sabato 4 agosto 2018

RECENSIONE: LUCERO (Among The Ghosts)

LUCERO Among The Ghosts (Liberty & Lament, 2018)
 
 
 
 
 
 
 
“Sono più felice di quanto lo sia mai stato, ma ho scritto alcune delle canzoni più oscure di sempre. Ora la posta in gioco è più alta. Ho qualcosa da perdere. Ho qualcosa a cui tengo davvero. In passato, non importava in che direzione andava il mondo, ma ora ho una bambina. E le cose contano di più e sono più spaventose di quanto lo erano prima.” Ecco uno dei perni su cui ruota il nuovo album dei Lucero, la fresca paternità del cantante e principale autore Ben Nichols. “Everything Has Changed” canta nell’omonima canzone. Cambia la prospettiva della visuale sul mondo, i suoi testi non sono più autobiografici ma aperti su tutto quello che da ora in avanti potrà insinuarsi tra lui e la sua famiglia. Rimane una capacità di scrittura unica e alla vecchia maniera, in grado di tracciare tratti emozionali e paesaggi che spesso coincidono con la tetra foto di copertina scelta, scattata nella città fantasma di Rodney, opera di Michael N. Foster. Un paesaggio avvolto nelle nebbie che rimanda ai lati oscuri nel Sud degli States (anche se la band rifugge da certi stereotipi a buon mercato) dove quella chiesa che si specchia tra le acque del Mississippi da voce agli spiriti maligni che viaggiano sinuosi nelle canzoni: dall’apertura ‘Among The Ghosts’ che esplode in un crescendo rock liberando antichi fantasmi Southern Gothic, a ‘For My Dearest Wife’ che prendendo spunto dalle lettere che i soldati spedirono alle mogli durante la Guerra Civile americana si catapulta all'oggi e all’intimita familiare , alle atmosfere cupe, desertiche, malinconiche e western di ‘Long Way Back Home’ al cameo di Michael Shannon in ‘Back To The Night’, un recitato tenebroso che si incastra sulle chitarre lancinanti. A cambiare è anche la direzione musicale del gruppo, dopo tre album direzionati verso il Memphis sound, tra soul e R&B (ad eccezione della finale ‘For The Lonely Ones’ che batte quei territori, un honky tonk alcolico e scatenato con la presenza del sax di Jim Spake), si ritorna a un suono più grezzo e semplice, a mancare è ancora lo slancio giovanile dei bei tempi ma quello non tornerà più , registrato quasi in presa diretta al Sam Phillips Recording Studio di Memphis, fatto di rock songs tese e ballate (‘Loving’, ‘Always Been You’ è guidata dal pianoforte di Rick Steff) condotte dalla voce rude e sincera di Nichols, che per alcuni aspetti si ricollega ai primi dischi. La produzione è di Matt Ross Spang già al lavoro con Jason Isbell e Drive By Truckers. Aggiungete la maturità e la libertà compositiva raggiunta dopo vent'anni di onorata carriera come spiega il chitarrista Brian Venable: "siamo liberi di fare tutto ciò che vogliamo. Possiamo scrivere canzoni su Butch Cassidy come in ‘Cover Me’ possiamo suonare riff dei Cure (qualcosa di simile sembra uscire da ‘Bottom Of The Sea’) , possiamo fare qualsiasi cosa vogliamo, e questa è la sua bellezza.”. Album riuscitissimo che riporta i Lucero allo start di quel genere Americana o alt Country o chiamatelo come volete tra cui furono i principali sponsor a inizio carriera.
 
 
 

 

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