domenica 15 marzo 2015

RECENSIONE: CRACKER (Berkeley To Bakersfield)

CRACKER Berkeley To Bakersfield (429 Records, 2014)




Puoi partire per un viaggio e stare comodamente seduto in poltrona. E' brutto, lo so, si perde tutto il meglio, ma a volte ci si rassegna a quello che la vita ha riservato senza essere troppo di manica larga. "Hai il minimo indispensabile. Accontentati e non rompere i coglioni". Questo mi dice la vita ultimamente. Obbedisco. Eccomi qua, immaginando un cappello da cow boy calato in testa, stivali sporchi in punta e un bicchiere di spirito in mano. Togliete il bicchiere, il resto è totalmente lontano dalla mia indole, e proprio per questo mi gusto tutto al meglio. Pronti? Girate la chiave dell'auto e godetevi il panorama dettato dalle luci notturne.
Una volta esisteva un gruppo di nome Camper Van Beethoven, californiani dalla spiccata vena creativa, una miscela eterogenea e multicolore, quanto spiritosa e pungente nella forma, dove le radici americane si espandevano bene tra il punk e i mille colori della musica etnica. Il tutto si svolgeva tra i campi delle campagne americane, in mezzo alla pura tradizione, senza uso di giochi di prestigio. Duri, puri e divertenti. Quasi la perfezione. Una delle realtà alternative più originali e significative degli States anni '80. Dei pionieri che hanno aperto strade e lasciato il segno. Già nel 1992 i Camper Van Beethoven non esistono più da due anni, ma il loro leader David Lowery (anche una buona carriera come produttore e da solista) non impiega molto per inventarsi i Cracker, creatura che prosegue lo stesso discorso della band madre, ossia: fottersene di tutte le etichette e approccio alla musica che se non è perfetto, poco ci manca. I Cracker incidono dieci dischi, nel frattempo i Camper Van Beethoven si riformano nel 1999, Lowery si divide in due, tanto che ad un certo punto inizia ad essere difficile distinguere le due realtà. Barkeley To Bakersfield è la summa di trent'anni di musica, un ambizioso viaggio che porta da Barkeley, città universitaria per eccellenza e madre di numerosi gruppi punk anni '90 (NOFX, Green Day, Rancid) fino a Bakersfield (patria di Merle Haggard), città  distante un poker di ore e prevalentemente agricola. Due dischi che racchiudono le due anime del gruppo, per una volta separate e distinte.
"E' stato uno shock quando ho ascoltato le cose che abbiamo registrato con la formazione originale a Barkeley, e poi di seguito quello che abbiamo registrato in Georgia. Ho ascoltato e pensato che fossero due cose diverse. Così abbiamo dovuto fare un doppio album, due dischi separati" racconta Lowery. Nel primo disco (Barkeley) si riforma la primissima line up della band (oltre a Lowery alle chitarre e voce, Davey Faragher al basso, Johhny Hickman alle chitarre, Michael Urbano alla batteria, Thayer Sarrano alle tastiere, Marc Gilley al sax e Mark Golde alle tastiere aggiunte). Il disco prende forma all'East Bay Recorders di Barkeley in California e come la stessa band precisa: cattura l'anima punk, garage e funk (El Cerrito) del posto (la Bay Area). Lo spirito rock'n'roll spruzzato di glam '70 di Beautiful, Life In The Big City e nella stoccata anti capitalismo, condita di dissacrante ironia, di March Of The Billionaires, l'imprescindibile pop dell'apertura Torches And PitchForks, della sussultante El Comandante, l'urgenza dell'assalto garage/punk You Got Yourself Into This.
Il viaggio prosegue fino a Bakersfield, il lato bucolico e agreste della California. Il secondo disco abbraccia la country music, grazie all'aiuto di numerosi sessionmen  in aiuto all'attuale formazione della band: "classiconi" infarciti di pedal steel alla Willie Nelson (California Country Boy), chitarre acustiche, western song (Almond Grove), ballate per gite on the road (King Of Bakersfield), pigri valzer (Tonight I Cross The Border),  violini, qualche svisata honk tonk (Get On Down The Road), veloci country guidati dal banjo (The San Bernardino Boy).
Il viaggio è finito. Dormite in pace. Domani si riparte.

vedi anche
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