il saggio del gruppo", Michela "è uno spettacolo...presenza scenica stupenda", Simone "ci ha fatto fare un salto di qualità", Roberto "è il chierichetto, il più spirituale del gruppo", Fede due "una persona portata in modo incredibile per la musica", il Dido "persona entusiasta per qualsiasi cosa", e con la partecipazione straordinaria, durante il live, di Gigi Cavalli Cocchi alle percussioni (già produttore del precedente La Scatola Magica), Franco Giordani al mandolino che ha scritto la melodia di Polvere e Brina, ispirata da un'intervista a Mauro Corona, "quell'alpinista pazzoide che vedete in mezzo alla neve in maniche corte" e infine la banda G.Verdi di Busseto "è una figata!", ospitata nei loggioni del locale e gran protagonista nella sfrenata Il Fojonco.
Un concerto intenso e riuscito, con le immagini che riescono a trasmettere bene il calore che permeava il Fuori Orario, gremito di giovani e anziani coinvolti in balli sfrenati, abbracci e sana condivisione. Uno zoccolo duro di fan locali che spero possa espandersi e valicare presto i confini regionali per i festeggiamenti del prossimo ventennale.
vedi anche RECENSIONE: ME PEK E BARBA-La Scatola Magica (2012)
domenica 15 dicembre 2013
RECENSIONE:THE WYNNTOWN MARSHALS (The Long Haul)
THE WYNNTOWN MARSHALS The Long Haul (Blue Rose/IRD, 2013)
Pochi dubbi sullo scalo aereo che il boeing in copertina andrà ad impattare. La fascinazione degli scozzesi, di Edimburgo, The Wynntown Marshals è chiara, chiarissima. Limpida, tanto che bastano i primi accordi dell'apertura Driveaway a svelarlo, il testo ci conferma il tutto. Toccata terra, il territorio americano è lì per essere percorso da cima a fondo, attraversato con un motore rombante sotto il sedere, con una dolce compagnia nel sedile a fianco, quattro ruote fumanti e Life In The Fast Lane che esce prepotente dall'autoradio, andando a toccare i territori chitarristici cari a certo southern rock '70, a Neil Young, canadese come lo sono i sogni che provengono da Canada, canzone che svela anche tutto l'amore per le armonie vocali della west coast californiana a cavallo tra i sessanta e primi anni settanta. Un viaggio da grandi spazi che continua tra le parole di Low Country Comedown tra alt/country '90 (Wilco, Jayhawks), americana e scatti rock'n'roll e prosegue lungo le dieci tracce che compongono questo secondo disco (il primo, Westerner, fu del 2010) del gruppo guidato da Keith Benzie, cantante e chitarrista con le idee molto chiare.
Sulla strada si incontrano anche strani personaggi: la lenta Curtain Call, successo e tragedia di un sedicente mago, con il violino che guida in mezzo a desertiche solitudini e Submariner che porta all'eccesso la fascinazione per il viaggio, raccontando la storia di chi, un giorno, decide di lasciare tutto per solcare in solitaria i grandi oceani.
Anche se il tragitto, a tratti, sembra dipanarsi su strade già conosciute e battute
, ripresentando gli stessi luoghi più volte visitati dagli ascoltatori più attenti a quel che succede sul suolo musicale americano-arrivando inesorabilmente ad annullare la sorpresa della prima volta-la band dimostra di avere le idee chiare, forte di una fascinazione concreta e vissuta sulla propria pelle al cento per cento. Attitudine giusta, ampli fumanti, lunghi e distesi spazi e una cartina stradale sempre aperta: questi sono i The Wynntown Marshals da Edimburgo.
