Puoi partire per un viaggio e stare comodamente seduto in poltrona. E' brutto, lo so, si perde tutto il meglio, ma a volte ci si rassegna a quello che la vita ha riservato senza essere troppo di manica larga. "Hai il minimo indispensabile. Accontentati e non rompere i coglioni". Questo mi dice la vita ultimamente. Obbedisco. Eccomi qua, immaginando un cappello da cow boy calato in testa, stivali sporchi in punta e un bicchiere di spirito in mano. Togliete il bicchiere, il resto è totalmente lontano dalla mia indole, e proprio per questo mi gusto tutto al meglio. Pronti? Girate la chiave dell'auto e godetevi il panorama dettato dalle luci notturne.
Una volta esisteva un gruppo di nome Camper Van Beethoven, californiani dalla spiccata vena creativa, una miscela eterogenea e multicolore, quanto spiritosa e pungente nella forma, dove le radici americane si espandevano bene tra il punk e i mille colori della musica etnica. Il tutto si svolgeva tra i campi delle campagne americane, in mezzo alla pura tradizione, senza uso di giochi di prestigio. Duri, puri e divertenti. Quasi la perfezione. Una delle realtà alternative più originali e significative degli States anni '80. Dei pionieri che hanno aperto strade e lasciato il segno. Già nel 1992 i Camper Van Beethoven non esistono più da due anni, ma il loro leader David Lowery (anche una buona carriera come produttore e da solista) non impiega molto per inventarsi i Cracker, creatura che prosegue lo stesso discorso della band madre, ossia: fottersene di tutte le etichette e approccio alla musica che se non è perfetto, poco ci manca. I Cracker incidono dieci dischi, nel frattempo i Camper Van Beethoven si riformano nel 1999, Lowery si divide in due, tanto che ad un certo punto inizia ad essere difficile distinguere le due realtà. Barkeley To Bakersfield è la summa di trent'anni di musica, un ambizioso viaggio che porta da Barkeley, città universitaria per eccellenza e madre di numerosi gruppi punk anni '90 (NOFX, Green Day, Rancid) fino a Bakersfield (patria di Merle Haggard), città distante un poker di ore e prevalentemente agricola. Due dischi che racchiudono le due anime del gruppo, per una volta separate e distinte.
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Il viaggio prosegue fino a Bakersfield, il lato bucolico e agreste della California. Il secondo disco abbraccia la country music, grazie all'aiuto di numerosi sessionmen in aiuto all'attuale formazione della band: "classiconi" infarciti di pedal steel alla Willie Nelson (California Country Boy), chitarre acustiche, western song (Almond Grove), ballate per gite on the road (King Of Bakersfield), pigri valzer (Tonight I Cross The Border), violini, qualche svisata honk tonk (Get On Down The Road), veloci country guidati dal banjo (The San Bernardino Boy).
Il viaggio è finito. Dormite in pace. Domani si riparte.
vedi anche
RECENSIONE: RYAN BINGHAM-Fear And Saturday Night (2015)
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