mercoledì 1 agosto 2018

RECENSIONE: WILLIE NILE (Children Of Paradise)

WILLIE NILE    Children Of Paradise (Riverhouse, 2018)





Willie Nile si è tolto alcune soddisfazioni personali in questi ultimi anni. Prima un disco di canzoni con il pianoforte al centro della scena, IF I WAS A RIVER (2014), disco sognato da una vita e venuto fuori particolarmente bene, poi un sentito omaggio al padre dei cantautori moderni: in POSITIVELY BOB (2017) ha riletto Bob Dylan con il consueto spirito rock’n’roll con il quale ha stipulato un patto fin dai quei lontani giorni dei settanta trascorsi dentro le mura del CBGB di New York a carpire i segreti dei grandi. ‘Children Of Paradise’, la canzone che dà il titolo al disco, ispirata dall'omonimo film, fu scritta anni fa con Martin Brimley e fece la sua prima apparizione nel vecchio album PLACE I HAVE NEVER BEEN (1991) ”è sempre stata una delle mie canzoni preferite, c’è un tema di redenzione e salvezza che mi ha sempre affascinato”, racconta Nile. Non ci sono rivoluzioni musicali in questo suo dodicesimo album ma solo inviti a farle le rivoluzioni, quelle vere, iniziando a gettare i semi come avviene nella canzone di apertura ‘Seeds Of A Revolution’, uno sguardo contemplativo sul mondo che lo circonda con l’antica epicità immersa tra gospel e rock’n’roll che ricorda tanto i giorni di gloria di Born To Run dell’amico Springsteen. “I semi della rivoluzione sono piantati nel mio cuore” attacca il piccolo grande uomo di Buffalo, seguito dalla sua rodata band: Johnny Pisano, Matt Hogan, Jon Weber, Stuart Smith, Andy Burton. Un disco che riprende i discorsi portati avanti con il precedente WORLD WAR WILLIE (2016): c’è lo sguardo penetrante e critico verso la mala politica (‘Don’t’ avanza come i migliori Who), verso il sociale e gli indifesi -e qui un plauso va anche al curato artwork con i ritratti fotografici in bianco e nero catturati da Cristina Arrigoni lungo le strade di New York al Greenwich Village. Ci sono l’amore per l’ambiente e la preoccupazione verso i pazzi cambiamenti climatici dei nostri tempi (il funk trascinante di ‘Earth Blues’), c’è tutta la devozione per il primo punk di Clash (‘All Dressed Up And Place To Go’) e Ramones (‘I Defy’), il garage rock nella evasiva ‘Rock’N’Roll Sister’, attestato d’amore verso le donne che amiamo e che amano la musica con tanto di Rolling Stones, Bruce, Kinks, Who, Clash e Pink Floyd citati nel testo . C’è l’antico folk impegnato di ‘Gettin’ Ugly Out There’, la ballata d’amore romantica (‘Have I Ever Told You’) e quella al pianoforte ‘All God’s Children’ che chiude il disco nel migliore dei modi, in modo sommesso ma che sa di grido, avvicinandosi ai migliori piano man della scena pop rock, creando un ponte verso i temi musicali del recente If I Was A River. C’è pure una dedica speciale a Andrew Dorff, coautore di ‘Lookin For Someone’, scomparso da poco. Il bello dei dischi di Willie Nile è che non ci si annoia mai, quello che troviamo lungo i solchi lo ritroveremo sopra un palco: un fedele concentrato di nervi tesi e romanticismo rock, un’attitudine urbana mai a riposo e mai doma, un cuore in salute che batte ancora forte dalla parte giusta della musica.

Ph.Cristina Arrigoni





 

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