vedi anche RECENSIONE: CHET O'KEEFE-Because Of You (2013)
vedi anche RECENSIONE: JOE GRUSHECKY-Somewhere East Of Eden (2013)
vedi anche RECENSIONE:TIM GRIMM-The Turning Point (2013)
vedi anche RECENSIONE:NEIL YOUNG-Live At The Cellar Door (2013)
Pochi dubbi sullo scalo aereo che il boeing in copertina andrà ad impattare. La fascinazione degli scozzesi, di Edimburgo, The Wynntown Marshals è chiara, chiarissima. Limpida, tanto che bastano i primi accordi dell'apertura Driveaway a svelarlo, il testo ci conferma il tutto. Toccata terra, il territorio americano è lì per essere percorso da cima a fondo, attraversato con un motore rombante sotto il sedere, con una dolce compagnia nel sedile a fianco, quattro ruote fumanti e Life In The Fast Lane che esce prepotente dall'autoradio, andando a toccare i territori chitarristici cari a certo southern rock '70, a Neil Young, canadese come lo sono i sogni che provengono da Canada, canzone che svela anche tutto l'amore per le armonie vocali della west coast californiana a cavallo tra i sessanta e primi anni settanta. Un viaggio da grandi spazi che continua tra le parole di Low Country Comedown tra alt/country '90 (Wilco, Jayhawks), americana e scatti rock'n'roll e prosegue lungo le dieci tracce che compongono questo secondo disco (il primo, Westerner, fu del 2010) del gruppo guidato da Keith Benzie, cantante e chitarrista con le idee molto chiare.
Sulla strada si incontrano anche strani personaggi: la lenta Curtain Call, successo e tragedia di un sedicente mago, con il violino che guida in mezzo a desertiche solitudini e Submariner che porta all'eccesso la fascinazione per il viaggio, raccontando la storia di chi, un giorno, decide di lasciare tutto per solcare in solitaria i grandi oceani.
Anche se il tragitto, a tratti, sembra dipanarsi su strade già conosciute e battute
, ripresentando gli stessi luoghi più volte visitati dagli ascoltatori più attenti a quel che succede sul suolo musicale americano-arrivando inesorabilmente ad annullare la sorpresa della prima volta-la band dimostra di avere le idee chiare, forte di una fascinazione concreta e vissuta sulla propria pelle al cento per cento. Attitudine giusta, ampli fumanti, lunghi e distesi spazi e una cartina stradale sempre aperta: questi sono i The Wynntown Marshals da Edimburgo.
vedi anche RECENSIONE: CHET O'KEEFE-Because Of You (2013)
vedi anche RECENSIONE: JOE GRUSHECKY-Somewhere East Of Eden (2013)
vedi anche RECENSIONE:TIM GRIMM-The Turning Point (2013)
vedi anche RECENSIONE:NEIL YOUNG-Live At The Cellar Door (2013)
martedì 10 dicembre 2013
RECENSIONE: NEIL YOUNG (Live At The Cellar Door)
NEIL YOUNG Live At The Cellar Door (Reprise Records, 2013)
Non abbiate fretta. Qualcuno (chi? io?) si aspettava che gli archivi facessero un balzello temporale in avanti. Non di molto, bastavano due anni. Superare il 1972 e trovarsi davanti alle nebbie di uno dei periodi più scuri della carriera del canadese, ma certamente tra i più prolifici ed ispirati, ancora tutto da scoprire nei tanti album mai venuti alla luce. Non abbiate fretta però, perché potrebbe bastare una rarissima Cinnamon Girl suonata al pianoforte per cambiare idea e farvi venire voglia di rimanere ancora un po' con le orecchie appoggiate a questo 1970, anno ricco e cruciale come non mai per Neil Young, dichiarato unanimemente artista dell'anno: già fuori in Marzo con Deja Vù insieme a Crosby, Stills e Nash ma alle prese con un difficile seguito che mai vedrà la luce-che inesorabilmente sembra già calare d'intensità sul supergruppo- e con i protagonisti lanciati verso le rispettive carriere soliste ("cocaina ed ego distrussero il gruppo" dirà invece Neil Young) e con il fresco After The Goldrush uscito a Settembre da presentare, da cui attingerà parecchio in questi sei show acustici, porzione di una serie di concerti affrontati in solitaria in piccolissimi spazi tra la fine del 1970 e l'inizio del 1971, e che sarebbero dovuti confluire in un disco live mai portato a conclusione (naturalmente). Ad attendervi è la cronaca spiccia e selezionata delle sei performance intime-quasi fosse nella familiarità del buen retiro a Topanga Canyon-trascorse tra il 30 Novembre e il 2 Dicembre del 1970 al Cellar Door di Washington D.C., un piccolissimo locale tra la 34th Street e la M Street con il pubblico alle calcagna, un music club dove i grandi artisti usavano mettersi alla prova e teatro di numerosi dischi live tra cui spicca quello di Miles Davis.
