venerdì 21 gennaio 2022

RECENSIONE: JOHN MELLENCAMP (Strictly A One-Eyed Jack)

 

JOHN MELLENCAMP  Strictly A One-Eyed Jack (Republic Records, 2022)



quello che vedo non mi piace

A pochi giorni dall'uscita del nuovo disco di John Mellencamp, la notizia che innalza Bruce Springsteen  come artista musicale che ha guadagnato di più nel corso del 2021 (la cessione del catalogo ha fatto effetto) può stridere con l'ultimo tratto di carriera del "Little Bastard" dell'Indiana: nel corso della sua carriera Mellencamp ha piano piano scelto un basso profilo musicale, e la coerenza artistica come  punto fermo, senza mai cedere al facile compiacimento (ricordate il concerto di Vigevano?) e uscendo ultimamente con un "non mi piace suonare nelle grandi arene" che sembra confermare il tutto, se non fosse che Springsteen lascia la sua voce e chitarra in ben tre canzoni qua dentro. In quella 'Wasted Years' uscita a sorpresa dopo l'estate a confermare la collaborazione tra i due dopo alcune foto sibilline comparse in rete, amara riflessione sul tascorrere del tempo e la vecchiaia che bussa alle porte, concludendosi con "la fine sta arrivando, è quasi arrivata" che sembra lasciare ben poche speranze nel futuro dietro l'angolo, una più movimentata 'Did You Say Such a Thing' che si ricollega alla metà carriera di Mellencamp, e la finale 'A Life Full of Rain', ballata al pianoforte condotta in porto da vero crooner, con il suo testo da "una vita piena di pioggia, senza un posto asciutto dove stare" che conferma una certa disillusione di fondo. Nuovamente. 

L'incontro tra i due era però scritto dal destino e recentemente Mellencamp ne ha raccontato la genesi. 

"L'incontro con Bruce è stato del tutto casuale. Per tutta la mia carriera sono sempre stato indicato come il Bruce Springsteen dei poveri. E io e Bruce ci conosciamo da anni. Ci siamo conosciuti anni fa, ci conoscevamo abbastanza per salutarci. Ma abbiamo fatto una cosa nella foresta pluviale per Sting e abbiamo suonato insieme. E all'improvviso è diventato come il mio fratello maggiore, e mi trattava come se fossi suo fratello, e io lo trattavo con rispetto. Poi siamo diventati davvero buoni amici, ed è semplicemente successo. È venuto in Indiana, è rimasto a casa mia… ". 



Ma sarebbe veramente un delitto far passare questo nuovo album solo per "il disco con Springsteen" perché ancora una volta Mellencamp ci dimostra d'essere uno dei migliori songwriter impressionisti che calpestano le terre americane e qui viene pure fuori il pittore che ha dentro. Un'analisi di quello che gli occhi vedono intorno ma anche, spesso, un'autoanalisi sincera e profonda. Consapevolezza o forse rassegnazione davanti alle "estati migliori" che non torneranno più.  

Nel crescendo di 'I Am A Man To Worries' canta: "sono preoccupato per le parole che sento, sono preoccupato per tutte queste brutte notizie, so che è una maledizione che  non andrà più via".

E da tempo ha scelto di camminare dentro i solchi delle radici, lasciando la via del rock ad altri (anche se in 'Lie To me' ci ritorna con accenni quasi dylaniani), accontentandosi di suoni roots, nudi, acustici, minimali, intimi, caldi, mai over prodotti (chi ha detto Springsteen?) dando alla sua voce sempre più sporca e roca (recentemente ci ha pure scherzato su: "finalmente le tante sigarette fanno il loro effetto") la possibilità di mettersi in evidenza cantando di bugie e bugiardi (la dimessa 'I Always Lie to Strangers' che apre il disco con il violino piangente, 'Lie To Me'), e calpestando insoliti territori jazz come succede in 'Gone So Soon', notturna gita dalle parti del primo Tom Waits con la tromba di Joey Turtell a soffiare nel buio . Una bella sorpresa.

È un disco che segue la scia delle ultime produzioni, dai toni generali spesso dimessi, dettati da una pandemia che ha lasciato troppi dubbi, poche certezze, tanti rimpianti e pochi sprazzi di luce vera, se non presenti in 'Chasing Rainbows' se si vuole cercare tra le righe. 

Dove la fisarmonica guida a fari spenti 'Driving In The Rain', il pianoforte e l'acustica la spoglia 'Streets Of Galilee', gli stacchi funky si impossessano di una magnifica 'Sweet Honey Brown' e il lavoro dei fidi Andy York e Mike Wanchic alle chitarre, Dane Clark (batteria), Troye Kinnett (piano e fisarmonica), John Gunnell (basso), Merritt Liar (violino) e Miriam Sturm (violino) è una certezza su cui contare sempre. 

Certo, la presenza di Springsteen potrebbe riportare Mellencamp sulle prime pagine dopo molto tempo ma questo album non ha nessuna caratteristica dei dischi che si fanno comprare, ascoltare e amare con troppa facilità dal mainstream. La scelta di non segnalare la presenza di Springsteen con nessun adesivo e nemmeno con un semplice "feauturing" dopo le canzoni la dice lunga: nessuna scorciatoia. Questo è un grande disco e Mellencamp ha sbagliato poche volte in carriera.

D'altronde Mellencamp lo dice spiegando il significato della canzone che da il titolo all'album: "non sono per tutti".







1 commento:

  1. Sempre ottime recensioni! L'ho già ordinato in negozio a Milano (no amazon) e sono curioso di ascoltarlo. Ma i suoi ultimi dischi sono stati quasi sempre ottimi quindi non vedo l'ora;)

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