L'ennesimo suicidio. Oggi sul giornale, un altro quarto di pagina è dedicato a chi, strozzato da una crisi che solo pochi mesi fa ci dicevano essere passata, se non-addirittura-inesistente, si toglie la vita. Vittima di un lavoro che non c'è più. Notizie che passano quotidianamente (con la stampa non immune da colpe nel calcare la mano, diffondendo terrore più del dovuto), così veloci che sembrano diventate pericolosa routine, in una società che sembra non volersi fermare un solo secondo. Una pausa per riflettere è quello che ci vorrebbe in mezzo a continue discussioni su proposte di legge, cancellazione di articoli, violazione di diritti acquisiti negli anni con tanta fatica e salari fermi e stagnanti alla prima repubblica.
Uno stato che non ascolta, impegnato solamente a chiedere, e banche che guardano dall'alto di una piramide conquistata senza troppa fatica. Il lavoro è diventato campo di battaglia da difendere con i denti, ma anche luogo dove la velocità si è impadronita di tutto. Tagli di personale, imprenditori alle corde, leggi per la sicurezza dribblate per ottimizzare i costi, dignità operaia cancellata in favore della competizione più sfrenata, non ultimo: fabbriche che si accartocciano come castelli di carte sopra agli operai e sotto le infernali scosse del terremoto di questo Maggio 2012, da dimenticare.
Qualunquismo, retorica, populismo? Se chiamassimo il tutto con il suo vero nome? Realtà (scomoda)? Chi si nasconde ancora dietro a questi aggettivi non conosce i fatti. Non ha mai calpestato il campo, continua a guardare il tutto da una tribuna, lassù in alto, che l'onore non sa cosa sia. Non ha mai varcato i cancelli di una fabbrica alle 5 e 30 di mattina, con gli occhi stropicciati che ancora bruciano, aspettando il suono di una sirena che ora rimane solamente appesa ad un sottile filo elettrico; timbrato un cartellino e sporcato i suoi arti di olio e grasso, aspettando-e sperando- che quella sirena, a penzoloni, suoni una seconda volta.
Daniele Tenca, solo due anni fa, con grande coraggio e dedizione, alla classe operaia ha dedicato un intero disco, che in questi tempi di vuoto assoluto, dovrebbe e meriterebbe di riempire quei vuoti che la musica italiana ha su certi argomenti, relegati a sporadiche canzoni cantautoriali o sotto la sempre scomoda etichetta di canzoni di protesta, che vengono rispolverate quando fa comodo, nelle date delle solite ricorrenze, per venire immediatamente dimenticate il giorno dopo.
Concetti ribaditi e sottolineati l'anno scorso con un live, Live For The Working Class(2011), che attraverso la ruvidezza di un concerto dava una seconda vita ai suoi testi, amplificandone il significato.
Undici piccole storie dove Tenca trasporta le lezioni cantautorali del folk/rock dentro al suo blues: quelle americane di Guthrie, Seeger, Phil Ochs, Dylan e Springsteen; quelle del proletariato inglese di Billy Bragg e Joe Strummer, e quelle italiane degli anni settanta e di certi gruppi, come i Gang, mai elogiati a dovere (scomodi pure loro?).
Carriera ventennale segnata e legata prima alla tribute band di Springsteen, i Badlands, poi dal primo disco solista in italiano "Guarda Il Sole", ora dal passaggio all'inglese e questo album dedicato-interamente- ad un tema scottante e sempre d'attualità. Tenca si immerge completamente, armato di penna, chitarra e cuore, con cognizione di causa e conoscenza (quando non suona è impegnato nel campo della sicurezza sul lavoro ) in liriche che non hanno paura di affrontare argomenti dimenticati negli impolverati e scomodi spartiti degli anni settanta, almeno qui in Italia. Un concept sulle condizioni lavorative che riesce a toccare il nervo scoperto: le difficoltà nel portare avanti una famiglia e l'amore in tempi di profonda crisi (Cold Comfort), gli infotuni sul lavoro (nel martellante e ripetitivo ritmo da fabbrica nel blues di The Plant), i pericoli di chi lavora nell'oscurità in mezzo ad una autostrada nel blues acustico di Spare Parts, il banjo che accompagna le storie di chi in fabbrica ha perso i propri cari e si trova solo davanti ad una vita ancora tutta da vivere (He's working). Ancora: le fabbriche che chiudono (The Mills are closing down), la gente che perde il proprio lavoro (My work no longer fits for you) e avvenimenti di cronaca recente da non dimenticare, raccontati nella tesa ed elettrica 49 People, ispirata dalla vicenda degli operai della INNSE di Lambrate.
Un campionario poco edificante, raccontato con vero trasporto e dovizia di particolari, riscontrabile nei curati testi a cui si aggiungono il traditional folk Eyes on the prize insieme agli ospiti Cesare Basile e Marino Severini dei Gang., già rifatta da tanti, tra cui mi piace ricordare la bella reinterpretazione di Mavis Staples insieme a Ry Cooder, contenuta in We'll Never Turn Back(2007) e la rilettura in chiave blues dell'immancabile Factory di Springsteen.
Il finale scelto da Tenca è di speranza. Nel blues elettrico di This working day will be fine, con "l'armonica ospite" di Andy J. Forest e l'auspicio che un giorno, tutti possano ripetere questa frase a inizio turno: "Questa giornata di lavoro sarà fantastica" e uscire dai cancelli della propria fabbrica, a fine giornata con un sorriso che conferma quelle parole.
Live for the working Class è l'appendice ideale di Blues for the working class. Registrato al Amigdala Theatre di Trezzo sull'Adda (MI), completa e rinvigorisce il messaggio delle canzoni. La band che lo accompagna: Pablo Leoni alla batteria, Luca Tonani al basso, Heggy Vezzano alle chitarre, a cui si aggiunge la chitarra di Leo Ghiringhelli, irrobustisce il blues di Tenca. Le vibrazioni si fanno più tese, appesantendo le denunce che i testi vogliono portare a galla. Tutto è amplificato. Il Live riprende otto delle undici canzoni del disco in studio, dalla robusta e trascinante 49 People, alla sofferta Flowers at the gates, passando ai momenti acustici di Spare Parts, e aggiungendo le proprie riletture in chiave blues di Johhny 99, della più leggera Red Headed Woman sempre di Springsteen, scritta per la moglie Patti Scialfa e apparsa per la prima volta nel disco unplugged, Breach in the Levee di Andy J. Forest e il finale affidato al traditional John Henry. Da segnalare, infine, anche il buon lavoro fatto in coppia con Francsco Piu, sull'ultimo album del bluesman sardo.
vedi anche RECENSIONE: DANIELE TENCA-Wake Up Nation (2013)
vedi anche RECENSIONE: DANIELE TENCA-Wake Up Nation (2013)