Non abbiate fretta, perché se volete le nere sabbie mobili di On The Beach, dentro a questi 45 minuti (13 canzoni) trovate pure quelle, le prime sfumature di grigio si intravedono nell' embrionale versione al pianoforte di See The Sky About To Rain, intensa canzone che apparirà solo quattro anni più tardi proprio in quell'album, ed una splendida versione di Old Man, canzone scritta per il vecchio Louis, custode del Broken Arrow Ranch appena acquistato: fredda, cruda ma con la dolcezza di una carezza che verrà ripresa, colorata, scaldata e arricchita su Harvest grazie agli interventi di James Taylor e Linda Ronstadt. Basterebbero queste tre canzoni per mitigare l'ansia. Invece ci si perde, ancora una volta, dentro all'essenzialità di un artista venticinquenne che già teneva in pugno l'audience con la sola profondità di una chitarra acustica ed un pianoforte-il vero protagonista di questi concerti-, già forte di un passato importante da raccontare (Flying On The Ground Is Wrong, Expecting To Fly, I Am A Child dei Buffalo Springfield, l'album Everybody Knows This Is Nowhere (1969) da cui vengono riprese Cinnamon Girl, Down By The River, Cowgirl In The Sand), un presente tormentato dalle visioni apocalittiche che ispirarono un film-mai realizzato-che a sua volta ispirò After The Goldrush (Tell Me Why, Only Love Can Break Your Heart alla chitarra, l'epica After The Goldrush al piano, Don't Let It Bring You Down, Birds) , ed un futuro già parzialmente scritto (Old Man, See The sky About The Rain), perché quando Neil Young ti presenta una nuova canzone, nella sua testa è già sostituita da un'altra, prossima a venire. Da crimine sembra essere, se mai ci fosse stato, il parziale taglio delle parti parlate di Neil Young tra un brano e l'altro, essenziali per render l'idea dell'atmosfera che si respirava in quella piccola e calda location, eccetto per l'inizio della finale Flying On The Ground Is Wrong, dove Young parla e scherza sulle sue virtù al pianoforte.
Neil Young al Cellar Door è un artista ansioso di imboccare la carriera solista, di mettersi alla prova, testarsi, dimostrare prima a se stesso poi al grande pubblico quanto la vita di gruppo gli andasse stretta, troppo stretta. Questo è l'antipasto che sublimerà solo due mesi dopo durante i- già pubblicati- concerti alla Massey Hall che ce lo mostrano più sicuro e in palla, nonostante i lancinanti dolori alla schiena che lo tormentarono in quel periodo, facendo risultare questa uscita un gradino sotto a quelle registrazioni (sette canzoni su tredici sono presenti anche nella setlist di Live At Massey Hall 1971). Sarebbe stato preferibile far uscire Cellar Door prima delle registrazioni alla Massey Hall di Toronto, ma all'interno del disordine cronologico younghiano tutto è permesso, e noi ci adeguiamo come sempre. Ora, però, proseguiamo. Senza fretta, naturalmente.
"Ai tempi il Cedars era un vecchio ospedale. Io ero in trazione, c'erano cavi e pesi che tiravano il piede per alleviare la pressione sui dischi della spina dorsale. (Mentre ero lì, ascoltai molto una cassetta del Cellar Door di Washington. Era un nastro inciso di recente dal vivo con Henry Lewy. Era veramente ottimo e scrissi alcuni appunti; un giorno pubblicherò un album veramente figo di quei tempi...)" da Il Sogno di un hippie di Neil Young.
vedi anche RECENSIONE:NEIL YOUNG & CRAZY HORSE-Americana (2012)
vedi anche RECENSIONE: NEIL YOUNG & CRAZY HORSE-Psychedelic Pill (2012)
vedi anche RECENSIONE: DAVID CROSBY-Croz (2014)
RECENSIONE: NEIL YOUNG-Storytone (2014)
vedi anche NEIL YOUNG & CRAZY HORSE live @ Barolo, Collisioni, 21 Luglio 2014
Non abbiate fretta. Qualcuno (chi? io?) si aspettava che gli archivi facessero un balzello temporale in avanti. Non di molto, bastavano due anni. Superare il 1972 e trovarsi davanti alle nebbie di uno dei periodi più scuri della carriera del canadese, ma certamente tra i più prolifici ed ispirati, ancora tutto da scoprire nei tanti album mai venuti alla luce. Non abbiate fretta però, perché potrebbe bastare una rarissima Cinnamon Girl suonata al pianoforte per cambiare idea e farvi venire voglia di rimanere ancora un po' con le orecchie appoggiate a questo 1970, anno ricco e cruciale come non mai per Neil Young, dichiarato unanimemente artista dell'anno: già fuori in Marzo con Deja Vù insieme a Crosby, Stills e Nash ma alle prese con un difficile seguito che mai vedrà la luce-che inesorabilmente sembra già calare d'intensità sul supergruppo- e con i protagonisti lanciati verso le rispettive carriere soliste ("cocaina ed ego distrussero il gruppo" dirà invece Neil Young) e con il fresco After The Goldrush uscito a Settembre da presentare, da cui attingerà parecchio in questi sei show acustici, porzione di una serie di concerti affrontati in solitaria in piccolissimi spazi tra la fine del 1970 e l'inizio del 1971, e che sarebbero dovuti confluire in un disco live mai portato a conclusione (naturalmente). Ad attendervi è la cronaca spiccia e selezionata delle sei performance intime-quasi fosse nella familiarità del buen retiro a Topanga Canyon-trascorse tra il 30 Novembre e il 2 Dicembre del 1970 al Cellar Door di Washington D.C., un piccolissimo locale tra la 34th Street e la M Street con il pubblico alle calcagna, un music club dove i grandi artisti usavano mettersi alla prova e teatro di numerosi dischi live tra cui spicca quello di Miles Davis.
Non abbiate fretta, perché se volete le nere sabbie mobili di On The Beach, dentro a questi 45 minuti (13 canzoni) trovate pure quelle, le prime sfumature di grigio si intravedono nell' embrionale versione al pianoforte di See The Sky About To Rain, intensa canzone che apparirà solo quattro anni più tardi proprio in quell'album, ed una splendida versione di Old Man, canzone scritta per il vecchio Louis, custode del Broken Arrow Ranch appena acquistato: fredda, cruda ma con la dolcezza di una carezza che verrà ripresa, colorata, scaldata e arricchita su Harvest grazie agli interventi di James Taylor e Linda Ronstadt. Basterebbero queste tre canzoni per mitigare l'ansia. Invece ci si perde, ancora una volta, dentro all'essenzialità di un artista venticinquenne che già teneva in pugno l'audience con la sola profondità di una chitarra acustica ed un pianoforte-il vero protagonista di questi concerti-, già forte di un passato importante da raccontare (Flying On The Ground Is Wrong, Expecting To Fly, I Am A Child dei Buffalo Springfield, l'album Everybody Knows This Is Nowhere (1969) da cui vengono riprese Cinnamon Girl, Down By The River, Cowgirl In The Sand), un presente tormentato dalle visioni apocalittiche che ispirarono un film-mai realizzato-che a sua volta ispirò After The Goldrush (Tell Me Why, Only Love Can Break Your Heart alla chitarra, l'epica After The Goldrush al piano, Don't Let It Bring You Down, Birds) , ed un futuro già parzialmente scritto (Old Man, See The sky About The Rain), perché quando Neil Young ti presenta una nuova canzone, nella sua testa è già sostituita da un'altra, prossima a venire. Da crimine sembra essere, se mai ci fosse stato, il parziale taglio delle parti parlate di Neil Young tra un brano e l'altro, essenziali per render l'idea dell'atmosfera che si respirava in quella piccola e calda location, eccetto per l'inizio della finale Flying On The Ground Is Wrong, dove Young parla e scherza sulle sue virtù al pianoforte.
Neil Young al Cellar Door è un artista ansioso di imboccare la carriera solista, di mettersi alla prova, testarsi, dimostrare prima a se stesso poi al grande pubblico quanto la vita di gruppo gli andasse stretta, troppo stretta. Questo è l'antipasto che sublimerà solo due mesi dopo durante i- già pubblicati- concerti alla Massey Hall che ce lo mostrano più sicuro e in palla, nonostante i lancinanti dolori alla schiena che lo tormentarono in quel periodo, facendo risultare questa uscita un gradino sotto a quelle registrazioni (sette canzoni su tredici sono presenti anche nella setlist di Live At Massey Hall 1971). Sarebbe stato preferibile far uscire Cellar Door prima delle registrazioni alla Massey Hall di Toronto, ma all'interno del disordine cronologico younghiano tutto è permesso, e noi ci adeguiamo come sempre. Ora, però, proseguiamo. Senza fretta, naturalmente.
"Ai tempi il Cedars era un vecchio ospedale. Io ero in trazione, c'erano cavi e pesi che tiravano il piede per alleviare la pressione sui dischi della spina dorsale. (Mentre ero lì, ascoltai molto una cassetta del Cellar Door di Washington. Era un nastro inciso di recente dal vivo con Henry Lewy. Era veramente ottimo e scrissi alcuni appunti; un giorno pubblicherò un album veramente figo di quei tempi...)" da Il Sogno di un hippie di Neil Young.
vedi anche RECENSIONE:NEIL YOUNG & CRAZY HORSE-Americana (2012)
vedi anche RECENSIONE: NEIL YOUNG & CRAZY HORSE-Psychedelic Pill (2012)
vedi anche RECENSIONE: DAVID CROSBY-Croz (2014)
RECENSIONE: NEIL YOUNG-Storytone (2014)
vedi anche NEIL YOUNG & CRAZY HORSE live @ Barolo, Collisioni, 21 Luglio 2014
martedì 3 dicembre 2013
RECENSIONE:GENERAL STRATOCUSTER AND THE MARSHALS(Double Trouble)
GENERAL STRATOCUSTER AND THE MARSHALS Double Trouble (Red Cat Records/Audioglobe, 2013)
Un valoroso generale ben saldo al comando con sei corde di chitarra Fender tese, accordate e puntate verso il passato, e quattro potenti casse collegate ad amplificarne i comandi. Cosa chiedere di più ad una rock band? Quando poi ci mettono nove canzoni per 35 minuti di musica (la perfezione, quella dei dischi di un tempo) senza riempitivi e note inutili, il gioco è fatto. Piace e convince. Lo scetticismo legato alla corta longevità discografica dei super gruppi-la fascinosa e dannata storia del rock vuole così-è annullato dal seguito del superbo esordio della band fiorentina, un concentrato di sana passione, con le diverse carriere musicali dei componenti che trovano la via comune nell'amore viscerale, raccontato a cuore aperto, per il sano hard rock/blues dei '70, quello inglese (Free, Jeff Beck Group, Led Zeppelin, Cream, Humble Pie, Stones) con ampie spruzzate di polveroso american roots, suonato con la professionalità e l'esperienza che meriterebbero le più quotate piazze internazionali (visto lo striminzito spazio che i nostri media dedicano al rock sarebbe opportuno espatriare) con i locali quanto meno brulicanti di gente. Insieme a Rival Sons, The Answer e Scorpion Child, solo tre nomi affini alla band toscana venuti alla ribalta in campo mondiale negli ultimissimi anni, i General Stratocuster and the Marshals ci stanno alla grande e fanno la loro figura. Provare per credere. Internazionale è comunque il cantante: Jacopo Meille che, oltre a mille impegni in altre band e come critico musicale su svariati magazine, da alcuni anni è il frontman a tempo pieno dei britannici Tygers Of Pan Tang, storico gruppo della NWOBHM nato insieme a Iron Maiden, Saxon e Def Leppard ma rimasto cult, sfortunato e per pochi. Per pochi ma con l'augurio di esplodere lo sono, per ora, anche i GSATM.
Per chi si fosse perso il primo appuntamento, il consiglio è quello di andarsi a recuperare l'esordio omonimo del 2011 e poi continuare il viaggio partendo dalla viziosa, d'impatto e colorata copertina di questo Double Trouble (i caratteri del monicker vi ricordano qualcosa?). La band mantiene le promesse-già certezze-dell' esordio, lasciando il doppio gioco solamente alla parte iconografica del progetto. Qui non c'è nessun inganno. E' la verità del rock'n'roll a venire a galla: pane al pane, vino al vino, chitarre che suonano come chitarre (il generale Fabio Fabbri, è lui al comando), basso che stantuffa (Richard Ursillo già nei Sensation Fix e Campo di Marte), batteria che pesta quando deve (Alessandro 'Nuto' Nutini dei Bandabardò) e tastiere importanti nell'economia finale senza mai invadere (Federico Pacini), fin dalla prima traccia Drifter, suono teso, sinistro e zeppeliniano che prepara all'esplosione rock'n'roll di Cute Evil Angel che accoppia un rifferama alla Keith Richards alla timbrica plantiana di Jacopo Meille che si conferma una delle migliori ugole sulla piazza. Lo shuffle di Double Trouble gioca viziosamente con il funk grazie alla presenza dei fiati, ricordando sì i Rolling Stones di metà carriera ma facendomi venire in mente anche il primissimo e ispiratissimo Lenny Kravitz di Mama Said, quello ancora lontano dallo show-business tritatutto.
What Are You Looking For fa scuotere il sedere, un cosmic honky tonk che fa a pugni contro la successiva Don't Be Afraid Of The Dark che dice tutto nel titolo, lenta atmosferica discesa nell'oscurità con la voce di Meille che ci accompagna nel sottoscala tetro e spaventoso.
Per chi ha paura del buio, nella parte B-mi piace viverlo come un vinile-cala la tensione. Non la qualità, sia chiaro. Un trittico di ottime ballate acustiche (l'unico appunto che posso trovare è la loro sequenzialità), che esplorano la facciata americana fatta di scintillante country (Alone), il falsetto che accompagna I Just Got Scared , a metà strada tra Purple Rain e Wild Horsers , la melodica e sognante Time, facendo da preludio all'ultima scossa tellurica della finale Push The Limit, un veloce ed energico rock'n'roll, unione perfetta tra il lato yankee e quello british della loro musica. Un arrivederci con il botto, perché mi piace pensare che i General Stratocuster and the Marshals da super gruppo ("nella musica rock e pop in genere, il termine supergruppo o superband si riferisce a un gruppo musicale composto da musicisti particolarmente celebrati per il loro talento tecnico e in genere già divenuti famosi in altri gruppi" da: Wikipedia) diventino super gruppo ("band come poche in Italia" da: me stesso). Come riverniciare le stanze dell'hard rock/blues con colori (rigorosamente
made in Italy) ancora freschi, genuini e eternamente duraturi. Qualcuno, pace all'anima sua, lo cantava: Long Live Rock'n'Roll.
Ora pensateci voi.
vedi anche RECENSIONE: GENERAL STRATOCUSTER and the MARSHALS (2011)
vedi anche RECENSIONE: W.I.N.D.-Temporary Happiness (2013)
vedi anche RECENSIONE: MOJO FILTER-The Roadkill Songs (2013)
Un valoroso generale ben saldo al comando con sei corde di chitarra Fender tese, accordate e puntate verso il passato, e quattro potenti casse collegate ad amplificarne i comandi. Cosa chiedere di più ad una rock band? Quando poi ci mettono nove canzoni per 35 minuti di musica (la perfezione, quella dei dischi di un tempo) senza riempitivi e note inutili, il gioco è fatto. Piace e convince. Lo scetticismo legato alla corta longevità discografica dei super gruppi-la fascinosa e dannata storia del rock vuole così-è annullato dal seguito del superbo esordio della band fiorentina, un concentrato di sana passione, con le diverse carriere musicali dei componenti che trovano la via comune nell'amore viscerale, raccontato a cuore aperto, per il sano hard rock/blues dei '70, quello inglese (Free, Jeff Beck Group, Led Zeppelin, Cream, Humble Pie, Stones) con ampie spruzzate di polveroso american roots, suonato con la professionalità e l'esperienza che meriterebbero le più quotate piazze internazionali (visto lo striminzito spazio che i nostri media dedicano al rock sarebbe opportuno espatriare) con i locali quanto meno brulicanti di gente. Insieme a Rival Sons, The Answer e Scorpion Child, solo tre nomi affini alla band toscana venuti alla ribalta in campo mondiale negli ultimissimi anni, i General Stratocuster and the Marshals ci stanno alla grande e fanno la loro figura. Provare per credere. Internazionale è comunque il cantante: Jacopo Meille che, oltre a mille impegni in altre band e come critico musicale su svariati magazine, da alcuni anni è il frontman a tempo pieno dei britannici Tygers Of Pan Tang, storico gruppo della NWOBHM nato insieme a Iron Maiden, Saxon e Def Leppard ma rimasto cult, sfortunato e per pochi. Per pochi ma con l'augurio di esplodere lo sono, per ora, anche i GSATM.
Per chi si fosse perso il primo appuntamento, il consiglio è quello di andarsi a recuperare l'esordio omonimo del 2011 e poi continuare il viaggio partendo dalla viziosa, d'impatto e colorata copertina di questo Double Trouble (i caratteri del monicker vi ricordano qualcosa?). La band mantiene le promesse-già certezze-dell' esordio, lasciando il doppio gioco solamente alla parte iconografica del progetto. Qui non c'è nessun inganno. E' la verità del rock'n'roll a venire a galla: pane al pane, vino al vino, chitarre che suonano come chitarre (il generale Fabio Fabbri, è lui al comando), basso che stantuffa (Richard Ursillo già nei Sensation Fix e Campo di Marte), batteria che pesta quando deve (Alessandro 'Nuto' Nutini dei Bandabardò) e tastiere importanti nell'economia finale senza mai invadere (Federico Pacini), fin dalla prima traccia Drifter, suono teso, sinistro e zeppeliniano che prepara all'esplosione rock'n'roll di Cute Evil Angel che accoppia un rifferama alla Keith Richards alla timbrica plantiana di Jacopo Meille che si conferma una delle migliori ugole sulla piazza. Lo shuffle di Double Trouble gioca viziosamente con il funk grazie alla presenza dei fiati, ricordando sì i Rolling Stones di metà carriera ma facendomi venire in mente anche il primissimo e ispiratissimo Lenny Kravitz di Mama Said, quello ancora lontano dallo show-business tritatutto.
What Are You Looking For fa scuotere il sedere, un cosmic honky tonk che fa a pugni contro la successiva Don't Be Afraid Of The Dark che dice tutto nel titolo, lenta atmosferica discesa nell'oscurità con la voce di Meille che ci accompagna nel sottoscala tetro e spaventoso.
Per chi ha paura del buio, nella parte B-mi piace viverlo come un vinile-cala la tensione. Non la qualità, sia chiaro. Un trittico di ottime ballate acustiche (l'unico appunto che posso trovare è la loro sequenzialità), che esplorano la facciata americana fatta di scintillante country (Alone), il falsetto che accompagna I Just Got Scared , a metà strada tra Purple Rain e Wild Horsers , la melodica e sognante Time, facendo da preludio all'ultima scossa tellurica della finale Push The Limit, un veloce ed energico rock'n'roll, unione perfetta tra il lato yankee e quello british della loro musica. Un arrivederci con il botto, perché mi piace pensare che i General Stratocuster and the Marshals da super gruppo ("nella musica rock e pop in genere, il termine supergruppo o superband si riferisce a un gruppo musicale composto da musicisti particolarmente celebrati per il loro talento tecnico e in genere già divenuti famosi in altri gruppi" da: Wikipedia) diventino super gruppo ("band come poche in Italia" da: me stesso). Come riverniciare le stanze dell'hard rock/blues con colori (rigorosamente
made in Italy) ancora freschi, genuini e eternamente duraturi. Qualcuno, pace all'anima sua, lo cantava: Long Live Rock'n'Roll.
Ora pensateci voi.
vedi anche RECENSIONE: GENERAL STRATOCUSTER and the MARSHALS (2011)
vedi anche RECENSIONE: W.I.N.D.-Temporary Happiness (2013)
vedi anche RECENSIONE: MOJO FILTER-The Roadkill Songs (2013)
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